• Il Toro di Dongelberg

Marc Wilmots

Il Toro di Dongelberg, perchè Marc Wilmots -protagonista del nostro racconto odierno- è nato per l’appunto a Dongelberg, un piccolo villaggio facente parte del distretto della città di Geldonia, situata al centro del Belgio, nella provincia del Brabante Vallone.

E perché il sottoscritto è un galantuomo, quantomeno a tratti, e preferisce evitare di inserire nel sottotitolo quello che è a tutti gli effetti il vero e proprio soprannome con il quale Marc è universalmente conosciuto: il Maiale da Guerra (o il Maiale/Cinghiale da Combattimento, in una versione leggermente più edulcorata).

Nomignoli forti, verrebbe da dire.
Meritati?
Sì, perché Wilmots è stato un giocatore atipico quanto forte, sia fisicamente che caratterialmente, oltre che -s’intende- calcisticamente.


Marc Wilmots nasce nel febbraio del 1969: la madre ha origini francesi, il padre è fiammingo.
Entrambi si dilettano nel lavorare la terra e nel raccoglierne i frutti, dopo parecchi sacrifici.
Educano il figlio alla cultura del lavoro ed il piccolo Marc li ripaga con delle discrete pagelle, a scuola, e con ottimi risultati nello sport.
Se la cava infatti alla grande nell’atletica, col suo fisico che inizia a formarsi con slancio e vigore.
Ma, in primis, si diverte moltissimo a giocare a calcio.
E sembra pure bravino, tanto da ritrovarsi ben presto a far parte dei giovanissimi dello Sporting Club Jodoignois, società della zona.
Il padre lo accompagna agli allenamenti, ricordando al ragazzo che nella vita è l’impegno che si mette nelle cose che si fanno a far (quasi) sempre la differenza nei risultati che poi si raccolgono.

Marc è sveglio e capisce l’andazzo: in campo è una furia e si spende al 100% per la squadra e per i suoi compagni.
Gioca dalla metà campo in su e ad accorgersi di lui sono gli osservatori del Sint-Truiden, compagine dell’omonima città della regione del Limburgo Belga, nelle Fiandre.
A soli sedici anni Wilmots firma con i gialloblu e si ritrova in seconda serie, in quello che è a tutti gli effetti un torneo professionistico.
A 18 anni è titolare della squadra: gioca in posizione offensiva ed insieme al bomber Stef Agten trascina la squadra in prima serie, imponendosi pure come capocannoniere.

Sint-Truiden

Un sogno, per il ragazzo, quello di sbarcare giovanissimo nel massimo campionato nazionale.
Quello che non può immaginare è che ad aspettarlo in Division 1 è il Malines, che lotta per il titolo in patria e che si sta imponendo pure a livello continentale, avendo appena portato a casa una storica Coppa delle Coppe dopo aver sconfitto in finale l’Ajax di Wouters, Winter e Bergkamp.

Il portierone Michel Preud’homme, il roccioso difensore Lei Clijsters, il solido mediano Marc Emmers, il grintoso centrocampista Erwin Koeman, l’estroso attaccante Eli Ohana.
Giusto per citare alcuni dei protagonisti principali di un team che con l’acquisto del promettente Marc Wilmots prova rafforzarsi ulteriormente, in vista degli impegni futuri.

Il giovane si ambienta con estrema rapidità nel nuovo contesto, creando un ottimo feeling con il tecnico olandese Aad de Mos, che guida la compagine belga.
Il Malines vince il campionato e Wiilmots gioca con continuità, ricevendo il premio di miglior giovane del torneo.
Il trionfo (nel doppio confronto) sui Campioni d’Europa del PSV Eindhoven allenati da Hiddink e guidati in campo da Romario, Ronald Koeman, Gerets e Lerby vale ai belgi la Supercoppa Europea, messa in bacheca con pieno merito.
In Coppa delle Coppe gli uomini di de Mos debbono invece arrendersi in semifinale alla forte Sampdoria di Mancini e Vialli.

