• Diabete e Covid-19

Un articolo documentato ed esaustivo, che in occasione della giornata mondiale del diabete (2020) disegna un quadro abbastanza sconfortante del momento dal punto di vista del paziente diabetico e delle sue notevoli problematiche.
Per la mia esperienza la situazione è decisamente ben peggiore di quella descritta nell’articolo, ma voglio sperare che altrove, nella civiltà, le cose possano funzionare leggermente meglio.
Ho dubbi, seri dubbi, eppur ci spero.
Soprattutto per coloro che combattono patologie ancor più gravi e, cosa fondamentale, per chi potrebbe scoprire di necessitare cure per disfunzioni/malattie che se non diagnosticate in tempo finirebbero per risultare fatali.
Tratto da Repubblica.it e vergato da varie firme, con alcuni interessanti link a corredo.
Condivido con piacere e mi auguro che
“ogni stop è solo un altro startIl tempo non si ferma”.
Come cantavano i pionieristici Casino Royale di fine -scorso- millennio e come dovrebbe essere in un mondo che ambisce a definirsi decente.
Non idilliaco, non spettacolare, non perfetto.
Decente, giusto questo.
Il minimo.

Controlli saltati o condotti con whatsapp, pazienti persi. Il risultato? Un compenso peggiore della glicemia, così come di pressione e colesterolo. E i malati più anziani e poco tecnologici restano indietro. Il 14 novembre la giornata dedicata 

AMBULATORI specialistici che chiudono, esami procrastinati, telemedicina che beato chi davvero ha un medico che gliela propone. In tempi di sistema sanitario che cerca di fermare l’avanzata di una prevedibile piena di malati, la medicina dei pazienti cronici segna il passo. In certi casi arretra sotto i colpi dell’urgenza delle cure per malati più gravi, la cui assistenza non può essere differita. Vale per i pazienti con malattie reumatologiche, per chi ha problemi oculistici, per gli oncologici, ancor di più per chi ha problemi cardiovascolari e gli allarmi dei medici specialisti – riproposti in questa seconda fase della pandemia – non stupiscono neanche più. Ovviamente questo vale anche per le persone con diabete, almeno tre milioni le già diagnosticate, anche per quelle curate con i farmaci più nuovi, che possono essere prescritti soltanto dagli specialisti nei centri ospedalieri. Centri dove gli accessi sono contingentati e la proroga dei piani terapeutici ha dato un po’ di respiro ai malati.

Il diabete ai tempi del Covid-19. Quest’anno la giornata mondiale del diabete, istituita nel 1991 da Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e Idf (International diabetes federation), cade in piena emergenza Coronavirus. Facile immaginare che il primo risultato sia un peggioramento del controllo glicemico dei malati. E se è vero che le persone con diabete non hanno più rischi di ammalarsi di Covid-19, è altrettanto e drammaticamente vero che, però, quando si ammalano hanno esiti peggiori, maggiori complicanze e più mortalità. Soprattutto quando il diabete è scompensato.

Evidente dunque come, in questa fase ancor più che in altre, il controllo ottimale della malattia dovrebbe essere obiettivo irrinunciabile. E invece – secondo gli Annali 2020 Amd, l’Associazione medici diabetologi, l’80% dei pazienti non ci riesce. Come si dice in gergo tecnico: non è a target. Dove il target, l’obiettivo cioè, non è soltanto il controllo dei livelli di glicemia – che è importantissimo sia chiaro – ma quello di un insieme di altre misurazioni – come pressione sanguigna e colesterolo – che costituiscono fattori di rischio importanti. Bene, Amd calcola che in tempi di Covid solo il 20% dei pazienti abbia ottenuto o mantenga questo risultato complessivo.

Il diabete ai tempi di Covid

“Del resto – ammette sconsolato Agostino Consoli, presidente eletto della Sid, la Società italiana di Diabetologia – l’accesso agli ambulatori è diventato più complicato e le prestazioni sono ridotte, sia perché molti pazienti hanno paura di venire in ospedale sia perché tanti medici sono stati chiamati in corsia a seguire i pazienti Covid. Fino a febbraio scorso ognuno di noi pensava che le malattie croniche non trasmissibili, come il diabete, i tumori, la Bpco, avrebbero piegato le gambe del Sistema sanitario nazionale. Pochissimi avrebbero pensato a una malattia acuta multitrasmissibile e invece siamo qui con Covid-19, cercando di capire come continuare ad assistere tutti gli altri, che sono tanti e hanno bisogno. All’ospedale di Pescara (Consoli è direttore della Uoc di Endocrinologia e Malattie metaboliche) abbiamo virato rapidamente verso la telemedicina. Ma non è facile, soprattutto quando i pazienti sono anziani o non sanno usare la tecnologia. E comunque speriamo di non dover chiudere di nuovo gli ambulatori”.

