• 2020

Lasciami andare

Finalmente.
Finalmente sì.
Dopo mesi si torna al Cinema, quello vero.
Recentemente un paio di cose alquanto interessanti le ho perse/rimandate per motivi sin troppo inemendabili, indi stavolta mi sono organizzato per tempo.


Ammetto che del film in oggetto –Lasciami andare– non ho letto alcunché tranne che uno sprazzo di trama, che mi è parsa interessante.
Il cast, con alcuni protagonisti del cinema italiano odierno, non è propriamente quello dei miei sogni.
Sarà che pur essendo bravi, tutti, ho difficoltà estrema a trovarne uno di loro che mi ispiri simpatia, a pelle.
Accorsi, bravo, vincerebbe a mani basse il contest interplanetario delle facce da stronzone, qualora ne organizzassero uno.
La Golino, brava, mi trasmette un senso di isteria che sto già per entrare in farmacia.
La Rossi e la Sansa, brave, non le ho ancora inquadrate a fondo, ma pure loro hanno qualcosa di urgente tisana camomilla e tiglio.

Messe da parte tutte le remore del caso, mi sono accomodato.
Rigorosamente in solitaria, spettatore unico: il giovedì è la regola.
Sala privata e nessun accompagnamento, datosi che avevo proprio voglia di riprovare l’ebbrezza della visione “ad personam”, come accaduto in periodi nei quali ogni piccolo particolare poteva fare -ed ha fatto- la differenza tra il giorno e la notte, per il sottoscritto.

Lasciami andare

*Lasciami andare* è diretto dal relativamente giovane regista Stefano Mordini.
Tratto da un romanzo dello statunitense Christopher Coake, è stato presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2020.
Per i capiscioni è molto, per me è stigrancazzi.

La fotografia è piacevole soprattutto negli esterni, agevolata dagli scorci di una città che è cinematografica di per sé.
Niente male la colonna sonora, ombrosamente liquida, curata da Fabio Barovero, dei torinesi Mau Mau.
Attori ben calati nella parte, guidati dalla mano evidentemente ferma e lineare di Mordini.
Accorsi su tutti, idem le altre protagoniste e le poche figure di secondo piano.

Tutto bello, insomma?
No.
Decisamente no.


La sceneggiatura, scritta a più mani tra le quali quella dello stesso Mordini, risulta essere poco lineare, al contrario della regia.
Non è una novità nel mondo del cinema e non è neanche un controsenso in senso assoluto, ma finisce col diventarlo nello specifico.
In maniera fastidiosa, tra l’altro.

*Lasciami andare* dovrebbe essere un noir a tinte emozionali, un giallo incentrato sul complesso meccanismo sentimentale che gli ruota intorno e ne definisce intrigantemente i confini, teoricamente onirici e quindi paradossalmente indefinibili.
Invece si trasforma, suo malgrado, in un thriller didascalico dove la trama si irrigidisce prima che sia buio e, di conseguenza, fa svanire presto l’illusione del mistero e delimita i succitati confini come se fosse un solerte geometra del catasto.

Il devastante senso di colpa del protagonista maschile, in una Venezia che affonda come l’anima dell’uomo ma che -proprio come lui stesso che attende un altro erede- ha un irrefrenabile desiderio di rinascita, è l’assunto di partenza di un canovaccio che dovrebbe man mano incuriosire lo spettatore fino al colpo di scena finale, senza evidenziare frequenti cali di tensione e senza abusare di espedienti francamente banalotti che risultano essere indigesti sin dall’inizio.

Inoltre i comprimari appaiono poco definiti e mal sviluppati: un contorno che oltre a non accompagnare adeguatamente la pietanza principale, finisce col toglierle anche parte del gusto, che non era gourmet già dal menu.

A dirla tutta gli elementi per tirare fuori qualcosa di magico ci sarebbero tutti: ma tutti, oh.
Evito di elencarli per ragioni di spoiler, ma non ne manca uno che sia uno.
In teoria.

Questo è un merito sia di chi ha scritto il romanzo e sia di chi ha lavorato sull’idea del film, ma diventa un limite insostenibile nel momento in cui la piattezza prende il sopravvento sul rimanente del pianeta.


Tutto brutto, allora?
No.
Decisamente no.

Noir psicologici e thriller sovrannaturali sono roba per numeri 1, intendiamoci.
Se va male, è un fallimento epocale.
Altrimenti si entra nella Storia.
In Italia, paese di santi, poeti, navigatori e figli di buona donna, si contano sulle dita di una mano mozza quelli che dispongono di coraggio e follia per azzardare in codesta direzione, quanto mai rischiosa, per l’appunto.
Mordini ha osato, onore a lui.
Finendo impantanato come nemmeno a Venezia con l’acqua alta, però.
E non alla fine ma nel mezzo del cammin, purtroppo.

L’aver osato potrebbe essere un accenno di pregio, sì, sebbene finisca per generare rimpianti.
Parecchi rimpianti.
Perché *Lasciami andare* è un’occasione persa.
-Da vedere?
Si, non fa male.
-Da rivedere?
No, una tantum è sufficiente.
-Da consigliare?
No, tranne nel caso Vi serva un alibi.


Il vero problema, quello centrale, è che manca la liturgia che un’opera simile dovrebbe assolutamente possedere.
Ed è un’assenza che pesa.
Pesa tantissimo.
La mia impressione -sarei pronto a scommettere di non essere il solo a pensarla così- è che ci si sia concentrati sulla confezione, intesa come atmosfera, tralasciando la sostanza, intesa come pathos.


In soldoni: bella cornice, quadro mediocre.

Lasciami andare: 5

V74

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