• L’Arciere

Kiko Narváez

L’Arciere, sì.
Ma sarebbe da definirlo pure “inconsueto”.

Una categoria intrigante, quantomeno per il sottoscritto.
Gli “inconsueti”.
Quelli atipici, per usare un gergo più sportivo.
Quelli che hanno caratteristiche insospettabili, quando addirittura apparentemente incompatibili con la propria struttura fisica o le proprie caratteristiche esteriori oppure il proprio bagaglio tecnico.

Il regista sovrappeso che domina la scena in mezzo al campo.
La punta bassina che le prende tutte di testa.
Il mediano mingherlino che non perde un contrasto nemmeno a pagarlo.
Il portiere nano che vola all’incrocio dei pali a bloccare la sfera.
E così via.

Ah, dimenticavo.
L’attaccante spilungone che non è bravo nel gioco aereo ma che tecnicamente è uno spettacolo.
Ibrahimović?
Beh, lo svedese di testa ci sa fare.
Non è la sua migliore specialità, ma se la cava.

No, no.
La mente, in questo caso, vola in Spagna.
E precisamente a quel Francisco Miguel Narváez Machón, noto come Kiko.
Attaccante prestante ed iconico, vicinissimo a sbarcare nel campionato italiano agli inizi degli anni duemila e poi, a causa di infortuni persistenti, costretto al ritiro subito dopo.
Elemento che, per caratteristiche intrinseche, sublima la classica figura del calciatore che entra a pieno titolo nella cosiddetta categoria dei pupilli.


Kiko Narváez nasce a Jerez de la Frontera, nel sud-ovest della Spagna.
Provincia di Cadice e, in primis, Andalusia.
Una regione affascinante e seducente, tra le più intriganti della Penisola Iberica.

Lui, già da neonato, pare avviato al basket.
Alto e smilzo, cresce studiando il giusto e divertendosi con un pallone al piede.
Pallone da calcio, s’intende.

Invero, il piccolo Kiko il pallone ama intercettarlo e, ove possibile, fermarlo.
Con le mani, da portiere.
Poi si accorge che vederlo entrare in rete, quella avversaria, è un’autentica goduria.
E si trasforma così in attaccante.

Ha da poco compiuto dieci anni allorquando inizia a trotterellare nelle squadrette di quartiere.
In zona alcuni appassionati formano una piccola società giovanile il cui nome è un manifesto programmatico: UFRA (Unión de Feos y Raros Andaluces, cioè Unione degli Andalusi Brutti e Strani).
Kiko è dentro, prima di passare nel Pueblo Nuevo, club con un florido vivaio connesso al Cadice, la più importante squadra della regione.
E proprio dal Cadice il ragazzino è convocato, dopo un paio di anni, per un provino.
Lo supera agevolmente e, tredicenne, entra nel settore giovanile del Cádiz Club de Fútbol.
Il club milita nella Prima Divisione Spagnola, quindi il ragazzo è autorizzato a sognare.
La società è ben organizzata: gli procura l’alloggio, si occupa del vitto e di tutte le sue esigenze, gli paga gli studi e, come se non bastasse, gli offre la possibilità di partecipare a dei corsi di formazione professionale.
Perché gli allenamenti vanno alla grande, ma nella vita non si sa mai.


Francisco è sveglio e col cuoio tra i piedi ci sa fare.
Essendo belloccio e slanciato, le ragazzine se lo mangiano con gli occhi.
Lui corrisponde sguardi e quant’altro, senza però dimenticare di coltivare l’obiettivo primario: esordire in Primera División.

E ci riesce abbastanza presto, poco prima di soffiare sulle diciotto candeline.
Da qualche giorno sono terminati i festeggiamenti per la Pasqua del 1991 ed il Cadice è impelagato nella lotta per non retrocedere in seconda serie.
Per essere più precisi: è quasi spacciato.

