- Vichingo di Coppe
Lárus Guðmundsson
Come già detto, seguo il calcio islandese da tempo immemore.
Oggi, con internet, è quasi una passeggiata di salute.
In passato era molto più difficoltoso documentarsi a riguardo, senza alcun dubbio.
Il vantaggio era -ed è- che la memoria tendeva a lavorare con maggiore intensità e, spesso, con più acume rispetto alle attitudini odierne.
Comunque mai avrei pensato di andarci a vivere, in Islanda.
Ed invece per diversi anni è stata casa mia.
Evidentemente era destino.
E chissà che non possa esserlo ancora, in futuro.
Molti calciatori islandesi hanno intrecciato il proprio cammino con il campionato tedesco e con quello belga, due tornei che storicamente mi hanno regalato emozioni indelebili.
Di qualcuno si è raccontato, su queste pagine.
All’appello manca un altro mito vichingo, però: Lárus Guðmundsson.
Attaccante fisicamente imponente e tecnicamente dotato, fermato dalla sfortuna nel miglior momento della carriera.
Mancano un paio di settimane al Natale del 1961 allorquando il nostro mette la sua testolina fuori dal pancione della bella madre Sunneva e si affaccia in quel di Reykjavík.
L’Islanda degli anni sessanta è un tormentato working in progress con prospettive non eccelse: la società si basa sulla figura femminile che governa la casa ed organizza la giornata, con gli uomini deputati a sfruttare le poche risorse che l’arido territorio ed il clima rigido consentono di utilizzare per la produzione.
I giovani non emigrano facilmente, anche a causa degli scarsi collegamenti con la terraferma e delle possibilità economiche non esaltanti.
Lo scenario muterà notevolmente qualche decennio più tardi, per fortuna, ma nel periodo in oggetto per gli adolescenti l’unica fonte di divertimento e di crescita è lo sport, oltre alla cultura che, ovvio, forma sia lo spirito che la mente.
Larus ama le attività sportive ed ha ereditato il nome dal nonno e la corporatura dal padre: fisico slanciato, asciutto, tonico.
Papà Gudmund è fiero ed orgoglioso del suo protetto, per quanto lo invogli a non mettere da parte gli studi, oltre che a divertirsi con gli amichetti.
Alto e snello, il ragazzo riesce ad ottenere ottimi risultati nell’atletica, in particolar modo nella corsa.
Un prospetto di sicuro interesse, se non fosse che a lui della corsa interessa il giusto, cioè come metodo di allenamento per prepararsi a quello che è a tutti gli effetti il suo sport preferito: sua maestà il Calcio.
In Islanda, oltre all’atletica, si pratica soprattutto la pallamano.
Anche il basket avrà un suo exploit, di lì a poco, grazie alle gesta da NBA del mitico gigante Pétur Guðmundsson.
Nel calcio gli osservatori europei iniziano a mettere nel mirino i migliori elementi isolani: professionisti seri, atleti di ottimo livello e, non di rado, talenti discreti.
L’identikit corrisponde in pieno al buon Gudmundsson, che fin da giovanissimo attira su di sé gli sguardi interessati degli scout islandesi.
A 16 anni è tra i migliori prospetti nel settore giovanile del Víkingur, club della capitale di buone tradizioni e con un florido vivaio.
La squadra ondeggia nella zona mediana della graduatoria, in prima serie.
Ogni tanto si affaccia nelle zone che contano, pur non riuscendo a centrare posizioni di rilievo.
Un campionato modesto, un ambiente tranquillo ed un club senza pretese eccessive: le componenti ideali per far esordire ragazzi in cerca di gloria e poi, nel caso, cedere i più promettenti al miglior offerente.
Larus si mette immediatamente in evidenza ed in in baleno è titolare nel Vikingur, diventando il più giovane marcatore in Úrvalsdeild di sempre, fino a quel momento (appena sedicenne).
