- Jorginho
Jorge de Amorim Campos (Jorginho)
Se in una formazione del Resto del Mondo si vogliono di fare le cose per bene, cioè dando al giochino un equilibrio tattico degno di tal nome -evitando quindi di schierare Messi terzino sinistro e Maradona libero, per intenderci-, ecco che la scelta del modulo diventa fondamentale.
Giocando a quattro in difesa e con Maldini terzino sinistro, nel mio caso posso sbizzarrirmi a destra con un laterale d’assalto che sia, però, bravo pure a difendere.
Tassotti sarebbe perfetto, per gli automatismi con il suo compagno milanista sull’altra fascia.
Cafu è la scelta ideale di chi immagina 11 attaccanti.
Dani Alves altrettanto.
Maicon peggio ancora.
Gentile ottimo, per quanto più marcatore puro che altro.
Djalma Santos e Carlos Alberto mostruosi, ma distanti nel tempo.
Lahm troppo ordinato.
Josimar troppo disordinato.
Sembra quasi un derby Italia-Brasile.
Alla fine scelgo un brasiliano.
Nessuno di quelli succitati, no.
E scommetto che il nome è un po’ a sorpresa, per molti di Voi.
Sì, perché Jorge de Amorim Campos -uno dei tanti Jorginho della Storia del Calcio- è stato Campione del Mondo, eppure non tutti ne hanno vivida memoria.
Rio de Janeiro, estate del 1964: qui nasce il protagonista della nostra odierna narrazione.
Il bairro di Guadalupe, il quartiere dove vive la sua numerosa famiglia, possiede un’anima industriale, pur essendo fondamentalmente una zona a carattere popolare.
Il capofamiglia, Jayme, ha origini portoghesi ed ama il Vasco de Gama, le belle signore e la bottiglia.
In ordine sparso.
Aggiusta televisioni e radio e porta spesso con sé il piccolo Jorge, spiegandogli che nella vita à importante importunare le donne, altrimenti si rischia di passare per stupidi.
Lezione che mette in pratica appena ne ha possibilità, anche dinanzi al piccolo, perché l’esempio paterno non passi per mera teoria e sterile mitomania.
A casa, con la moglie Tereza, il protocollo prevede schiaffi ed urla a profusione, per rimarcare il territorio.
In questo quadro allucinante pure i figli si ritrovano a subire conseguenze.
Sia psicologiche, sia fisiche.
Il risultato è prevedibilmente drammatico: un paio di figli dediti al bere nella fase adolescenziale, due figlie che mostrano segni di chiara instabilità comportamentale, una madre che inizia ad avere problemi di udito a causa delle botte subite e di equilibrio mentale, per la stessa ragione ed altre mille in aggiunta.
Jorge passa la giornata a giocare a pallone e questo lo salva, quantomeno parzialmente.
Ha una storia con Cristina, una dolcissima ragazzina che abita a poca distanza da lui, ma è convinto che tradirla sia un dovere nonché una dimostrazione di forza, come da precetti ereditari.
Improvvisamente Jayme chiude gli occhi per sempre e tutto cambia.
Un incidente stradale strappa alla vita lui ed una delle sue figlie, facendo piombare tutta la famiglia dal dramma al buio e, dopo un po’ di tempo, facendo anche scoccare la scintilla della risalita.
Jaime, il fratello maggiore dedito all’alcolismo ed al teppismo, torna a casa con una Bibbia in mano ed inizia un percorso di fede che dura ancora oggi, essendo un noto e stimato Pastore della Chiesa locale.
Un altro fratello, José, lo imita, allontanandosi dalla droga che pian piano stava prendendo il dominio sulla sua vita e dedicandosi alla preghiera ed alla meditazione.
Il Brasile è notoriamente terra di conversioni insperate: talvolta alquanto effimere, in altri casi più profonde.
Sandra, l’altra sorella, lentamente si riprende e diventa una spalla forte e salda per i fratelli e per mamma Tereza.
Il Calcio, come detto, salva Jorge.
L’esempio dei fratelli e la perdita del padre, che non di radio dimenticava l’età dei suoi figli e li picchiava come un pugile che ha bisogno di uno sparring partner per tenersi in forma, portano il ragazzo a posizionarsi in una nuova dimensione.
Difatti, seppure in tutto questo caos famigliare, è in rampa di lancio per palcoscenici di rango.
Entrato poco prima di compiere quattordici anni nel settore giovanile dell’ America Football Club, si ritrova a disputare un paio di stagioni di apprendistato tra i grandi, pur essendo ancora giovanissimo.
Al provino si era presentato come difensore centrale, ma i tecnici dell’America ne intuiscono subito il potenziale come calciatore di fascia: Jorge ha corsa, fiato, slancio.
Sembrerebbe un terzino nato: e lo è, invero.
Gioca una ventina di gare, se la casa bene e viene adocchiato dal Flamengo, club di chiara fama, che mette sotto contratto l’appena maggiorenne Jorge e lo inserisce nel roster che avrà l’arduo compito di riconquistare i fasti degli anni precedenti, allorquando i rossoneri avevano vinto tutto quello che era possibile portare a casa in ambito calcistico.
Il progetto non va in porto, in quanto il Flamengo vince alcune competizioni locali ma non riesce ad imporsi in platee di alto spessore.
Jorginho è protagonista delle suddette vittorie, come gli era accaduto anche all’America.
Nel suo ruolo si ritrova davanti Leandro, un totem locale, di cinque anni più anziano e, più che altro, elemento scafato e potente, che ara la fascia e milita pure in Nazionale.
Il nostro non si fa abbattere dalla rivalità ed entra nelle grazie del suo predecessore ed in quelle dei tecnici che man mano si alternano sulla panchina del suo club.
Tra questi nomi come Zagallo, Telê Santana, Lazaroni: gente che siederà sulla panca della Nazionale Verdero, mica pizza e fichi.
Divide lo spogliatoio con elementi quali Zico, Socrates, Junior, Bebeto, Romario, Edinho, Aldair, Fillol, Mozer, Tita ed altri ancora.
Arriva in Nazionale, infine: prima convocazione a 23 anni, dopo aver conquistato un argento ai Giochi Panamericani nel 1983 ed un altro secondo posto ai Giochi Olimpici di Seoul, nel 1988.
Nelle stagioni al Flamengo approfitta dei frequenti infortuni di Leandro e si impone alla grande, finendo per essere adocchiato da alcune società europee, alla perenne ricerca di talenti sudamericani da far volare nel vecchio continente.
Un mediatore, uno di quelli che ricorda nelle fattezze e nei modi il mitico Andrea Bergonzoni, lo propone alla Roma: lui accetta, il suo club no.
Jorge sogna l’Europa, per completarsi come giocatore e per guadagnare di più.
Il Flamengo vuole monetizzare il più possibile.
Nasce una controversia che si protrae in tribunale.
A chiudere il cerchio arriva il Bayer Leverkusen, che dopo alcune peripezie paga moneta e vede finalmente cammello.
La Germania non è l’Italia: poco sole e parecchio freddo.
Per Jorginho non è un problema: da serio professionista si adatta perfettamente alla vita teutonica ed in campo si fa valere e rispettare.
Per un triennio è assoluto padrone della corsia di destra del BL: una novantina di gare e una decina di reti.
Per larghi tratti agisce da centrocampista.
Nessun trofeo, è un periodo di transizione per “le aspirine”.
Il rendimento di Jorge non passa comunque inosservato.
Nel mercato tedesco vige una regola non scritta, eppure quasi scientifica: i migliori giocatori vanno al Bayern Monaco.
Va così pure col brasiliano, che il Leverkusen spedisce in Baviera ricevendo in cambio un corrispettivo ben cinque volte superiore alla cifra versata nelle casse del Flamengo per acquisirne il cartellino.
Un affare in piena regola.
A Monaco si vive una fase storica altalenante: la squadra perde un campionato all’ultima giornata, vince quello successivo con Beckenbauer che in panchina sostituisce Ribbeck (entrambi C.T. della Nazionale Tedesca, in tempi diversi) e poi ondeggia nel terzo anno, con Trapattoni al comando, quando spende tutte le energie in Champions League, dove si ferma in semifinale.
Jorginho è titolare inamovibile.
A destra e, meno frequentemente che a Leverkusen, in mezzo.
Fa il suo, in una piazza importante.
Ma ha un paio di pesanti dissidi interni con alcuni dirigenti, in primis col Kaiser Franz, diventato nel frattempo Presidente della società tedesca.
Il suo ex compagno Zico, che allena in Giappone, gli propone di trasferirsi in Asia.
Il Kashima Antlers è un blasonato club dell’isola ed il giocatore accetta con entusiasmo la destinazione.
Per un quadriennio domina la scena, vincendo un campionato (1998) e presenziando da ospite pressoché fisso nelle classifiche dei migliori giocatori del torneo.
Inoltre in questo periodo la sua ascesa in Nazionale diventa inarrestabile.
Dopo aver portato a casa una Coppa America, nel 1989, ed aver preso parte ai deludenti Mondiali del 1990 in Italia, è nel 1994 che Jorginho pone il suo sigillo nella storia con la vittoria della Coppa del Mondo.
Negli Usa gioca alla grande, sfornando assist e prestazioni da urlo.
Nella finale contro l’Italia è costretto ad abbandonare il campo dopo una ventina di minuti di gioco, a causa di un indolenzimento muscolare.
Nulla toglie all’impatto avuto dal laterale sul trionfo dei suoi, che riportano a casa la Coppa più ambita interrompendo una maledizione che durava oramai da ventiquattro anni.
E lo fanno con una formazione compatta, pragmatica, mentalmente solida.
Inferiore ad altre precedenti per estro e talento ma concreta, oltre gli standard abituali.
E lo stesso Jorge è uno che sa essere risoluto, quando necessario.
Un terzino destro bravissimo in fase di spinta ed attento in difesa.
Buon marcatore, veloce, tecnicamente molto dotato, con un piede educato, più da centrocampista che da difensore.
A centrocampo viene impiegato spesso, durante la sua carriera: sia da laterale -anche in un modulo a 5, oltre che a quello classico a 4- che da interno, talvolta dinanzi alla difesa, più di rado dietro, addirittura da libero, a fine corsa.
Spinge, fornisce assist ai compagni, ha grinta, continuità, personalità.
Unisce l’abilità offensiva alla concretezza in ripiegamento.
Alterna spettacolari giocate dove scalda le folle con slalom ubriacanti a precisi tackle sull’avversario che decide di sfidarlo a duello.
Quando difende guarda sempre la sfera, piuttosto che gli attaccanti.
Quando attacca mantiene la testa alta e prova ad ingannare il nemico con movenze feline e finte e controfinte sinuose.
Coriaceo e corretto, nel 1991 vince il FIFA Fair Play Award.
Il trionfo mondiale negli Stati Uniti lo pone ai vertici delle classifiche di gradimento degli aficionados brasileri.
In maglia verdeoro disputa una sessantina di gare, chiudendo nel 1996 la sua avventura con la Nazionale.
In Giappone resta invece fino al 1999, quando cede alle sirene del San Paolo e torna in patria.
Dopo circa un anno la saudade per Rio de Janeiro lo porta a firmare per il Vasco de Gama, l’amata compagine paterna, ove vince un Campionato Brasiliano.
Il Fluminense è l’ultima stazione dove il treno Jorginho fa tappa.
Un abboccamento con gli argentini del Boca Juniors non va a buon fine e così a quasi 40 anni è tempo di inchiodare il fatidico chiodo alla parete, per appenderci gli adorati scarpini.
Un percorso importante, con picchi di assoluto rilievo.
E con l’accompagnamento costante della fede, che vede Jorge far parte degli Atleti di Cristo ed impegnarsi a fondo nel condividere e diffondere i principi basilari e il messaggio evangelico dell’associazione.
A Monaco di Baviera, nel vasto seminterrato dell’abitazione che la società gli ha concesso, organizza una sala di culto dove si incontra con amici e conoscenti vogliosi di approfondire la questione religiosa.
Partecipa a parecchi eventi benefici ed in Brasile fonda, dove è cresciuto, un istituto di assistenza sociale per bambini ed adolescenti (oltre duemila) che non manca di aiutare pure persone adulte in difficoltà, come capitato al collega Josimar, riportato sulla retta via dopo alcuni eccessi che ne stavano minando l’equilibrio mentale e la salute.
Durante questi anni Cristina -sì, proprio lei- gli ha dato quattro eredi: un bel maschietto e ben tre femminucce.
Ad oggi Jorge ha alle spalle una ultraventennale carriera da allenatore: per un quadriennio col Brasile, da vice di Dunga.
Poi diverse sue ex squadre: America, Flamengo, Vasco, Kashima.
E tante altre compagini brasiliane, oltre ad una esotica quanto breve parentesi negli Emirati Arabi, con l’Al-Wasl Sports Club.
Da tecnico nessun trofeo in bacheca, per quanto diverse avventure in panchina siano state più che positive.
Tornando alle cose serie: nel mio Resto del Mondo, in difesa a destra, schiero lui.
Un laterale estroso e nel contempo solido, fondamentalmente un centrocampista aggiunto e che si prende pochi rischi: tatticamente accorto ed inappuntabile.
Come piace a me.
La Roma tentò di portarlo in Italia anche quando militava nel Leverkusen, ma il Bayern mise sul tavolo più soldi.
Anni prima fu offerto all’Ascoli, ma non se ne fece nulla.
Più tardi invece fu proposto alla Fiorentina: idem come sopra.
Evidentemente era destino che il buon Jorginho dovesse misurarsi in altri campionati, ma non in quello italiano.
Peccato.
Per tanti appassionati della pelota sarebbe stato un bel vedere.
Per me, che lo inserisco nella lista dei pupilli, non ne parliamo nemmeno.
Volere del Signore, direbbe lui con indubbio convincimento.
Io, che dopo una onesta militanza da chierichetto oggi non credo manco nel calendario, con sincero rispetto fingerei di assecondarne la convinzione.
La sua ostinazione nel costruirsi una storia degna di nota, la sua forza nel replicare con carattere alle circostanze avverse della gioventù e la sua determinazione nel lottare per ciò in cui crede meritano autentica stima.
Jorginho – Jorge de Amorim Campos: Campione del Mondo e di tante altre cose.
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