Kiko Narváez si fa notare alla quarta presenza, ultimo impegno stagionale in campionato dei suoi, col valente tecnico degli andalusi -Ramón Blanco- che lo inserisce nella seconda frazione del match contro il Real Zaragoza.
Il Cadice è sotto per 0-1 e, nel contempo, l’Oviedo è in vantaggio per tre reti a zero contro il Castellon, che precede di un punto proprio lo stesso Cadice.
Serve una rimonta e Kiko si traveste da uomo dei miracoli, entrando con piglio deciso e mettendo a soqquadro la difesa avversaria: dapprima si procura un rigore poi realizzato dall’argentino Dertycia, El Tiburón (lo Squalo), una sorta di Batistuta dei poveri transitato senza fortuna proprio da Firenze, come Batigol.
E infine completa l’opera mettendo a segno la rete della vittoria per il suo team che, sulle ali dell’entusiasmo, va a superare anche il Malaga nello spareggio (ai rigori) in gara doppia e porta a casa una soffertissima e meritata salvezza.

Kiko Narváez, al Cadice

Kiko, tanto giovane quanto decisivo, è l’idolo dei gaditanos, come vengono chiamati gli abitanti di Cadice.
Il suo, di idolo, è il compagno Mágico González, estrosa punta salvadoregna che riscuote la simpatia e la stima pedatoria anche del mito Diego Maradona.

La storia si ripete dodici mesi più tardi, con gli andalusi che battono l’Unione Sportiva di Figueres agli spareggi e mantengono la massima categoria.
Kiko gol, come lo soprannominano i suoi tifosi, contribuisce ala salvezza con alcuni gol di pregevole fattura e con prestazioni degne di nota.

Non c’è dure senza tre.
Anzi, no: il Cadice, dopo due annate difficili, si aggiudica il premio (!) di peggior difesa del torneo, colleziona il maggior numero di sconfitte in campionato tra tutte le contendenti e retrocede mestamente in cadetteria.
Nell’ultima stagione Kiko Narváez non brilla, ma su di lui si sono già posati gli occhi di club di rilievo.

E d’altronde il ragazzo, nel frattempo, è assurto alla gloria anche grazie ad una Olimpiade -1992, a Barcellona- che lo ha visto protagonista assoluto.
La sua Spagna, con giocatori come Guardiola e Luis Enrique tra le fila, vince il proprio girone senza troppo penare.
Poi ai quarti elimina l’Italia di Cesare Maldini: 1-0, con rete di Kiko, già a segno in precedenza contro Colombia e Qatar.
Il 2-0 al Ghana, in semifinale, spalanca agli iberici le porte della finale dove il nostro sale in cattedra con una doppietta che schianta la resistenza della Polonia.
Il suo gol decisivo, al novantesimo minuto, scatena il tripudio e mette al collo della squadra la medaglia d’oro.

Kiko Narváez, che ha già esordito nella Nazionale maggiore, non può certo seguire il Cadice nella seconda serie, di conseguenza.
Sfoglia la margherita delle offerte e, d’accordo col club d’appartenenza che riceve un bel po’ di contante in cambio del suo cartellino, opta per la firma con l’Atletico Madrid, dove va a sostituire Paulo Futre, ceduto -a stagione in corso- pochi mesi or sono.

A Madrid l’atmosfera è caliente e l’ambiente mette pressione sulla squadra.
Un salto epocale rispetto al contesto precedente, impregnato di passione ma indubbiamente più ovattato in confronto a quello “infernale” della capitale.

Kiko non ci mette molto a diventare l’idolo della torcida dei Colchoneros.
Il vulcanico presidente Gil lo prende subito sotto la propria ala protettiva.
La stagione però è alquanto deludente, con ben sei cambi in panchina (superando il record dell’annata precedente: 5) ed un anonimo campionato di metà classifica, con precoci eliminazioni in Coppa del Re ed in Coppa Uefa.

Dopo aver partecipato agli europei Under 21 in Francia, vincendo la medaglia di bronzo, non rientra tra i convocati per i Mondiali di USA 1994, dove la Roja saluta ai quarti uscendo contro l’Italia di Roberto Baggio.