Gioca nel distretto di Fossvogur per un quadriennio, nel quale conduce i suoi alla qualificazione in Coppa Uefa dopo aver sconfitto l’Akranes (2-1) nello spareggio per accedere alla competizione continentale, dove il sorteggio si dimostra impietoso: dall’urna difatti viene fuori il forte Bordeaux di Giresse, Lacombe e Trésor, allenato dal futuro C.T. della Francia Campione del Mondo nel 1998, Aimé Jacquet.
Un doppio 4-0, sia all’andata che al ritorno, e gli islandesi allenati dal russo Sedov salutano la competizione in men che non si dica.
Contro la ruvida difesa transalpina Lárus Guðmundsson trova pochi spazi, ma sufficienti a dare l’idea che il giocatore abbia importanti margini di crescita.
La fugace vetrina europea fa il paio con quella internazionale: infatti l’islandese ha già esordito pure nella sua Nazionale d’appartenenza, nel 1980, dopo che già tre anni prima aveva militato nella Under 17 e dopo nella Under 19 e nella Under 21.
Un predestinato.
Nella stagione successiva Gudmundsson trascina il Víkingur alla vittoria del campionato, con le sue ottime prestazioni e con un bottino di reti -12- che lo issano in vetta alla graduatoria di capocannoniere, in coabitazione con il suo ex compagno Þorleifsson, passato all’ÍBV, nelle isole Vestmannaeyjar.
Il Víkingur bisserà la vittoria dopo dodici mesi, col bomber Karlsson che farà le veci di Larus, ceduto nel frattempo ai belgi del Thor Waterschei di Genk.
Il trasferimento nelle Fiandre, più precisamente nella provincia del Limburgo, non crea eccessivi patemi nell’attaccante, dispiaciuto di doversi momentaneamente allontanare dalla famiglia e dai suoi affetti ma altresì voglioso di mettersi in gioco in realtà professionalmente più organizzate e competitive.
Agli inizi degli anni ottanta il Thor vive il suo miglior periodo in assoluto, da quando è stato fondato (1919).
Ha vinto di recente una Coppa del Belgio e ambisce a scalare posizioni nella Division 1.
Lárus Guðmundsson arriva a rinforzare una compagine che basa la sua forza sull’agonismo e la compattezza del gruppo.
Al termine della prima stagione Mago Larus fa sparire un paio di palloni e li fa ricomparire nella porta avversaria, guidando così i suoi alla conquista della seconda Coppa del Belgio con una doppietta che piega la resistenza del Waregem e consegna il trofeo ai gialloneri di Genk.
Un altro ornamento in bacheca, buon viatico ad una carriera che si preannuncia alquanto foriera di soddisfazioni.
A Genk arrivano altri buoni elementi e la squadra inizia a prendere consapevolezza della propria forza: il coriaceo Leo Clijsters (compianto padre della celebre tennista Kim e pilastro del Malines dei miracoli più avanti e dei Diavoli Rossi per anni) ed il solido nazionale ungherese Martos compongono la diga centrale di difesa.
In mezzo al campo una selva di buoni mestieranti e davanti lui, Larus Gudmundsson, a far coppia con le altre punte della rosa che si alternano al suo fianco a seconda delle esigenze tattiche della gara.
In Belgio sperano che possa ripercorrere le orme di Arnór Guðjohnsen -padre del più noto Eiður- che negli anni 80, tra Lokeren e Anderlecht, ha gonfiato parecchie reti da quelle parti.
In realtà Lárus Guðmundsson è un calciatore diverso, rispetto al connazionale: non è un bomber vero e proprio, pur vedendo abbastanza spesso la porta, quanto piuttosto una prima punta atipica dalla corsa fluida e capace di svariare sul fronte offensivo con incessante fervore, disorientando le linee avversarie con i suoi inserimenti.
Gioca col 9 e talvolta col 10 sulle spalle, finendo per poter essere definito un 9 e 1/2 a tutti gli effetti.
Non di rado arretra il suo raggio d’azione per aprire voragini dove far inserire i suoi compagni, ai quali fornisce parecchi assist.
