• 15 anni

Giuliano Fiorini: esegesi di un vero Laziale

Il 5 agosto del 2005 Giuliano Fiorini lascia questa Terra per entrare, a pieno titolo, nell’Olimpo degli Eroi Laziali.
Un Eroe alquanto atipico, non vi è dubbio.

Il suo gol contro il Vicenza, in una delle gare più mitiche e drammatiche che la Storia del Calcio ricordi, lo ha reso immortale non soltanto agli occhi dei tifosi Biancocelesti, ma anche a quelli di chiunque ami questo meraviglioso sport, condivida questa insana follia, vibri ogniqualvolta che una sfera di cuoio rimbalza sull’erba di uno Stadio.

Giuliano Fiorini ha espresso, mediante la propria figura, una Lazialità vera e profonda.
Mistica, per certi versi.

Lo Stellone Laziale, in svariate occasioni, ha affidato le sorti dell’Amata ad uomini semplici, leali, coraggiosi.
E spesso non romani.
Ovviamente la Lazio è Roma, non si discute.
Ma non è solamente Roma.
La Lazio è un ideale che travalica i confini territoriali: come l’Aquila che ne simboleggia la libertà e la grandezza, allo stesso modo Ella si libra nell’aria, fiera ed indomabile, ammantando di magia i sublimi colori che fanno da sfondo alle Sue nobili gesta e a quelle del pianeta che le ospita.

Chi impara ad amarLa venendo dall’esterno ne riconosce immediatamente la grandezza, la unicità, la veridicità.
Non che chi La viva dal di dentro, per così dire, non sia altrettanto consapevole, tutt’altro.
Nella mia lunga esperienza romana ho però avuto modo di osservare come la città, inarrivabilmente stupenda, tenda di frequente a comportare un incontrollabile aumento egocentrico che contribuisce, quasi puntualmente, ad offuscare le benché minime regole basiche di tifo e passione, finendo per sottomettere i destini della Suddetta alle più miserrime dinamiche di un diabolico Io dominante.
Le eccezioni, poche, abbiano la bontà di perdonare cotanto ardire espressivo, peraltro non privo di fondamento.

D’altronde sarebbe esercizio quanto mai erroneo dimenticare -o fingere di farlo- le innumerevoli perle di antilazialità espresse dai più fulgidi, in teoria, ambasciatori del verbo Biancoceleste.
Basti pensare, che so, ad un Vincenzino D’Amico, non di certo un romano di sette generazioni ma comunque uno che Roma l’ha vissuta e la vive tutt’oggi da protagonista.
Un altro che la Lazio l’ha salvata per davvero, che l’ha trascinata nella Gloria e che l’ha poi difesa dal baratro imminente.
Un grande Laziale, un Capitano.
Uno che alla Lazio ha dato tanto e che alla Lazio deve tantissimo e che però ad un certo punto, per ragioni contingenti e di varia natura, condivisibili o meno che siano, ha lasciato palesemente intendere che avrebbe preferito vederLa in serie B piuttosto che saperLa in A con un presidente a lui inviso.
In quanto, parole sue testuali e più volte ripetute: “questa è la squadra di Lotito, non certo la vera Lazio”.
La Lotitese, insomma.
O la Formellese, per usare termini che son girati parecchio nell’etere Laziale, oltre che in quello romanista.
Il che dovrebbe già dire molto, se non tutto.
Questo no, non è condivisibile.
Pure se detto in maniera “ad cazzum” da uno che la Lazio l’ha resa grande, no.
Oggi per grazia del Fato certe stronzate girano molto meno, per i buoni risultati che si stanno ottenendo.
Alle prime crepe, speriamo mai, questi termini torneranno in auge.
La cornice marcia, la definì ai tempi Fascetti.
Non si riferiva a Foggia.
Nemmeno a Trapani.
E non mi si venga a dire che sono sfoghi estemporanei, che si vogliono fare le pulci ad ogni minima espressione, che in fondo son cose che si urlano nei momenti di rabbia, che chi non ha peccato scagli la prima sfera.
No, non è così.
Sarebbe ipocrita solo accennarlo a mezza bocca.
Peggio ancora giustificare tutto questo letame con la eventuale importanza dei personaggi che cooperano ignobilmente a svilupparlo.
Non è un attenuante, ma una aggravante.
Se qualcuno non ne se ne rendesse conto, dovrebbe avere l’umiltà di rivolgersi ad uno specialista.

Paolo Di Canio, romano DOC, altro Laziale di livello sommo.
Altro Capitano.
Altro figlio della Lazio, alla quale ha dato tanto e alla quale deve tantissimo.
Per anni, dopo la rottura con gli attuali dirigenti, ha vomitato di tutto contro di Lei.
Non contro i dirigenti.
Contro la Lazio, senza sosta.
E non di rado senza onestà intellettuale.
Non essendo affatto uno stupido, è grave.
Molto grave.