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La telemedicina, infatti, opera ancora di più una selezione sulla base delle competenze – banalmente c’è chi non sa mandare gli esami via whatsapp – e anche delle dotazioni tecnologiche di casa propria. Fibra o Adsl non sono diffuse, men che meno nelle case degli anziani, circa la metà del bacino totale di malati. E poi, di telemedicina si parla da anni senza troppa convinzione ma la conversione di questi mesi  è stata giocoforza veloce e in alcuni casi ha colto impreparati anche i medici e le strutture sanitarie. “Nel nostro caso, per esempio – spiega Andrea Giaccari, diabetologo alla Fondazione Policlinico universitario Gemelli di Roma – essendo un ospedale privato non abbiamo ancora la possibilità di un riconoscimento economico della telemedicina, e quindi stiamo lavorando gratis da marzo. Chiamiamo il paziente – o meglio caregiver o nipoti o chiunque sia in grado di usare piattaforme video o whatsapp – visitiamo con Zoom, ci facciamo inviare gli esami e così riusciamo a gestire almeno il 60% delle visite. Soprattutto quelle di controllo. Anche perché avendo dovuto necessariamente ridurre il numero di visite giornaliere della metà, se un paziente non viene perché ha paura di ammalarsi, e sono circa il 20%, riuscire a rientrare nel giro dei controlli è difficilissimo”.

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Saltare un controllo o non “entrare” nel giro della telemedicina ha effetti quasi sempre negativi sul controllo della malattia. Anche senza Covid-19. Per vari motivi. Il diabete è una malattia cronica, senza sintomi, e i farmaci vanno assunti per lunghi periodi. La tentazione di ritenere inutili alcuni di essi – soprattutto quando i farmaci provocano effetti collaterali – è molto alta, e infatti molti pazienti mollano. “O, nella migliore delle ipotesi, riducono in autonomia i dosaggi – continua Giaccari – esponendosi a scompensi che quelli sì, in caso di malattia da Coronavirus, possono determinare effetti peggiori”.

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E poi ci sono i nuovi farmaci, che possono essere prescritti soltanto da specialisti in ambito ospedaliero, con quello che si chiama piano terapeutico che, a seconda del farmaco, dura da 6 a 12 mesi. Ma che il malato deve portare al suo medico di famiglia perché non basta per poter andare in farmacia e prendere le medicine necessarie. “Siamo andati avanti con la proroga dei piani terapeutici già nel corso del primo lockdown – continua Giaccari – ma ci sono problemi logistici. Gli SGLT2 inibitori, per esempio, hanno un piano terapeutico di sei mesi, altri come i GLP1 e i DPP4 di un anno. Ma ad un certo punto scadranno tutti quanti insieme e non ce la faremo a ripetere la prescrizione, a meno che non ci si organizzi con le mail, con le prescrizioni lasciate in segreteria, senza visita o appuntamento. Purtroppo molti malati si sono persi e sono tornati ai vecchi farmaci, che ottengono dal medico di base, rinunciando ai vantaggi protettivi delle molecole più moderne”.

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Ma quello che i medici raccontano sul loro lavoro quotidiano – e quindi le loro osservazioni empiriche – trova conferma in uno studio appena pubblicato su Diabetes Care, che nasce proprio dalla domanda che molti diabetologi pongono ai colleghi ma che non vogliono neppure ammettere fuori dai loro centri: quanti pazienti si sono persi con il Covid-19? E dove sono andati a finire? Già il titolo dello studio preannuncia cattive notizie: “Il conto che i pazienti con diabete hanno pagato al lockdown”. Certo, parliamo di una zona limitata del Paese, l’ospedale di Padova, in una regione, il Veneto, particolarmente colpito. Ma niente fa pensare che altrove i numeri non siano molto simili e che il conto non sia stato salato per tutti.