L’anno dopo il Malines partecipa alla Coppa dei Campioni ed arriva sino ai quarti di finale, venendo eliminata -con enorme sofferenza, va detto- dal super Milan di Sacchi, che poi andrà a vincere la competizione.
In campionato arriva un abbastanza deludente terzo posto.
Dodici mesi più tardi il Malines chiude secondo, alle spalle dei campioni dell’Anderlecht, e perde la finale di Coppa del Belgio contro il Bruges di Ceulemans (1-3), iniziando a manifestare diversi problemi societari che, anni dopo, porteranno i giallorossi sino alla retrocessione in cadetteria.

Wilmots, Malines

Marc Wilmots, che dopo aver esordito nella Under 19 e nella Under 21 è oramai nell’orbita della Nazionale maggiore, viene così ceduto allo Standard Liegi, per fare cassa.
A Liegi vi è una società importante, di tradizione, con una tifoseria calda e passionale.
L’investimento per il calciatore è di quelli “pesanti”, col padre-agente di Marc che riesce ad ottenere per il figlio un contratto pluriennale molto remunerativo.

In Vallonia ci sono stato diverse volte.
Il Belgio ha fascino: Bruges, Gand, Anversa, Arlon.
Liegi non mi ha esaltato, onestamente.
Ma non è poi tanto male e comunque ci sono città come Maastricht, Aquisgrana ed altre ancora ad un tiro di schioppo.
E per un calciatore professionista le priorità sono altre, anche perché con quello che entra sul conto a fine mese si può generare la bellezza pure nel bagno pubblico della stazione ferroviaria di riferimento (che a Liegi è un’opera d’arte, tra l’altro), quantomeno nella maggior parte dei casi.

Wilmots si inserisce subito e bene nel club, con l’allenatore olandese Arie Haan che punta su di lui senza alcuna remora.
Lo Standard non riesce però ad imporsi, in patria.
Arriva dapprima terzo, poi secondo.
Bruges ed Anderlecht portano a casa il campionato, mentre a Liegi debbono consolarsi, si fa per dire, con la Coppa del Belgio edizione 1992-93 (2-0 allo Charleroi).

Nella stessa stagione, in un pirotecnico 8-4 contro il Gent, Marc Wilmots realizza addirittura sei reti nello stesso incontro, tre delle quali messe a segno in soli sei minuti.

La squadra non è affatto male, eh.
L’esperto portiere Bodart, il promettente terzino destro Genaux -bravo quanto sfortunato, sia con gli infortuni che con il destino avverso-, il forte libero brasiliano André Cruz -in Italia con le maglie di Napoli, Milan e Torino-, il solido centrale difensivo rumeno Rednic, l’elegante stopper e nazionale belga Demol, l’ottimo cursore di fascia sinistra Leonard, il grintoso mediano Bisconti, il poliedrico mancino Vervoort, il prolifico attaccante olandese Vos, il buon centravanti Gossens ed altri ancora.
Si lotta per vincere, insomma.
Però i risultati sono abbastanza modesti, se rapportati alle aspettative.
In Europa lo Standard Liegi traballa e nella Division 1 non primeggia.
La vittoria in Coppa Nazionale, dopo un lungo periodo di “buio”, si trasforma quindi un toccasana per i tifosi e per gli stessi membri della società biancorossa.

La clamorosa sconfitta interna contro l’Arsenal, 0-7, in Coppa delle Coppe, è pochi mesi dopo il segnale di crisi, sportiva e – ahimè- anche economica.
A Liegi hanno investito parecchio, sia nella rosa della prima squadra che per i lavori di ristrutturazione dello stadio.
I conti iniziano a non quadrare e diversi giocatori finiscono sul mercato a stagione ancora in corso.
Eppure lo Standard sfiora il miracolo, di lì a breve, arrivando a contendere lo Scudetto ad un Anderlecht che si imporrà soltanto dopo un discutibilissimo gol annullato proprio a Marc Wilmots: gol che avrebbe, con molte probabilità, regalato il meritato successo ai suoi nello scontro diretto e, di conseguenza, nel torneo.
Le marcature del bomber australiano Vidmar non bastano a colmare la delusione e lo Standard Liegi dovrà attendere altri tredici anni prima di riuscire a salire sul gradino più alto del podio belga.

Marc Wilmots, Standard Liegi

Wilmots, che continua a segnare come una punta e a lottare in mezzo al campo come un centrocampista, inizia a guardarsi intorno.