Legge bene le varie fasi del match ed è in grado di aumentare l’impeto agonistico, quando necessario.
Le partite importanti non le sbaglia mai ed è bravo anche in fase di pressing, in particolar modo quando viene schierato da esterno di raccordo o da classica seconda punta.
Protegge bene la sfera e di testa sa farsi valere, sfruttando adeguatamente il suo metro ed ottantasette centimetri di altezza.
Ha un buon tiro di destro, mentre il sinistro è meno efficace dalla distanza.
Sgusciante ed imprevedibile, dalle movenze feline con finte di corpo che mandano al bar il diretto marcatore, pecca talvolta in concretezza e non sempre regge i novanta minuti di gara, pure per la estrema generosità che profonde sul terreno di gioco e la logica stanchezza che ne consegue.
Dopo aver vinto la Coppa del Belgio il Thor partecipa alla Coppa delle Coppe, dove si rende protagonista di una bella cavalcata sino alle semifinali, quando a fermare i minatori di Genk sono gli scozzesi dell’Aberdeen, allenati da un certo Alex Ferguson e destinati ad alzare il trofeo nella finale di Goteborg contro Il Real Madrid.
Sir Alex, al termine della gara vinta dai belgi per 1-0 (dopo l’1-5 dell’andata), spende parole di apprezzamento per Gudmondsson, sei reti nel torneo, che definisce attaccante moderno e pericoloso.
E che tale fosse lo si era capito ai quarti, contro i forti francesi del PSG di Rocheteau e Susic, che dopo aver battuto gli avversari a Parigi per 2-0 sono incappati in una serata da incubo nel ritorno a Genk, con lo stesso Larus che ha imperversato nella incerta difesa transalpina, crollata poi al termine dei supplementari.
Il risultato raggiunto in Europa è sorprendente e per il Thor rappresenta, purtroppo, il canto del cigno.
La società inizia ad avere problemi di liquidità e pochi anni dopo retrocede in seconda serie, andandosi a fondere poi con i rivali del Racing e confluendo infine nell’odierno Genk.
Lárus Guðmundsson non ha seguito i compagni nel baratro.
Nell’estate del 1984, per un corrispettivo di circa 700 milioni delle vecchie lire, è stato ceduto ai tedeschi del Bayer Uerdingen, ambiziosa società di Krefeld, in Renania, tornata in Bundesliga e col colosso farmaceutico presente nella denominazione che è pronto ad investire in maniera ingente.
A favorire la cessione è uno scandalo che scoppia fragorosamente nel calcio belga tra la fine del 1983 e l’inizio del 1984, quando la magistratura locale inizia ad indagare su un caso di corruzione inerente alla gara tra Standard Liegi ed appunto Thor Waterschei, ultima giornata della Division 1 del 1982.
Tramite amicizie comuni e parentele lo Standard aveva voluto garantirsi la vittoria finale, corrompendo gli avversari gialloneri ed evitando, più che altro, che potessero farlo altri, promettendogli un premio a vincere per fermare lo stesso Standard.
Squalifiche a profusione, ma classifica immutata.
I campioni vivranno anni di caos e risultati scadenti, mentre il Thor -come detto- si avvierà verso lidi tutt’altro che nobili.
Gudmudsson viene interrogato da un inquirente che mastica poco la lingua inglese: spiega che durante la gara si è impegnato al massimo, che nessuno aveva pensato di avvertire il giovane islandese della combine ma che lui in campo si era accorto di qualcosa, datosi che l’arbitro -ufficialmente non coinvolto nell’inchiesta- gli aveva negato un rigore solare senza dargli alcuna spiegazione, con nessuno dei compagni che avesse minimamente accennato ad una sacrosanta protesta bensì con un paio di senatori che nell’intervallo avevano “suggerito” al proprio tecnico di escludere il nordico dalla contesa, per risparmiarlo in vista delle finale della finale di Coppa che si sarebbe disputata un paio di settimane più tardi.
