• Il vero “must” del Liceo Classico

Un interessante articolo del Corriere della Sera che racconta la vita di un uomo che, volente o nolente, è nella Storia della scuola italiana.

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Chi era Lorenzo Rocci, l’autore del (mitico) vocabolario Greco-Italiano

Era un gesuita, ha fatto tutto da solo, a mano, e il suo ultimo desiderio, prima di morire, fu quello di fumarsi un sigaro: con i diritti d’autore del vocabolario la Compagnia di Gesù ha finanziato per anni missioni nei Paesi poveri e borse di studio

Un’estate degli Anni Trenta, Roma, solito caldo atroce. Il padre gesuita Giuseppe Peri raccontava che era ancora un novizio e guardava con soggezione e un filo di sconcerto il suo maestro seduto alla scrivania «nella sua stanza piena di libri» mentre scorreva fra le mani svariate schede tracciate a penna, un’immagine che non avrebbe mai dimenticato: «Faceva impressione perché, da quanto era preso dal suo lavoro, per non perdere la concentrazione si dimenticava di togliersi il soprabito, ed eravamo in pieno agosto!».

Quello studioso perduto tra i suoi foglietti aveva un nome che all’inizio di ogni anno scolastico torna più che mai attuale, un nome che da ottant’anni almeno due milioni di ragazze e ragazzi hanno associato ad un oggetto dall’aspetto vagamente minaccioso, tanto amato quanto temuto, una sorta di monolite blu in forma di volume: Lorenzo Rocci, anzi «il Rocci», vocabolario di greco antico per antomomasia che gli studenti, in genere, non pensano di associare ad un essere umano.

E invece «il Rocci» era un uomo in carne ed ossa, un padre gesuita capace di portare a termine un’impresa quasi inconcepibile nell’età della Rete, tra pc, programmi di scrittura, copia e incolla e lavori di équipe.

Padre Lorenzo fece tutto da solo, a mano: foglietto per foglietto, parola per parola, ricercando e trascrivendo lemmi e citazioni per vent’anni, dal 1920 alla prima edizione del 1939, più altri quattro tra le edizioni del’41 e del ‘43: 2.074 pagine, 4.148 colonne, centocinquantamila parole con relative traduzioni ed esempi.

Fino a quel momento non esisteva un vocabolario greco-italiano pensato nella nostra lingua. Circolavano solo traduzioni dal tedesco del Passow – il progenitore di tutti i vocabolari di greco, pubblicato dal lessicografo tedesco Franz Passow nel 1819 — e dall’inglese del Liddel-Scott-Jones, stampato a Oxford nel 1843.

E così ci pensò quello studioso nato nel 1864 a Fara in Sabina, di famiglia semplice — le geneaologie ne rintracciano un’origine nobile a Piacenza, ma il padre era probabilmente un artigiano — ed entrato nella Compagnia di Gesù quando aveva sedici anni, a Napoli.

Poi arrivò nella capitale: studi teologici e filosofici alla Gregoriana, classici alla Sapienza, e laurea in Lettere nella Regia università di Roma. I biografi amano citare la frase del poeta Giosuè Carducci, vecchio anticlericale, che faceva parte della commissione d’esame del giovane gesuita: «Lei non solo ha fatto bene, ma molto bene!».

Due anni più tardi, nel 1892, l’ordinazione sacerdotale. Dal 1903 al 1920 aveva insegnato greco e latino nel Collegio dei gesuiti di Villa Mondragone a Frascati, oggi nel comune di Monte Porzio Catone; ci tornò come preside dal 1939 al 1946, durante la guerra il «Nobile collegio» aveva nascosto una quantità di sfollati e di ebrei salvati dai rastrellamenti nei nazisti (il rettore di allora, padre Raffaele de Ghantuz Cubbe, è stato riconosciuto come Giusto fra le Nazioni dallo Yad Vashem di Gerusalemme). In mezzo, due decenni di lavoro sul vocabolario e la vita da sacerdote a Roma, soprattutto come confessore degli studenti universitari nella cappella di Sant’Ivo alla Sapienza o nella Chiesa del Gesù.

Quando morì, nel 1950 — si racconta che il suo ultimo desiderio, dopo l’estrema unzione, sia stato di fumarsi un sigaro — padre Lorenzo era già diventato «il Rocci».

Centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze ignoravano, probabilmente, di contribuire a una buona causa: per decenni i diritti di autore alla Compagnia di Gesù hanno finanziato missioni nei Paesi poveri e borse di studio. Per cinquant’anni, di fatto, c’è stato solo «il Rocci», una sorta di monopolio fino a quando, nel’ 95, uscì da Loescher «il Montanari», noto anche come «GI». Nei licei classici di tutta Italia continuano ad affrontarsi i sostenitori dei due partiti, Rocci e Montanari.

Ma è la stessa Società editrice Dante Alighieri, che pubblica il Rocci, a riportare le parole del grande grecista e filologo Franco Montanari, docente a Genova: «Il debito verso Rocci è indiscutibile perché è stato il frutto del lavoro di un uomo armato solo di schedine e appunti e privo di un computer. Un opus magnum incredibile. Si pensi che per realizzare il mio dizionario hanno collaborato circa 30 ricercatori».

Anche all’aggiornamento del Rocci, nel 2011, ha lavorato del resto una squadra di 15 studiosi ed esperti. Il nuovo Rocci, tra le altre cose, ha reso più moderna la grafica e più comprensibili alcuni arcaismi nelle traduzioni, e introdotto il grassetto a scandire lo scorrere indistinto dei lemmi che attentava alle diottrie dei ragazzi.

Nel frattempo è uscita pure un’edizione ridotta, il Rocci «Eisagoghé-Starter Edition», di consultazione più facile, per i ginnasiali. Ma il fascino del monolite blu resta intatto come il timore reverenziale che lo accompagna. E resta la ricchezza di citazioni che ha aiutato svariati studenti («c’è tutta la frase tradotta!») nei compiti in classe.

Un longseller che accompagna l’adolescenza di tanti, come Siddharta o Il giovane Holden, solo un filo più inquietante. Ma c’è poco da fare. Che siano i versi di Omero o Saffo oppure la prosa di Platone, la bellezza si paga cara: per coglierla, tocca affrontarlo.

➡️ di Gian Guido Vecchi
➡️ da www.corriere.it

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