In fondo ha già un paio di Mondiali alle spalle, sul curriculum.
Nel 1990, in Italia, è spettatore non pagante nel Belgio del santone Guy Thys e di ottimi calciatori come Ceulemans, Gerets, Preud’homme, Scifo e Clijsters, che esce -con un pizzico di sfortuna- agli ottavi contro l’Inghilterra di Lineker, Gascoigne e Platt.

Nel 1994, agli ordini del C.T. Paul Van Himst, ritorna nella rappresentativa dopo un esilio forzato di un paio di anni (a causa di qualche alterco con staff tecnico e dirigenti federali) ed entra in squadra nella terza gara, giocando malissimo in una brutta sconfitta dei suoi contro l’Arabia Saudita (0-1).
I Diavoli Rossi passano il girone come migliore terza in virtù delle vittorie -entrambe per 1-0- su Marocco ed Olanda.
Agli ottavi di finale Wilmots si riaccomoda in panca ed il Belgio esce con la Germania Ovest (2-3).

Non sono due avventure indimenticabili, certo.
Ma fanno “scena”, in qualche modo.
E poi il giocatore è forte e versatile.
A lui si interessano diverse compagini.

La spuntano i tedeschi dello Schalke 04, che superano la concorrenza di almeno altri tre club di Bundesliga e convincono il belga a trasferirsi a Gelsenkirchen, nella zona occidentale del territorio tedesco e a poca distanza dal confine con la Vallonia, in cambio di un ricco contratto pluriennale.
Lo Standard Liegi incassa un corposo assegno per liberare il ragazzo, che sbarca in Germania nel piano della sua maturità calcistica.

Marc Wilmots, Schalke 04

Lo Schalke è giunto terzo in campionato, alle spalle dei Campioni del Borussia Dortmund e del Bayern Monaco.
Le ambizioni non mancano e la squadra è più che discreta: in una rosa di valore spiccano il portiere Lehmann, l’attaccante Max, il difensore Linke e, soprattutto, il leader Thon.
Wilmots porta fisicità e grinta e trascina i tedeschi alla storica vittoria della Coppa Uefa, nel 1997, sconfiggendo in finale l’Inter allenata dall’inglese Roy Hodgson.
Nel doppio confronto i teutonici vincono in casa per 1-0, gol proprio di Marc.
Al ritorno a Milano l’Inter si impone col medesimo risultato, con una rete di Zamorano nel finale.
Ai supplementari il punteggio non cambia ed ai rigori a trionfare è lo Schalke,
Wilmots segna il suo penalty, l’ultimo, e mette il sigillo su un torneo che ha giocato alla grande, con cinque reti ed una impressionante costanza di rendimento.


Marc Wilmots è stato uno dei migliori giocatori belgi negli anni a cavallo tra il secolo scorso e quello attuale.
Muscoli e anima: una autentica forza della natura, potente e risoluto, con grande personalità ed innegabili doti carismatiche.
Massiccio, eppure in gradi di muoversi con una certa agilità.
Destro al fulmicotone, sinistro non malvagio, abile anche di testa.
Gioca da centrocampista offensivo, quando non da punta vera e propria.
Un jolly della trequarti della squadra, per quanto il ruolo di trequartista classico sia quello che meno gli piace interpretare.
Primo centrocampista ad offendere, primo attaccante a difendere e, soprattutto, libero di muoversi con anarchia eppure in armonico equilibrio rispetto ai dettami tecnici imposti dall’allenatore di turno: un ossimoro, per capirci.
Aiuta la squadra in fase di ripiegamento e si propone in aiuto ai compagni.
Non di rado agisce dietro le punte -o la sola punta, talvolta- senza concedere punti di riferimento agli avversari, inserendosi a sorpresa e segnando con continuità da bomber.
Eccelle in foga agonistica, ma quasi mai con cattiveria.
Vuole vincere, sempre e comunque.
Bravo anche come uomo assist e sui calci da fermo, segna magnifici gol in acrobazia, infrangendo le leggi della fisica con la sua stazza apparentemente ingombrante e, per alcuni, goffa.
Possiede senso della rete e tempismo da centravanti di razza e mostra intelligenza tattica e “garra” da centrocampista di livello.
Evidenzia qualche piccolo limite quando la gara non va come vorrebbe lui: nel quel caso tende ad innervosirsi e ad uscire dal match.
Inoltre il suo fisico, di norma reattivo e pronto alla battaglia, cede di tanto in tanto e lo costringe a diversi interventi chirurgici, circa una dozzina, in carriera.
Il carattere, deciso ed irruento, lo porta ad ottenere grandi soddisfazioni nel suo percorso sportivo ma, nel contempo, gli chiude diverse porte di club importanti, che non se la sentono di puntare su di un tipo bizzarro e, come detto, inoltre fisicamente soggetto a qualche infortunio di troppo.


