• 1997

Casino Royale – CRX

Periodo aureo per la musica, quello di fine secolo scorso.
Soltanto in Italia -e nel giro di pochi mesi- esce roba tipo Tabula rasa elettrificata (C.S.I.), Metallo non metallo (Bluvertigo), Rosemary Plexiglas (Scisma), La morte dei miracoli (Frankie hi-nrg mc), Hai paura del buio? (Afterhours), Dentro me (La Crus), Tregua (Cristina Donà).
In Europa non ne parliamo proprio.
Ed anche dagli USA arrivano cose interessanti.

Il trip-hop, che adoro e che in quegli anni sfascia tutto, inizia a lasciare spazio a suoni ancor più eterei.
Nella nostra penisola Almamegretta ed Ustmamò prendono al balzo l’occasione di contaminare col dub determinate sonorità, andando ad approfondire il lavoro che all’estero gruppi come i Prodigy hanno contribuito a diffondere inserendosi in una fase di estrema metamorfosi commerciale, datosi che il britpop balbetta, il grunge traballa, l’indie barcolla e il rock incespica.

Ma il disco che meglio di qualunque altro condensa ogni singolo istante di un’epoca clamorosa -dal punto di vista musicale, s’intende- è CRX, dei Casino Royale.


Un album coraggioso ed innovativo, che veramente viaggia con una ventina d’anni d’anticipo rispetto a qualsivoglia aspettativa contemporanea.
Nel precedente Sempre più vicini (bello!) i CR avevano già dato chiari segnali di talento e coraggio.

In CRX si superano e ci regalano una gemma preziosa.
Registrato a cavallo tra la fine del 96 e l’inizio del 97, tra Londra e Varese.
Prodotto magistralmente da Tim Holmes, uno che con certi suoni ha confidenza.
Scritto e suonato con assoluta maestria da una crew di amici in splendida forma: Giuliano Palma e Alioscia Bisceglia in voce, Patrick Benifei alle tastiere, Ferdinando Masi alla batteria, Michele Pauli alla chitarra, Alessio Argenteri al basso.

Seminale, ardimentoso, underground, oscuro.
CRX, dopo dieci anni di onorata carriera, rappresenta l’indubbio apogeo dei CR.
Nonché l’inizio della loro discesa, perché una volta toccata la vetta tocca solo che scendere a valle.

I discografici, dopo averlo ascoltato, invitano i nostri ad aggiungere un paio di brani “potabili”, per la massa.
La band finge di dar loro ascolto, poi va per la sua strada.

I mesi a Londra cementano il gruppo e fanno emergere contaminazioni a iosa.
CRX, sin dal nome, suona futuristico.


  1. CRX
  2. Benvenuto in mia casa
  3. The Future
  4. Ora/Solo io ora
  5. Oltre
  6. Là dov’è la fine
  7. Specchio
  8. In picchiata
  9. Homeboy
  10. Hi-Fi
  11. Là sopra qualcuno ti ama

Cinquanta minuti di ambizione, interconnessione, innovazione, coesione.
Un progetto assolutamente perfetto, nel suo genere.
Forse troppo, a giudicare dagli eventi successivi.
Perché CRX si spinge oltre, per i suoi tempi.
Non infrange alcuna regola ma, semplicemente le ignora praticamente tutte, riscrivendo un capitolo fondamentale della musica italiana moderna.

