• 1988

James Senese – Alhambra

In questi giorni (Giugno 2021) è uscita l’ultima fatica discografica di James Senese, “James is back”, che prevede anche un tour dell’artista in giro per la penisola.

Senese ha ormai superato ampiamente i quindici lustri di vita, eppure è lucido e carico come fosse un adolescente.
Sin dagli inizi di carriera lui, figlio di un militare americano e di una donzella partenopea, ha strenuamente lottato contro ogni forma di preconcetto.


Napoletano più del 99% dei suoi conterranei, ha messo in Musica tutto ciò che ha dentro e fuori un’anima talmente complessa da investigare da poter essere definita ininvestigabile.

Una carriera lunga ed importante, alle spalle.

James Senese - Alhambra

Le molteplici collaborazioni dei primi tempi, poi il sodalizio artistico con Mario Musella, gli Showmen, fino a raggiungere la gloria -non sempre commerciale, ma di certo artistica- con i Napoli Centrale, un condensato di talento ed innovazione che li pone tra i migliori gruppi dell’ultimo cinquantennio nel panorama nostrano.

Per tacere dei capolavori venuti alla luce grazie all’incontro del suddetto con gente come Pino Daniele, Tullio De Piscopo, Enzo Avitabile, Tony Esposito e tantissimi altri nomi del panorama vesuviano, non sempre assurti alla gloria che avrebbero meritato, ma di assoluta bravura ed indiscutibile veracità territoriale.

Gaetano/James suona il sax.
E lo suona divinamente, tanto da attrarre su di sé l’attenzione e la stima di musicisti di spessore mondiale.
Quando mette la testa fuori dal circondario, genera curiosità e richiamo.
Lo farà raramente, perché si sente ed è visceralmente napoletano e come tutti i napoletani bestemmia, si lamenta, borbotta, mugugna, brontola, mormora, bofonchia ma è sempre lì, fosse pure che scoppiasse la guerra, la carestia, la pandemia.

Oltre a suonare si diletta a cantare.
Una voce particolare, la sua: tonalità greve e, nel contempo, mistica.
Evoca , racconta, rivela, preconizza.

Tutti i suoi lavori in solitaria -si fa per dire- meriterebbero un approfondimento a parte.


Nel 1988 dà alle stampe Alhambra, 8 tracce ed una quarantina di minuti di navigazione nell’oceano James Senese, ad impregnare se stessi di sentimento e passione.

  1. James Senese – Love Supreme
  2. James Senese – Rosa Maria
  3. James Senese – Sciaccò
  4. James Senese – Alhambra (Memento per Gil Evans)
  5. James Senese – Hiwinnet (Love Supreme)
  6. James Senese – Dolce Malinconia
  7. James Senese – Anema Nera
  8. James Senese – Tambòo

Con lui, sul bastimento, salgono virtuosi quali il succitato Tullio De Piscopo alla batteria, il tastierista Ernesto Vitolo, Rino Zurzolo al contrabbasso, e altri ancora.
Quasi tutti i testi vedono la luce grazie alla ispirata penna dell’ottimo Franco Del Prete.
Alto livello, insomma.
Molto alto.


Love Supreme, l’apertura, è il pezzo migliore del lotto.
Bellissimo, davvero.
Superfluo specificare che John Coltrane, adorato da James, è il destinatario di cotanta beltà.
Non contento, il nostro reinterpreta il brano col titolo Hiwinnet, conferendogli una forte connotazione afro con la seconda voce di Woky Abe.

Rosa Maria trasporta l’ascoltatore nel sound mediterraneo, con una filastrocca passionale resa irresistibile dal suo cantautorato irregolare ed inconsueto.

Sciaccò è un divertente scioglilingua dialettale che pian pino prende velocità e si trasforma, incredibilmente, in poesia.

Alhambra, un brano strumentale di grande intensità e notevole classe, dà il titolo all’album e, come appare chiaro nel sottotitolo, è dedicato al genio di Gil Evans, scomparso poco prima che il disco fosse dato alle stampe.

Dolce Malinconia si presenta già dal titolo, con un appassionato richiamo amoroso dal retrogusto malinconico sovrapposto ad un tappeto di bassi il cui battito parrebbe volersi ribellare all’esito infausto del contendere, andando a generare un contrasto decisamente intrigante.

Anema Nera è la provocatoria e danzereccia risposta di James -su testo di Del Prete- a coloro che si interrogano sul colore della pelle, un tema che gli sta maledettamente a cuore -anzi: nell’anima- e che fa riferimento alla celeberrima Tammurriata nera degli anni 40, un pezzo che nel suo divertente sarcasmo finisce per essere infarcito di razzismi e pregiudizi.

Tambòo è scritta dallo stesso Senese e chiude l’opera con un manifesto di fusion, ricco di spunti che spaziano dall’afro al reggae fino al jazz, con spruzzate di funk e soul a sublimare quello che a tutti gli effetti finisce per essere un lavoro “pop” a 360 gradi.


I dischi successivi dell’artista napoletano saranno più maturi e coesi, sicuramente prodotti con un pizzico di maggiore consapevolezza, figlia dell’esperienza acquisita da un artista di grande talento e sensibilità.

In Alhambra, però, s’intravede tutto il desiderio di sperimentare e confrontarsi con la propria individualità, sebbene contorniato da tanti amici e colleghi, lasciando da parte per un attimo lo splendido impegno collettivo del precedente decennio con i Napoli Centrale e mettendo in mostra il proprio bagaglio artistico in un periodo, fine anni 80, di indubbio fervore musicale.

Album grezzo, per alcuni versi, ma tremendamente verace, quantomeno per me.
Diversi brani sono stati interpretati dal vivo e registrati in un paio di “live”: il risultato è a dir poco eccezionale, soprattutto per Love Supreme.


Se Gaetano passa dalle Vostre parti, fateci un salto.
Lo merita, a prescindere.

James Senese – Alhambra: 7

V74

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