Succede anche a chi non è di zona, intendiamoci.
Luca Marchegiani, di provenienza più nordica e persona di spessore umano e culturale indubbio, che alla Lazio ha hato molto e alla quale deve tantissimo.
Non tutto, ma tantissimo sì.
Ha un figlio che gioca come lui, in porta, e che -come ogni padre che si rispetti- reputa un fenomeno.
Non lo è e così la pensarono anni or sono anche in seno alla Lazio.
Valutazioni tecniche: e manco troppo distorte, a ben vedere.
Il buon Luca lo porta poi alla Roma e da lì in avanti inizia a massacrare la Lazio, trattandoLa in maniera ignobile e con infinità scorrettezza intellettuale durante il suo nuovo lavoro di commentatore.
Senza sosta.
Senza rispetto.
Senza ritegno.
Fa il suo gioco, ci sta.
Fa schifo, ma ci sta.
Ai tempi mi accorsi subito di codesta imbarazzante situazione.
Ne parlai con altri Laziali.
Grandi Laziali.
Non servì.
Marchegiani, il Conte, era persona al di sopra di ogni sospetto.
Ai miei occhi semplici e contadini per individuare uno che rema matematicamente contro bastano pochi elementi, peraltro evidentissimi, nel caso specifico.
Per altri no: attenuanti come se piovesse.
Le proprie simpatie personali, torniamo a bomba sul concetto di partenza, che balzano in primo piano rispetto a quella che dovrebbe essere l’unica ragione di tifo e passione: la Lazio.
La Sua difesa, la Sua protezione.
Soprattutto se messa a repentaglio con cattiveria, pochezza di spirito, malafede.
Evidente malafede.
Evidentissima.
Nessuno chiede trattamenti di favore: la Lazio non li ha mai ricevuti, men che meno dai suoi amici, presunti tali ed ex.
Mai.
Riconoscenza?
Idem come sopra, tranne rarissimi e perciò ancor più apprezzabili casi.
Oggi, dopo una decina di anni, Luca Marchegiani è un conclamato nemico della Lazio.
I suoi sperticati difensori si son dovuti arrendere all’evidenza, mica all’amore per la Lazio.
Le perle -ehm- dell’ex portiere non si contano più, ormai, per quanto esse siano numerose ed innegabili.
Oggettive, ecco.
Scientifiche.
Lo erano pure 10 anni fa.
Bastava ragionare dal punto di vista Laziale, per notarlo.
Nessuno cancellerà mai ciò che ha dato in campo, con la Maglia Biancoceleste addosso.
Il tempo è galantuomo, però.
Il tempo è fottutamente galantuomo.
Luca Marchegiani non lo è stato affatto, nei confronti della Lazio.

La lista sarebbe infinita tra ex giocatori, commentatori, giornalisti, comunicatori, addetti ai lavori e, purtroppo, pure tifosi.

In questo bailamme esistenziale una figura come quella di Fiorini assurge a simbolo di purezza e di Lazialità, appunto.

Giuliano, come fu per Maestrelli e tanti altri che hanno scritto le più belle ed emozionanti pagine di Lazio, è sbarcato a Roma con addosso il pregiudizio marchiato a fuoco.
Non è un bomber di grande livello, si diceva.
Ha la panza, oh.
Segna meno di un terzino.
In A ci è passato come magazziniere.
Eccetera.

In realtà Fiorini è una boa d’area vecchio stampo.
Non un goleador, bensì uno che lavora per la squadra, che lotta come un leone su ogni palla dal primo all’ultimo minuto di qualsiasi gara.
Ed è uno che i suoi gol li mette a referto, sebbene non con la luce abbagliante del fuoriclasse o con la frequenza notevole di altri attaccanti di grido.

Un buon giocatore, un onesto mestierante del gol, un puntero grintoso e tenace.
Un elemento tatticamente fondamentale.
Intelligente, astuto, esperto.
Impregnato di cazzimma e di furore agonistico.
Un uomo vero, speciale, sincero.

La Lazio cerca diversi attaccanti, in quegli anni.
Briaschi, il più ricercato, è l’antitesi del Laziale.
Il prototipo dell’antilaziale, direi, ammesso e concesso che ne esista uno che calzi perfettamente a misura con un simile profilo: altezzoso, antipatico, supponente, egoista.
Possiede caratteristiche diverse da quelle di Fiorini, decisamente.
Sia in campo che fuori.
Un attaccante forte, in grado di muoversi come appoggio alla punta centrale giostrando da ala e, nel contempo, capace nel destreggiarsi -alla bisogna- anche da centravanti classico.
Bravo in campo, insomma.
Uno … di dimensioni epocali fuori, conclamato ed appurato.
Che rifiuta la Lazio in una maniera fastidiosissima, oltretutto.
Da professionista, niente da dirgli.
Tranne che si reputava un fenomeno e non lo era affatto.
Un bel giocatore sì, un fenomeno no.
Proprio no.

Giuliano Fiorini invece non esita un istante a firmare il suo contratto con l’Aquila, dodici mesi più tardi.
Sì, ha un pizzico di pancetta, non ha una media realizzativa da record, non è un Campione, non ha offerte da team più blasonati.
Giuliano Fiorini è già Laziale, però: ben prima di esserlo, ufficialmente e burocraticamente.
Giuliano Fiorini è Laziale nell’anima.

Anche molti tifosi, alla stregua degli avvoltoi della comunicazione, dimostrano la propria indole stronzoidale un giorno si e l’altro pure.
Penso, ad esempio,a quei fenomeni che criticano tutto e tutti, invitano a difendere la Lazio contro chiunque attenti alla Sua Storia ed alla Sua immagine e poi, come tutti i finti che si rispettino, si nascondono quando è il momento di alzare il livello della discussione.
E non per discrezione o codardia, che pure avrebbe un senso.
No.
Perché quando si tratta di guerreggiare per difendere il proprio gusto sul colore dello slip dell’amante o sulla qualità della carta igienica usata dal cugino beh, sanno trasformarsi subitaneamente in veri e propri leoni tutelando tutto quel che li riguarda, in primis le loro convinzioni.
A costo di farsi umiliare, come di sovente accade.
Ma combattono, con ardore e tigna.
Per la Lazio, invece, meglio soprassedere e non urtare la sensibilità del proprio interlocutore.
Meglio non correre rischi, non esporsi, non comparire, non farsi nemici, non generare antipatie.
Tanto alla prima in casa una bella sciarpetta al pargolo e la coscienza è a posto.
Omologati, finti rivoluzionari, sovversivi col culo altrui, vili.
L’essenza più distante possibile dall’idea di Lazio, per quel che mi concerne.

Giuliano Fiorini, lui sì, era un uomo coraggioso.
Un combattente.
Un generoso.
Un leader d’esempio, non di parola.
Un Laziale.

Ovunque è passato ha lasciato il segno.
Dal punto di vista calcistico ma ancor di più da quello umano.
Uno vero.

Non esiste al mondo un compagno, uno solo, che non lo abbia amato.
Non perché sia morto giovane, come è d’uopo in questi tristi casi.
Anche quando era in vita ricordo come fosse oggi le tante attestazioni di stima e di simpatia che lo vedevano coinvolto allorché il suo nome veniva fuori in qualsivoglia intervista, racconto, aneddoto.
Emozioni vivide, intense, forti.

Ha dato tutto, ma proprio tutto per la Lazio, senza mai spenderLe una parola contro.
E dire che dalla società Lazio fu allontanato in maniera poco ortodossa, per non aggiungere altro.

Dopo averLa tirata fuori dal quasi baratro fece la valigia, ringraziò, salutò tutti e se ne andò in C2, a Venezia.
Insieme a Filisetti, un altro che come Podavini, Gregucci, Bergodi, Acerbis e quanti ne volete non ha mai proferito un solo termine che potesse mostrare astio, odio, rancore verso i Colori più belli ed intensi del globo terracqueo.
E qualcuno di essi avrebbe potuto averne eccome, di rancore.

Invece parecchi che alla Lazio debbono fama, gloria, conto in banca e salute, beh, tanto l’hanno portata in su, tanto hanno tentato di trascinarla in giù.
Molto in giù.

Poi lo Stellone ha risolto la pratica, certo, in alcuni casi anche rumorosamente, ecco.

Fiorini è amato più di tanti altri che, a rigor di logica, dovrebbero aver dato alla Lazio qualcosa in più rispetto a lui, per militanza e risultati.
Ma il Calcio è vita, amore, passione.
La logica non sempre basta.

Pur non essendo di certo un cuor di leone ho provato a sfruttare le nuove tecnologie per discutere della cosa con alcuni dei fenomeni sopraccitati.
Da semplice tifoso, appassionato, curioso.
In alcuni casi ho avuto inaspettato successo nel contatto, sebbene solo di passaggio, in quanto non disposto a salire sul carro a prescindere.
Ho scoperto che non sono fenomeni per indole o definizione, quanto piuttosto per solipsismo.
Si sentono dei soli che illuminano tutto il circondario e 3/4 di universo, senza i quali nulla d’altro avrebbe senso e visibilità, Lazio inclusa.
Si sono circondati di uno stuolo di leccaculi allucinanti, i quali a loro volta cercano il consenso a tutti i costi mediante lo stesso meccanismo d’azione, ovvero dire tutto e il contrario di tutto per ottenere l’approvazione comune e senza mai andare al nocciolo di alcuna questione.
Senza mai crescere.
Senza mai esporsi, come detto.
Eh sì, in effetti a ben pensarci sono proprio dei fenomeni.
Continuo ad amarli per quello che hanno dato in campo, il ricordo non sbiadisce.
Ma mettersi sopra tutto e tutti, oltre la Lazio, è davvero da folli.
Per fortuna Lotito, con tutti i suoi limiti e sono tanti, è millenni luce oltre questa mediocrità e continua a fare in modo che essa stia il più possibile distanti dalla Lazio.
Cornice marcia, d’altro canto.

Bis: Giuliano Fiorini agli occhi ed ai cuori di tanti Laziali, molti più di quelli che si potrebbe credere, sarà perpetuamente più amato, stimato ed apprezzato rispetto a tanti suoi compagni che per la Lazio, pur disponendo di maggior talento calcistico, hanno dato infinitamente meno a livello di cuore.

Giuliano Fiorini è stato, a suo modo, un artista del saper vivere.
Era un uomo libero, un anarchico, un viveur, un guerriero.
Era un uomo dignitoso.
E riconoscente.

Per me, parere personale senza alcuna ambizione di gloria e verità, la dignità -unitamente alla riconoscenza ed al coraggio- è quanto di più Laziale possa esistere nelle corde umane.

Quando giunse in ritiro la notizia della forte penalizzazione della Lazio e Fascetti chiese alla squadra di riflettere se abbandonare la nave oppure andare avanti, Fiorini fu il primo ad alzarsi in piedi annunciando fieramente di essere pronto alla battaglia, fino alla fine.
Un trascinatore, un istintivo, un passionale.
Un ribelle.
Un leader.
Un Laziale.
Lo seguirono tutti.
Ed insieme scrissero una incredibile pagina di Calcio.
Il primo ad alzarsi fu lui, tocca ripeterlo.
Il primo fu Giuliano Fiorini.
Fu lì che iniziò quella fantastica epopea che poi si concluse agli spareggi di Napoli, passando ovviamente per l’incredibile Lazio-Vicenza che fu, con Dal Bianco in versione Batman e Giuliano Fiorini che tira fuori dal cilindro della sua anima una magia che ancora oggi, rivedendola anche mille volte, riesce impossibile sviscerare.
Oltre la logica, sì.
Oltre la fisica.
Un boato.
Irripetibile.
Lacrime, vere.
La Banda dei Meno 9.
Lacrime vere.
Al solo guardare le immagini, oggi.
Lacrime vere.
Un palpito di un intero popolo all’unisono, il Calcio che esprime gioia, quella che emoziona già soltanto a raccontarla.
O perlomeno, nel provare a farlo.

Ti voglio veramente bene, Giuliano.
Come te ne vogliono tantissimi Laziali, quelli per i quali la Maglia viene prima di tutto il resto.
Quelli ai quali non servono scuse per abbandonarLa, filosofie per trascurarLa, alibi per dimenticarLa, polemiche per ometterLa.
La maggior parte, per fortuna.

D’altro canto è facilissimo essere Laziali.
Basta averne a cuore i destini, dare tutto quel che si può per Lei, amarLa e rispettarLa come merita.
Non è mica così complicato.
Eppure per alcuni sembra sia diventata un’impresa titanica.

Non per Giuliano Fiorini.
Lui ha amato la Lazio sin da subito.
A cuore aperto.
Ha dato tutto per Lei.
Lui ha salvato la Lazio.
E poi, quando qualcuno ha ritenuto che fosse diventato superfluo per la causa, nonostante fossero passate poche settimane dal Mito, non ha proferito verbo.
Non ha battuto ciglio.
Non ha chiamato il giornalista di turno, per aizzare canizze.
Non ha fiatato.
Come già detto ha preparato la valigia, ha ringraziato, ha salutato tutti ed è salito in auto, direzione Venezia.
Direzione C2.

Dall’Olimpico all’Olimpo, quello delle Divinità Laziali.
Perché uno così, uno come Giuliano Fiorini, è Laziale da sempre.
E lo sarà per sempre.

Il tempo è veramente galantuomo.
A volte se la prende comoda, fa giri strani, va per direzioni astruse.
Però poi appiana parecchie discrepanze.
Chissà che non sia un po’ Laziale pure lui, il tempo.

Così come Fiorini.
Lui sì, assolutamente.
Un vero Laziale.

Uno che giocava con la Vita e viveva con il Calcio.
Un Laziale.
Vero.

Grazie, Giuliano.

V74

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