Il bailamme tecnico a Madrid prosegue pure nel seguente torneo, con l’Atletico che chiude in affanno, appena oltre la soglia minima necessaria per salvarsi dalla retrocessione.
L’attaccante fa il suo ed inizia inoltre a carburare in fase realizzativa, mettendo a verbale una decina di centri e raddoppiando quindi quelli della precedente annata.

La svolta arriva nel 1995, con l’ingaggio di Radomir Antić a guidare le sorti del gruppo biancorosso.
Lo jugoslavo assembla un team coeso e coriaceo, che basa la sua forza sul collettivo e su alcune individualità di rilievo come quelle dell’affidabile portiere Molina, del grintoso argentino Simeone in mezzo al campo, del geniale Caminero nella zona intermedia, dell’imprevedibile serbo Pantic sulla trequarti e, soprattutto, di una coppia offensiva affiatata e prolifica composta dal bravo centravanti bulgaro Penev e, per l’appunto, da Kiko Narváez.
Un 4-3-3 camaleontico e versatile, che riesce a centrare un sorprendente quanto meritato doblete portando a casa sia la Liga -precedendo il Valencia di Mendieta- che la Coppa del Re, superando in finale il forte Barcellona di Johan Cruijff, tra l’altro terzo in campionato.

Kiko Narváez, Atletico Madrid

Un risultato straordinario per l’Atletico Madrid e per Kiko, figura di spicco del trionfo dei suoi con undici reti ed una lunga serie di ottime prestazioni a corredo.
La convocazione ai Campionati Europei del 1996, in Inghilterra, è la naturale conseguenza di un percorso di crescita evidente e continuo.
L’allenatore Clemente, che lo conosce sin dai tempi delle rappresentative giovanili, vede Kiko come una variabile impazzita da utilizzare nelle partite più ostiche, quelle che non si riescono a sbloccare o che necessitano di rimonta.
Un giocatore, quindi, in grado di rompere gli schemi e di dare un contributo fondamentale alle Furie Rosse, sia da subentrante che, quando capita, da titolare.
La Spagna non va oltre i quarti, però, eliminata dai padroni di casa dopo i tiri dal dischetto (0-0 al termine dei tempi regolamentari e supplementari).

Questa fase rappresenta il picco della carriera del nostro Kiko Narváez.
Tranne che per alcuni sprazzi tra i quali il Mondiale del 1998, man mano le cose inizieranno a cambiare.
E, nemmeno a dirlo, in peggio.

Kiko è stato un calciatore dal profilo decisamente atipico, come detto.
Un metro e novanta di altezza ed un eccelso bagaglio tecnico che, nella maggior parte dei casi, appartiene a calciatori di baricentro basso.
La sua intelligenza tattica, davvero ragguardevole, gli consente di anticipare le mosse degli avversari, quando non addirittura quelle dei suoi stessi compagni.
Bobo Vieri, che ha formato con lui una coppia d’attacco deliziosa nella stagione 1997-98, descrive meglio di chiunque altro le caratteristiche del compagno: “Con Kiko mi intendevo alla perfezione. Ho giocato con fuoriclasse assoluti, ma lui era veramente unico, sia per intelligenza tattica che per tasso tecnico. Fisicamente era un carro armato, inoltre. Giocava sempre di prima e vedeva l’azione prima di chiunque altro. Tu andavi e lui già sapeva dove mettere la sfera. Un attaccante incredibile.”
Un partner offensivo ideale, insomma: perfetta seconda punta in abbinamento con un centravanti più statico e dotato di maggior senso del gol, caratteristica non tra le migliori del calciatore andaluso.
Che comunque qualche golletto lo ha segnato, eh.
Non devastante nel gioco aereo, invece, nonostante la statura.
E con una certa tendenza ad assentarsi dal match, in alcuni frangenti.
Infine la sfortuna ci ha messo lo zampino, pesantemente, con gli infortuni alle caviglie -operate entrambe e quasi in contemporanea- che ne hanno irrimediabilmente compromesso la carriera.