“Abbiamo confrontato i numeri delle visite di presenza oppure online effettuate durante il periodo del lockdown – racconta Gianpaolo Fadini, professore di Endocrinologia all’università di Padova e uno degli autori, con Benedetta Maria Bonora, Mario Luca Morieri e Angelo Avogaro – quindi dal 15 marzo al 14 aprile di quest’anno e poi calcolato il numero di chi avevamo visto nello stesso mese nel 2018 e nel 2019”. Risultato: il 47,7% di visite in meno, con una bella differenza tra malati di diabete di tipo 2 (che arrivano al 53% in meno rispetto agli anni precedenti) e di diabete di tipo 1 (meno 40%). Ma non solo: chi è stato visitato di persona era forse anche chi ne aveva meno bisogno. Pazienti molto più giovani, con una minore durata di malattia, e una incidenza minore di microangiopatia, problemi cardiovascolari. Cosa che fa pensare che i pazienti più “complicati”, che seguono terapie più complesse, siano rimasti fuori dal circuito, esponendosi a maggior rischio cardiovascolare, tanto per dirne una.

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“Durante il lockdown in Veneto – racconta Fadini – c’è stato un calo drammatico nell’assistenza del diabete, i centri si sono dovuti riorganizzare in fretta, medici e infermieri sono stati dirottati sui malati Covid, molti servizi territoriali sono stati chiusi. La maggior parte delle visite sono state fatte in telemedicina, con difficoltà soprattutto per i più anziani, o per chi ha una patologia complessa e non ben controllata, per quei pazienti insomma che hanno più bisogno di essere seguiti da vicino. All’inizio quando telefonavamo i nostri pazienti erano contenti di essere seguiti a casa dal diabetologo. Ma dopo qualche tempo hanno cominciato a chiederci: va bene la telefonata, ma quando possiamo venire in ambulatorio? E non è un problema solo per loro: una visita in telemedicina non dura meno di una normale, ma forse se si deve solo controllare che gli esami vadano bene basterebbe un infermiere, dirottando sui diabetologi solo i casi complessi”.

E non è un caso che proprio la figura dell’infermiere, fondamentale nodo di raccordo tra medico, malato e familiari, sia la figura alla quale quest’anno è dedicato il tema della giornata mondiale: Diabetes, nurses makes the difference. Perché, ben formati, gli infermieri possono avere un ruolo di primo piano, soprattutto quando si parla di telemedicina, prevenzione, screening.

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Ma adesso, in piena emergenza, che cosa sta succedendo? “Da maggio avevamo ripreso la nostra attività come prima – continua Fadini – con gli stessi numeri ma contingentando gli accessi e moltiplicando le precauzioni e, tra l’altro, oltre alla glicemia facevamo anche il test rapido sierologico per capire quanti nostri pazienti si sono infettati. Purtroppo sabato scorso, 7 novembre, la regione Veneto – che pure è gialla, e quindi sono aperti negozi, estetisti, parrucchieri – ha deciso di sospendere l’attività degli ambulatori pubblici non bloccando anche quella in libera professione. Per cui oggi non possiamo visitare con il Sistema sanitario ma solo a pagamento. Sono state salvaguardate – come già nel lockdown di marzo – soltanto le visite urgenti o quelle oncologiche, o le prime visite. E la situazione è un po’ grottesca perché adesso stavamo cominciando a vedere i pazienti non visti a marzo, e invece abbiamo annullato i loro appuntamenti. Paradossalmente si può andare al bar per un aperitivo, o ad assembrarsi da Ikea, come è successo nel fine settimana scorso, ma non dal medico. L’idea è differenziare i pazienti, tra chi può essere seguito con la telemedicina e chi deve necessariamente venire fisicamente in ambulatorio perché non ha il computer, non riesce a mandare in visione gli esami con un file pdf o una foto delle medicine che prende. Parliamo soprattutto di pazienti anziani, e con diabete di tipo 2. I miei 200 pazienti con diabete di tipo 1, invece, utilizzano i sensori e sono collegati al cloud. Posso monitorare le loro glicemia in tempo reale e chiamarli in caso di problemi”.


Le iniziative

Proprio per informare – e cercare di scovare quell’oltre un milione di persone che ha già la malattia ma non lo sa ancora – continua fino al 20 novembre la campagna di sensibilizzazione che  – grazie al numero verde  800042747 – consente di prenotare una consulenza informativa specialistica gratuita in circa 40 centri italiani. L’iniziativa è promossa su tutto il territorio nazionale da Diabete Italia onlus con il patrocinio e il coinvolgimento di Sid, Amd, Simg (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie),  in partnership con Astra Zeneca.

da: www.repubblica.it

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