CRX, la title-track, porta subito l’ascoltatore al centro della scena.
Una scarica di scratch ed adrenalina, con un testo superbo ed un’elettronica ritmatissima a supporto delle voci antistanti di Palma ed Alioscia.
Energia infinita.
Benvenuto in mia casa è un fugace intermezzo di eccelso trip hop.
The Future crea dipendenza, con un vocalizzo diabolicamente irresistibile ed una delle più belle prose che mi sia capitato di sentire in cuffia: ogni stop è solo un altro start.
Sublime e dolorosamente profondo.
Da tattoo.
Ci penserò.
Anzi: ci sto già pensando.
Ora/Solo io ora è clamorosa.
Stupendo tappeto sonoro, notturno ed elettricamente elettronico, ed un testo che è poesia allo stato brado: “ah ora solo ora vorrei impazzire e piangere
Ora solo io ora
Tempo di ripararsi
Fuori sai è cattivo tempo
Stringo il mio destino, solo questo è in mio possesso
La mia stella nera ora è fissa su di me
E rido coi fantasmi, ancora ridono di me
“.
E che vuoi commentare?
Oltre prosegue nell’opera di rapimento dell’anima di chi è ormai fottuto, inesorabilmente.
Sound limpido quanto oscuro e Palma, il Virgilio della situazione, che accompagna col suo densissimo cantato il condannato verso la gloria e la luce.
W l’inferno.
Là dov’è la fine, con l’immancabile e delizioso gioco a due voci, racconta una sorta di Blasphemous Rumours di depechemodiana memoria.
Brano contorto, provocatorio, illuminato, geniale.
Il cantato di Alioscia snerva e, nel contesto, diviene malato di un malato che emoziona.
Monumentale.
Specchio dura venticinque secondi e pare un ironico omaggio a qualche film horror d’annata.
In picchiata trip-hopeggia con suadente maestria qualcosa di estremamente personale, lasciando spazio a centinaia di possibili interpretazioni, tutte oltremodo plausibili, e muovendosi in un incedere isterico, nevrotico, altalenante, tossico.
Homeboy mischia diversi generi e risulta incredibilmente coerente.
Brano sorprendente, di complessa catalogazione e che, anzi, non ne accetta affatto.
Nel testo riecheggia ancora una volta il richiamo filosofico ad un Dio che, fondamentalmente, non si capisce a cosa cavolo serva.
Mi fa pensare all’immenso Eduardo.
Il tuo Dio è un servo?
Il tuo Dio non serve!
Hi-Fi presenta uno degli intro più sfiziosi negli ultimi centocinquanta anni di dischi.
Dub contaminato da chissà quante sostanze ed ispirazioni, con metriche psicotiche a far deragliare ulteriormente il senso logico di un pezzo follemente piacevole.
Là sopra qualcuno ti ama si rivolge per l’ultima volta all’Altissimo, “perché di sicuro là sopra qualcuno ti ama, però non è in casa” (cit.) e perché in fondo tutto è e, in contemporanea, non è.


Grande album questo CRX, dei Casino Royale.


Grande album, sì.
Anzi: no.
Grandissimo album.


MTV, negli anni novanta, era linfa vitale.
I Casino Royale erano tra i migliori del lotto, ma non si vollero accontentare di essere come i Subsonica o altri pur ottimi gruppi del periodo.
Puntarono il mirino verso le stelle, un po’ come fecero i Radiohead in quegli stessi anni, con alcuni cambi di direzione che spedirono gli inglesi direttamente nell’Olimpo.
Il paragone potrebbe sembrare blasfemo, me ne rendo conto.
I CR non sono di certo i Radiohead, non lo penserei manco sotto minaccia di un’arma: però le similitudini nel modo in cui le due band hanno affrontato il loro percorso artistico mi appaiono evidenti.

Casino Royale - CRX

Qualche anno fa lessi di una edizione rimasterizzata di CRX, data alle stampe in occasione del ventennale dalla sua uscita.
Ho sentito qualcosa sul tubo, così come ho ascoltato i precedenti ed i successivi lavori dei CR, peraltro in versione decisamente modificata rispetto al combo del disco in oggetto.
Tutto molto bello, per carità.
Ma CRX è altro.

In poltrona in certe serate solitarie, pensierose e piovose.
Oppure in giardino in altre laboriose, soleggiate e rilassanti.
Queste due, le mie occasioni preferite d’ascolto di CRX.

Il disco ricevette lusinghiere recensioni.
Il pubblico, invece, non lo comprese del tutto.
I fans dei CR si divisero, a riguardo.
I discografici apprezzarono l’opera dal punto di vista artistico, mentre si dissero ben poco convinti del suo possibile successo commerciale.
Il tour, ambizioso come l’album che lo ispirava, si rivelò un mezzo fiasco.
L’apertura di un paio di concerti degli U2, in teoria un’occasione d’oro per svoltare, si trasformò in un boomerang, con una sorta di DJ set in un ambito che era totalmente dedito al pop di cassetta.

Troppo avanti.
Era tutto troppo avanti e senza compromessi, per giunta richiesti e mai concessi.
Per questo CRX vale tanto.
Tantissimo.

Sonda le profondità, quel che resta è aria

-oltre-

Talvolta la nostalgia è una bella zavorra, di quelle che ti massacrano l’anima e l’esistenza.
O te le salvano, entrambe.
Quando accade, è tutta un’altra storia.

Dove l’elettronica diventa umana, con un basso strepitoso e un songwriting ispiratissimo.
Perché non di rado fa giri strani, assolutamente, ma alla fine il tempo è galantuomo.
Sempre.


Casino Royale – CRX: 8,5

V74

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