Pur in una fase altalenante, Kiko è comunque tra i convocati della spedizione iberica che vola in Francia per i Mondiali del 1998.
Parte titolare nella disfatta con la Nigeria (2-3), poi entra nel pari col Paraguay (0-0) e nella vittoria con la Bulgaria (6-1), peraltro mettendo a segno l’ultimo gol della Spagna.
Non basta, per superare il turno.
Gli iberici tornano subito a casa.
E dopo meno di una trentina di gare con le Furie Rosse -oltre a quelle nelle nazionali giovanili- si ferma in Francia la storia tra la Nazionale ed il giocatore.

Mondiale 1998

Kiko Narváez continua il suo percorso all’Atletico Madrid, che presto entra in crisi societaria.
Sebbene vengano acquistati calciatori forti come Vieri, Jugovic, Juninho, Valerón, Hasselbaink, Baraja, Venturin, Chamot, Gamarra e altri e pur offrendo la guida tecnica allo stratega Arrigo Sacchi, il cammino dei madrileni è parecchio ondeggiante.
Fin quando nel 2000, con l’italiano Ranieri e il totem Antic a darsi il cambio in panchina per tentare -inutilmente- di invertire la rotta, arriva la caduta negli inferi della seconda divisione.

Una mazzata tremenda.
Come se non bastasse, la finale di Coppa del Re persa con l’Espanyol accentua la sofferenza dei Rojiblancos.

Kiko, in netto calo di rendimento a causa degli infortuni e deluso dal naufragio di due trattative con Lazio e Milan, entrambe saltate per lo stop al giocatore durante le visite mediche, accetta di esserci pure in Segunda División.
Prova a riportare su l’Atletico, da vero capitano, ma senza lieto fine.
Un anno dopo, invece, l’esplosione del promettente bomber Fernando Torres consente alla società della capitale di raggiungere lo scopo.
Ma il protagonista della nostra storia è già altrove.

Oramai non segna più manco con le mani ed il fisico non regge i ritmi forsennati del calcio moderno.
Kiko Narváez non vuole arrendersi e firma con l’Extremadura, ancora in seconda serie, sperando di potersi rilanciare in provincia.
A fine stagione, con il club retrocesso, ha un paio di abboccamenti con squadre inglesi prima di convincersi, a soli trent’anni, di dover chiudere col cortisone e col calcio giocato.

Extremadura

Quando fu cercato dalla Lazio mi entusiasmai.
Per quanto il meglio fosse ormai alle spalle, l’idea che un calciatore così “speciale” potesse indossare la casacca biancoceleste mi stuzzicava alquanto.
Non come quando si parlava del mitico Julen Guerrero, certo.
Per quanto la Lazio in quegli anni, con Mendieta e de la Peña…
Andiamo oltre, va.

Chiusa l’epopea da calciatore, per Kiko è iniziata l’avventura come commentatore sportivo.
Ha interessi anche nel marketing e nella pubblicità e gioca a padel, nel tempo libero.
Quelle caviglie che lo hanno costretto a far calare il sipario sulla sua professione oggi gli consentono di praticare quantomeno un pizzico di sport, per fortuna.

La sua maggiore soddisfazione, oltre alla Liga vinta con l’Atletico e alla medaglia d’oro conquistata alle Olimpiadi, è quella di aver dato gioia ai suoi tifosi, che ancora oggi lo ricordano con grande affetto.
Fuori dal campo l’amata Patricia e le sue due figlie rappresentano la vera felicità, unitamente alla sua famiglia d’origine, col padre che gli ha fatto da procuratore e la madre che lo ha accudito pure quando si è trasferito a Madrid.

Un ragazzo simpatico, intelligente, con la testa sulle spalle.
Con dei colpi da prestigiatore e quella esultanza, simulando le movenze di un arciere, che è rimasta indelebile nella memoria di tutti gli appassionati di calcio degli anni novanta ed è stata imitata da una lunga serie di compagni ed eredi.

Kiko Narváez, oggi

Kiko Narváez: l’Arciere.

V74

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *