- Il cugino
Maurizio Schillaci
Pochi giorni or sono è venuto a mancare il mitico Totò Schillaci.
Calciatore iconico e per certi versi indimenticabile, datosi che la sua figura riporta alla mente molti momenti emozionanti, di calcio e non soltanto.
Quel suo incredibile Mondiale del 1990, soprattutto: sguardo spiritato e gol come se piovessero dal cielo, per il bomber siculo.
Un ricordo indelebile, nel cuore di ogni italiano che si rispetti.
Pensando a lui, da Laziale, l’associazione col cugino, Maurizio, è quasi spontanea.
Maurizio non è famoso quanto Totò, ci mancherebbe.
Eppure la sua è una storia degna di essere raccontata, in quanto rappresenta una mirabile parabola di come il calcio e la vita sappiano essere tanto speciali quanto -e non di rado- feroci.
Antonio Maurizio Schillaci nasce a Palermo, all’alba del febbraio del 1962.
Nel capoluogo di una delle più belle regioni della penisola Maurizio cresce come la maggior parte dei pargoli siciliani: spensierato, sveglio, scaltro.
Non ama i libri e adora il pallone.
Inizia prestissimo a giocarlo per le strade della città e man mano diventa sempre più forte, tanto da attirare l’interesse di un osservatore che lo porta nelle giovanili del Palermo.
Un sogno, per Maurizio.
Fisico slanciato e passo rapido ed imprevedibile: il ragazzo conquista subito spazio e si impone tra i coetanei come uno dei migliori prospetti del florido vivaio siciliano.
Il futuro santone Zeman, ai tempi tecnico delle giovanili rossonere, se ne innamora e lo segnala allo staff della prima squadra.
Nel torneo di B edizione 1980/81, diciottenne, inizia ad allenarsi col Palermo dei grandi.
Chiuso da gente come La Rosa, Montesano, Calloni ed Totò Lopez, si limita a carpire qualche segreto dai giocatori di cui sopra.
Un anno più tardi entra a far parte del gruppo a disposizione di mister Renna, esordendo all’ultima giornata di campionato, contro la Lazio.
Maurizio Schillaci subentra nella ripresa e poco dopo mette a segno un gol al termine di una furiosa mischia in area biancoceleste, contribuendo al successo dei suoi (3-2).
Se il buongiorno si vedesse realmente dal mattino, bisognerebbe ragionevolmente considerare l’ipotesi di trovarsi dinanzi ad un elemento dalla carriera più che promettente.
Non andrà propriamente così, purtroppo.
Ma procediamo con ordine.
Schillaci in estate partecipa al ritiro del Palermo, che si svolge in Toscana, agli ordini del confermato allenatore Renna.
La stagione non va come sperato, però, e gli isolani si salvano per il rotto della cuffia dalla retrocessione in terza serie.
Maurizio mette in fila soltanto tre presenze: alla prima giornata con la Cavese (segnando peraltro un gol), alla tredicesima col Perugia ed all’ultima con la Lazio, ancora una volta.
Poca roba, in una annata ove evidentemente l’esperienza prende il sopravvento sulla qualità individuale.
Il Palermo retrocederà al termine del torneo successivo, ma Maurizio Schillaci sarà già altrove.
Dopo un breve interregno senza fortuna in quel di Rimini, serie C1, con una appendicite ed una salmonellosi a corredo, il siciliano torna a casa e firma per il Licata, in C2.
L’allenatore è Zdeněk Zeman, che ha lasciato la Primavera del Palermo per iniziare quella gloriosa carriera che lo porterà ad allenare compagini prestigiose e conquistare i cuori di molti appassionati col suo gioco spumeggiante e spregiudicato.
Il boemo adora Maurizio Schillaci: lo reputa un calciatore completo, ricco di tecnica e fantasia, in grado di agire sia da centrocampista offensivo che da attaccante di fascia e/o seconda punta.
Messi da parte alcuni problemi fisici, il palermitano riparte quindi da Licata e lo fa alla grande, guidando i suoi ad una meritata promozione, ottenuta al termine di un campionato di C2 duro e combattuto, vinto con merito proprio dai ragazzi di Zeman.
Schillaci, bomber del team, si ripete pure nella stagione successiva, col Licata che mantiene la categoria, e bissa il risultato anche dodici mesi più tardi con in panchina Cerantola (che ha sostituito Zeman, passato al Foggia).
Maurizio, oramai leader di quella che gli addetti ai lavori chiamano Nazionale Siciliana, ovvero un Licata composto per la maggior parte da calciatori di origine sicula, riceve parecchie offerte per salire di categoria.
Il giocatore ama alla follia la sua regione, ma ha voglia di soldi e di fama.
A proporre entrambe le cose è la Lazio del presidente Calleri e del tecnico Fascetti.
Piazza importante ed ambiziosa, nonostante una penalizzazione di ben nove punti in classifica, in B, a causa del cosiddetto Totonero-bis.
I romani, nel mercato di riparazione autunnale, cedono il talentuoso Dell’Anno e decidono di rimpiazzarlo proprio con Maurizio Schillaci, ingaggiato con la speranza di acquisire talento ed imprevedibilità nel roster del team della capitale.
Al Licata vanno in cambio un bel po’ di soldoni cash (un miliardo e trecento milioni di lire), il cartellino del giovane attaccante Alessandro Damiani e gran parte dell’incasso di due amichevoli, una disputata allo Stadio Flaminio (Roma) e l’altra in terra di Sicilia.
Il club siculo farà fruttare adeguatamente l’affare, conquistando la serie B al termine dell’annata seguente.
Schillaci raggiunge così quello che è -e sarà, per la cronaca- l’apice della propria carriera calcistica.
Ricco contratto quadriennale, per il funambolo palermitano.
Con annessi vari bonus ed il trasferimento in una delle più belle città del mondo.
Maurizio si ambienta subito alla grande, quantomeno a livello di metropoli.
Cambia auto come mutande e si gode la vita notturna romana, cercando nel contempo di essere un calciatore professionista all’altezza delle aspettative.
Ma tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare, come si suol dire.
La pressione sulla Lazio è forte: la squadra inizia bene il campionato, poi rallenta e rischia la retrocessione.
Si salva soltanto agli spareggi, conquistati oltretutto in extremis con una indimenticabile vittoria all’ultima giornata.
“La banda del meno nove“, come viene soprannominata la truppa di Fascetti, entra nel mito collettivo e lancia la compagine Laziale verso traguardi che di lì a breve diverranno straordinari, con l’avvento del finanziere Cragnotti.
Fiorini, Poli, Podavini, Caso, Terraneo, Gregucci, Acerbis, Magnocavallo, Pin, Mandelli, Marino e tanti altri, i protagonisti di un’annata soffertissima e strepitosa, a livello emozionale.
Da infarto vero, eh.
Le coronarie del tifosi vengono costantemente messe a repentaglio, per quanto l’esito finale ripaghi i Laziali di cotanta tensione.
E Maurizio Schillaci?
Beh, la Lazio era nel suo destino, bene o male.
Bene, per l’esordio in B col gol segnato ai biancocelesti.
Male, perché a Roma inizia a soffrire di problematiche fisiche davvero fastidiose.
Come se non bastasse, entra in conflitto con la società.
O per meglio dire: con lo staff medico della società.
I dottori della Lazio si convincono che il ragazzo sia sano, ma svogliato.
Il siciliano replica di non voler perdere manco mezzo allenamento, però avverte un dolore lancinante al tendine della gamba destra e salta una marea di gare.
Mette a referto una decina di presenze, perlopiù da subentrante, con una rete a corredo, decisiva per battere il Cagliari in trasferta.
Un contributo abbastanza misero, soprattutto se rapportato alle aspettative di Fascetti e della società Lazio.
Il mister Laziale lo vede difatti come un possibile “spacca-partite“, con la sue caratteristiche intrinseche -ripartenze e verticalità- che si sposano alla perfezione con le idee tattiche dell’allenatore toscano.
Ma è pura teoria, sfortunatamente: in quanto la pratica si ferma ad Anzio, in una amichevole organizzata nel giorno di Capodanno del 1987, allorquando il palermitano sente una fitta fortissima a fine primo tempo ed inaugura il suo maledetto calvario romano.
Inizialmente gli viene diagnosticato uno stiramento, invero: poi la problematica diventa cronica ed il giocatore esce quasi completamente dai radar della rosa Laziale.
A fine stagione la separazione è inevitabile e Maurizio Schillaci viene ceduto al Messina, ove trova il cugino Salvatore in attacco ed il bravo allenatore Scoglio in panchina.
Ma, più di ogni altra cosa, Maurizio ritrova quella fiducia in sé stesso che a Roma stava smarrendo, rischiando di cadere in una depressione altamente pericolosa.
In Sicilia, la sua patria, viene curato con attenzione: si scoprono un serio danno alla cartilagine della caviglia ed una grave lesione allo scafoide del piede destro.
Il malato immaginario, come qualcuno lo aveva definito nella capitale, non aveva mentito.
Maurizio Schillaci chiude la carriera ad alti livelli proprio mentre sognava di poterla iniziare.
Trequartista estroso e bizzarro, con il suo fisico prestante ed agile sguscia via tra gli avversari come fosse vento e semina lo scompiglio nelle retroguardie nemiche, con un buon istinto della rete che spinge i suoi allenatori ad utilizzarlo spesso anche da seconda punta, oltre che da ala di raccordo.
Un fantasista dall’ubriacante finta di corpo che manda al manicomio i difensori rivali.
Un’ala capace di muoversi ovunque, dalla trequarti in avanti, facendo letteralmente impazzire i centrocampisti opposti.
Una mezzala capace inoltre di supportare i compagni d’attacco col suo movimento costante e produttivo, figlio più dell’istinto che del modulo.
E dire che il suo mentore è quel signore di nome Zeman che notoriamente è rigidissimo, nell’applicazione delle sue teorie calcistiche.
Per Maurizio però il boemo fa qualche piccola eccezione, in partita, venendo ricambiato con un rendimento costante e qualitativo.
Quando è in giornata di grazia fa cose assurde, con la sfera.
Immarcabile, genialoide, talentuoso.
Dribblomane incallito, se la cava bene anche di testa.
Schillaci pecca talvolta in fase di ripiegamento, questo sì.
E tende ad essere incostante nelle prestazioni, più che altro a livello di concentrazione.
Non è un cattivo professionista, intendiamoci.
Ragazzo educato, generoso e pacato: ma con una fortissima componente individualista ed una insospettabile -all’apparenza- personalità narcisista che talvolta lo frega.
Non serve uno psicologo per intuire che provenendo dalla strada, il palermitano finisca per disprezzare quelle sane e tanto vituperate vie di mezzo che talvolta si rivelano salvifiche per caratteri non dico deboli, ma quantomeno fragili.
L’infortunio mal curato e/o sottovalutato, che dir si voglia, fa il resto.
Lui, che per intenderci all’epoca veniva considerato di gran lunga più forte del cugino Totò, finisce per incupirsi e cedere alle aspettative evidentemente mal riposte ed alle pressioni divenute insostenibili.
La gazzella, come lo appellavano affettuosamente a Licata, smarrisce il passo e arriva a fine corsa.
In verità a Messina il buon Maurizio prova a ritrovare la vena dei bei tempi.
Ad un certo punto pare quasi riuscirci, con una rete al Bari e diverse presenze da titolare.
Poi il tendine torna a martoriarlo e, nonostante si sottoponga ad una operazione chirurgica in quel di Barcellona per provare a risolvere la questione, diventa ospite fisso della tribuna dello stadio Giovanni Celeste.
In estate Scoglio passa al Genoa ed a Messina sbarca Zeman.
Maurizio Schillaci stappa una bottiglia di quello buono, sperando in una svolta.
Salta l’intero girone di andata, non essendo in condizione.
Poi entra in squadra e sembra finalmente avviato ad una ripresa decente, prima di finire nuovamente fuori dai giochi a causa di ricorrenti fastidi, manco a dirlo, di ordine fisico.
Un classico fuoco di paglia, insomma.
Pochi alti ed una marea di bassi.
Troppi, per un calciatore professionista.
Sfortuna e, forse, atteggiamento incostante: Maurizio ha un carattere particolare, lo abbiamo detto.
Non manca di grinta, però i mesi alla Lazio lo hanno indebolito in modo immane.
Il paragone forzato col cugino, che a Messina diventa un Re, è talmente impietoso da deprimere l’ex Licata, che rimpiange il mancato passaggio al Foggia, dove lo attendeva proprio Zeman, prima della firma con la Lazio.
Sarebbe stata C1 anziché B, comunque: inoltre Zeman venne esonerato a metà stagione, prima di tornare anni dopo in Puglia e scrivere la storia della società dell’allora presidente Casillo.
Nessuna certezza che sarebbe andata diversamente, insomma.
Sliding doors che nel calcio esistono da sempre, certo.
Fatto sta che Totò Schillaci finisce alla Juventus di Zoff ed inizia un percorso che lo condurrà fino alla gloria, quella imperitura.
E Maurizio Schillaci pure firma per la Juve, in effetti: ma è quella di Castellamare di Stabia, in Interregionale.
Con le zebre gioca poco e male, pur ottenendo una promozione in C2.
Capisce di essere al capolinea e gli crolla il mondo addosso.
Inizia a drogarsi ed entra in un tunnel che gli distrugge la vita.
Appena può si reca nella vicina Salerno e compra qualsiasi sostanza gli offrano, pur di fuggire da una realtà -quella calcistica- che lo opprime e lo deprime.
La Juve Stabia chiude dapprima un occhio, poi anche il secondo.
Infine rescinde il contratto ed invita Schillaci a tornarsene in Sicilia.
Lo sportivo è ito, l’uomo quasi.
Maurizio trova un accordo col suo Licata, in C2, dove raccoglie un misero gettone di presenza in maglia gialloblù, prima di chiudere con il calcio giocato.
Poco più che trentenne, si sente pronto per la pensione.
La droga lo consuma rapidamente, sfasciandolo nel corpo, nella mente e nell’anima.
Brutta storia.
Molto brutta.
La parabola discendente rallenta saltuariamente, giusto un po’, salvo poi riprendere, appena possibile, a velocità supersonica.
Maurizio Schillaci vede naufragare miseramente la sua (seconda) avventura coniugale, si accorge di come si stia complicando il rapporto con le due figlie (una avuta dal primo matrimonio) ed assiste, impotente, ad un oramai inarrestabile declino.
Finisce quindi per strada, attenzionato dai servizi sociali che, però, ben presto lo mollano.
Dorme in un’auto di fortuna, poi nei treni fermi alla Stazione Centrale di Palermo.
Prima del crollo definitivo tenta di riciclarsi come allenatore di giovani calciatori nella scuola calcio del cugino, Totò.
Guadagna poco, a suo dire.
Ed il rapporto con il famoso parente non decolla mai, salvo concludersi definitivamente alla fine dell’esperienza comune.
Un altro duro colpo, per l’ex promessa del Palermo.
L’ennesimo.
Maurizio non ha dimora fissa e vive di elemosina e di piccoli espedienti, al momento.
La sua storia finisce in tv, con varie comparsate per raccontarne l’epopea, ed al cinema, col film Fuorigioco che è incentrato proprio sulla sua vicenda.
Oggigiorno, dopo la scomparsa di Totò Schillaci, il cugino è nuovamente protagonista sui media, con alcuni volontari che si stanno occupando di lui e del suo amatissimo cane, Ciccio.
Schillaci ha seri problemi di salute, ma si è allontanato dalla droga ed ha iniziato a guardarsi indietro con meno rancore e con una maggiore capacità di giudizio critico.
Riconosce i tanti errori commessi in passato.
Non si assolve, tutt’altro: è consapevole di aver gettato al vento un talento incredibile, certo.
Maledice pure la cattiva sorte, questo sì, che ad un certo punto è parsa davvero accanirsi nei suoi confronti.
Maurizio Schillaci ha perso, indubbiamente.
La rimonta è parecchio complicata, se non addirittura impossibile.
Ma chissà che il siciliano non riesca ad accorciare le distanze dal suo malinconico destino.
Chi lo ricorda e chi ama il Calcio, il sottoscritto in primis, non può che unirsi in questa speranza.
Forza, Maurizio.
Maurizio Schillaci: il cugino.
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