Larus esce pulitissimo dalla bagarre e fa le valigie per la Germania.
A Krefeld si ambienta benissimo con la sua futura moglie accanto e resta tre anni, mettendo su famiglia -un figlio ed una figlia- ed entrando nel cuore della tifoseria.
L’Uerdingen andrà, negli anni, a sviluppare un forte legame col territorio islandese, dal quale pescherà diversi elementi che faranno parte della sua storia.
Lárus Guðmundsson è nel novero dei migliori, non si discute.
Nella prima stagione vince la Coppa di Germania battendo in finale il fortissimo Bayern Monaco di Lattek, in un match memorabile dove col suo instancabile ondeggiare tra le linee mette in serio imbarazzo i centrali bavaresi (Augenthaler ed Eder, mica cavoli).
Il bravo tecnico Karl-Heinz Feldkamp ha plasmato un gruppo estremamente coeso, con alcune individualità di rilievo: l’autoritario portiere Vollack, il carismatico libero Herget, il grintosissimo stopper Brinkmann, gli imprevedibili fratelli Funkel, il potente attaccante Schäfer.
E naturalmente quello stampellone islandese che ricorda il Boniek “bello di notte” di agnelliana memoria.
Anche in campionato le cose non vanno male e la società, nell’ottica di rafforzare la rosa, ingaggia un altro islandese di forza e talento, Atli Eðvaldsson, ex Borussia Dortmund, prelevato dal Fortuna Dusselddorf dove ha giocato nelle ultime stagioni.
Il BU05 in Coppa delle Coppe arriva sino alle semifinali, fermandosi contro l’Atletico Madrid.
Nei quarti fa fuori la Dinamo Dresda in un confronto che entra nella storia del calcio tedesco.
“Il miracolo del Grotenburg”, dal nome dello stadio di Krefeld.
Una mistura folle di calcio, politica, mistero.
Un noir impregnato di adrenalina e schizofrenia che va in scena al ritorno, dopo che all’andata la Dinamo si era imposta in scioltezza per 2 reti a 0.
In Renania, al termine della prima frazione di gioco, il club della allora DDR conduce per 3-1.
Un massacro.
Ad essere disperati, oltre a giocatori e tifosi locali, sono i dirigenti della TV germanica.
Confidando in una gara equilibrata e resa caliente dallo scontro est-ovest, hanno puntato sulla partita in questione piuttosto che sulla match di Coppa dei Campioni tra il Bayern Monaco e l’Anderlecht, ben più equilibrato e, onestamente, ricco di qualità in campo.
Molti spettatori iniziano a sbadigliare nell’intervallo, pronti ad abbioccarsi sul divano nel secondo tempo.
Qualcuno, deluso, abbandona addirittura lo stadio in netto anticipo.
Nello spogliatoio del Bayer regna un silenzio irreale: lo spazza via Herget, che da vero leader ricorda ai compagni come certe figuracce restino impresse nella memoria collettiva per decenni.
Feldkamp, serafico ed astuto, pungola ulteriormente l’orgoglio dei suoi aggiungendo che, quantomeno, sarebbe il caso di non eccedere nel ridicolo.
Sammer, allenatore della Dinamo, ha invece altri problemi ai quali pensare: il figlio Matthias, futuro Pallone d’Oro, avverte un fastidio che lo costringe ad uscire dal terreno di gioco anzitempo.
Come se non bastasse pure il portiere Jakubowski è costretto ad abbandonare dopo un violento scontro con Wolfgang Funkel che gli costerà addirittura la fine della carriera, a causa di una spalla rotta.
Entra la sua riserva, Ramme, che fino a quel momento aveva disputato giusto un paio di amichevoli del giovedì.
Anche per lui la partita diventa una sorta di fine carriera, seppure per altri versi.
Infatti la Dinamo becca sei gol, uno firmato da Lárus Guðmundsson con l’aiuto di una deviazione, ed esce dalla competizione, tra l’esultanza dei responsabili della TV teutonica, con oltre diciotto milioni di tedeschi impazziti dinanzi al teleschermo a gustarsi la assurda ed imprevedibile rimonta.
Un anno prima, dopo aver battuto per 3-0 l’Austria Vienna in casa, la stessa Dinamo Dresda al ritorno ne aveva presi cinque (a zero) ed era uscita nei quarti, ancora in Coppa delle Coppe.
Un autentico dramma sportivo per loro, una incredibile impresa per gli avversari.
Novanta minuti entrati di diritto nel mito, con un dopo gara altrettanto movimentato dalla fuga di Frank Lippmann, attaccante del Dresda che sfida la Stasi e ripara ad Ovest, sparendo nella notte tra le immancabili accuse di combine e diserzione.
Gli andrà bene dal punto di vista umano, riuscendo a ricongiungersi con i suoi famigliari ed evitando ripercussioni che ad altri risulteranno fatali.
Come calciatore finirà nelle serie minori dopo una interminabile serie di infortuni, probabilmente figli delle innumerevoli maledizioni piovutegli sulla testa da est.
Una notte indimenticabile, insomma.
Col nostro Lárus in prima fila.
In campionato il BU si arrampica sino al terzo posto in graduatoria, il miglior risultato della sua storia.
La terza stagione di Lárus Guðmundsson in Germania è meno foriera di soddisfazioni, con qualche infortunio di troppo a limitarne le performances.
A fine anno giunge per l’attaccante islandese una offerta del Kaiserslautern, alla ricerca di una punta di valore da mettere davanti ad una interessante batteria di centrocampisti offensivi/trequartisti/mezzali come Wuttke, Hartmann e il giovane Basler.
L’ambientamento nel Palatinato è deludente, pure a causa dei succitati problemi fisici, ed a Pasqua il buon Larus sale in Islanda a far gli auguri ai parenti e resta lì, definitivamente.
In patria riparte dal suo Víkingur, che guida ad una comoda salvezza nel torneo maggiore.
Poi firma con i vice-campioni del Valur, dove disputa un’annata poco brillante.
In seguito milita per un biennio nel neopromosso Stjarnan di Garðabær, in pratica sotto casa sua.
Primo anno discreto, con un buon quinto posto in classifica.
Secondo disastroso, con poche presenze ed una retrocessione in seconda serie che chiude mestamente la carriera di Guðmundsson.
Ultima gara contro il Fram, proprio in quel Laugardalsvöllur che una decina d’anni or sono lo ha visto esordire con la casacca vichinga.
Una carriera importante che, con un pizzico di fortuna, avrebbe potuto essere ancor più ricca di soddisfazioni.
In Nazionale Lárus Guðmundsson colleziona solo una quindicina di gettoni.
Pochissimi, per uno come lui.
Paga il pessimo rapporto con l’inglese Tony Knapp, che a metà degli anni ottanta guida la rappresentativa isolana.
Un peccato, perché Larus è un professionista impeccabile, posato ed educato, in grado di far gruppo con la sua simpatia e capace di esprimere un umorismo più italiano che islandese, tanto è diretto e coinvolgente.
Resta nel mondo del calcio operando nello scouting e fonda il Knattspyrnufélag Garðabæjar, club che provvede ad organizzare, presiedere e governare, oggi in 3° Deild, la quarta serie islandese.
Apre anche una agenzia di pubblicità e lavora nel settore dell’imprenditoria.
Dedica il tempo libero alla sua adorata famiglia, soprattutto ai suoi nipotini, essendo diventato felicemente nonno.
Ama gli animali e si diletta a mantenersi in forma con vari sport.
Tramite i social resta in contatto con molti amici, compagni e tifosi che non lo hanno dimenticato.
Quando può, viaggia e ripercorre con la mente e col cuore i tanti luoghi che da calciatore lo hanno visto protagonista di storie indimenticabili.
Lárus Guðmundsson: Vichingo di Coppe.
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