Allo Schalke il buon Wilmots resta per quattro stagioni, senza però riuscire ad incrementare la sua bacheca personale e, ovviamente, quella del club.
Si muove per la maggior parte del tempo da centrocampista offensivo, anche perché la società investe su diversi attaccanti, negli anni: il belga Émile Mpenza, il ghanese-tedesco Gerald Asamoah, il danese Ebbe Sand, l’altro belga Michaël Goossens.
Bravi e/o bravini, ma la sostanza non cambia.
Lo Schalke non brilla e Wilmots decide di cambiare aria, in cerca di nuovi stimoli.

Riceve diverse offerte e opta per il trasferimento al Bordeaux, in Francia.
Club blasonato e rosa di tutto rispetto: in attacco c’è gente come Dugarry, Laslandes, Vairelles e Pauleta.
Quest’ultimo segna a profusione, ma le reti del portoghese non bastano al Bordeaux per migliorare la posizione dell’anno precedente: i francesi chiudono nuovamente al quarto posto, esattamente come dodici mesi prima.
Wilmots disputa una stagione più che discreta, con una trentina di gettoni di presenza e otto reti che, giocando da centrocampista puro, non sono affatto un cattivo bottino, tutt’altro.
Si innamora di Bordeaux ed inizia ad appassionarsi al vino, che nella regione girondina è uno stile di vita, piuttosto che una bevanda.
Si affeziona anche ai tifosi e alla società, però avverte pure una forte nostalgia per lo Schalke e per la sua gente.

A Gelsenkirchen stanno ancora imprecando per una Deutsche Meisterschale letteralmente gettata via, col Bayern Monaco che all’ultimo tuffo è riuscito a passare avanti ai Die Knappen (i Minatori) allenati dall’olandese Huub Stevens ed a vincere la Bundesliga edizione 2000-2001.
Il ritorno del Toro di Dongelberg è una panacea per attutire la cocente delusione.

Nella nuova e modernissima Arena Auf Schalke (oggi Veltins-Arena) Marc Wilmots torna ad essere il leader di una compagine che non riesce a bissare l’annata precedente in campionato, ma che porta a casa la Coppa di Germania (4-2 al Bayer Leverkusen) dopo averla vinta pure nella precedente stagione (2-0 all’Union Berlino).
Sfiora inoltre il trionfo nella Coppa di Lega, allorquando perde la finale dinanzi all’Hertha Berlino (1-4).

L’ingaggio di Andreas Möller (ex Borussia Dortmund e Juventus) ha innalzato il tasso tecnico della squadra, anche se ha ridotto leggermente gli spazi per inserimenti offensivi di Wilmots, che riesce comunque a mettere a referto sei reti.
La stagione seguente si rivela un mezzo fiasco per lo Schalke, che stecca in tutte le competizioni.
Wilmots conclude l’annata da allenatore-giocatore, subentrando all’esonerato Frank Neubarth e traghettando i suoi al settimo posto in Bundesliga.
L’unica soddisfazione potrebbe giungere ad inizio stagione dalla Coppa di Lega, ma incredibilmente lo Schalke riesce nell’impresa di bissare l’identico risultato dell’annata precedente, perdendo per 4-1 con l’Hertha Berlino.

Tocca rifondare e a Gelsenkirchen puntano sul bravo Jupp Heynckes.
Marc Wilmots, complice qualche infortunio di troppo, decide di appendere le scarpe da calcio al fatidico chiodo.


In Nazionale si era fermato pochi mesi prima, chiudendo con una settantina di presenze ed una trentina di reti.
Oltre ai due Campionati del Mondo sopraccitati il nostro partecipa pure alla Coppa del Mondo del 1998, in Francia, ed a quella del 2002, in Corea del Sud e Giappone, dove viene nominato tra le sette riserve del Team All Star della kermesse.
Nel 98 i rossi vanno fuori al primo turno, deludendo le attese.
Wilmots segna una doppietta nel secondo incontro, con il Messico (2-2).
Lo 0-0 iniziale con l’Olanda e l’1-1 finale con la Corea del Sud condannano gli uomini del C.T. Leekens all’eliminazione.
Nel 2002 il Belgio, capitanato proprio da Marc, chiude al secondo posto il girone iniziale dopo aver pareggiato per 2-2 col Giappone, impattato per 1-1 con la Tunisia e sconfitto per 3-2 la Russia.
Wilmots va in rete in tutte e tre le partite (miglior goleador di sempre ai Mondiali, per il suo paese) e segna pure contro il fortissimo Brasile di Ronaldo e Rivaldo, agli ottavi: se non fosse che l’arbitro del match, il giamaicano Prendergast, decide inspiegabilmente di annullare il gol, salvo poi scusarsi per la svista nell’intervallo della gara, che i verdeoro portano a casa nella ripresa per 2-0, avviandosi a vincere il Mondiale.

Marc è presente anche gli Europei del 2000, disputati in Belgio ed Olanda.
I Diavoli Rossi escono al primo turno, sconfiggendo la Svezia all’esordio (2-1), ma perdendo con Italia (0-2) e Turchia (ancora 0-2).


Al termine della sua carriera, oltre ai numeri a livello internazionale con la casacca della Nazionale, colleziona oltre 500 gare tra i professionisti e quasi 200 reti ai massimi livelli del calcio belga, tedesco e, seppur per breve tempo, francese.

Non un fuoriclasse, magari: ma di sicuro un gran bel giocatore.
Atipico come pochi altri e capace -pure qui come pochi altri- di infervorare le folle ed entrare nel cuore dei suoi tifosi, nonché di tutti gli appassionati di calcio “vecchio stampo”, quelli che adorano i giocatori in grado di abbinare qualità e quantità, tecnica e foga agonistica, classe e grinta.

Quattro Campionati del Mondo ed un Europeo a curriculum, oltre ad un bel po’ di trofei e di premi individuali messi in bacheca.

Sposato e con tre figli (di cui due sono maschi e seguono le orme paterne, con esiti abbastanza modesti), dopo aver allenato lo Schalke e, per un anno, il Sint-Truiden, si tuffa in politica per un po’, con esiti molto discutibili.
Si accorge presto di non essere tagliato per la materia, in effetti.
Si dimette dalla carica di Senatore, donando il suo compenso in beneficenza, ed attacca pesantemente tutto il carrozzone che lo circonda.

Marc Wilmots, today

Torna quindi in campo e diventa assistente della Nazionale del Belgio, dapprima col tecnico Advocaat e poi col suo successore, Leekens.
Successivamente, sfruttando una serie di coincidenze favorevoli, si ritrova seduto sulla panchina de Les Diables Rouges da capo allenatore.
Lavora con entusiasmo e costrutto e ci resta per un quadriennio, nel quale guida i suoi al Mondiale del 2014 in Brasile (eliminati ai quarti di finale dall’Argentina) ed agli Europei del 2016 in Francia (out ancora ai quarti, contro il Galles).
Esonerato al termine della kermesse francese, ha vissuto un paio di brevi e sfortunati interregni sulle panchine di Costa d’ Avorio ed Iran, prima di essere ingaggiato dal Raja Casablanca, in Marocco.
Scarsa gloria anche qui, quindi la decisione di mettersi a lavorare dietro la scrivania e la scelta di accettare, con grande ardore, l’incarico di Direttore Sportivo dell’amato Schalke.

Appena ha un pizzico di tempo libero si reca in Francia, a Bordeaux, per godersi del sano relax giocando a tennis e bevendo un bicchiere di vino buono.


Ho visto giocare dal vivo un paio di volte Marc Wilmots, in Germania.
Impressionante: un trascinatore vero, un indomito guerriero, un animale da manto verde.

Mi piaceva parecchio.
E non ero il solo.

Marc Wilmots: Il Toro di Dongelberg.

V74


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *