• 1998

Portishead – Roseland NYC Live

Era la fine del 1998 allorquando i Portishead, una delle migliori bande trip hop emerse dalla prospera scena di Bristol, pubblicarono Roseland NYC Live.


Premessa: loro sono originari della cittadina di Portishead, nei dintorni della succitata Bristol.
Da qui il nome -non particolarmente originale ma alquanto incisivo- della band.
Geoff Barrow è un ottimo produttore, se la cava ottimamente come DJ, ha collaborato con i Massive Attack e con Tricky e suona tutto quel che gli capita a portata di mano: garanzia.
Beth Gibbons ha una voce che usa letteralmente come se fosse uno strumento: unica.
Adrian Utley è un provetto chitarrista e sa il fatto suo anche in sala di registrazione: affidabile.
Dave McDonald, un preparato ingegnere del suono, è di fatto il quarto membro negli approcci musicali del gruppo: collante.

Dummy e Portishead, i primi due album, escono rispettivamente nel 1994 e nel 1997.
E spaccano, come si dice in gergo.
Spaccano per davvero.
Io non faccio molto testo, perché adoro il genere.
Ma entrambi i dischi ottengono un successo notevole presso un pubblico che non è solo quello abitualmente portato per la materia: il che è oltremodo indicativo della qualità -ragguardevole- delle opere in questione.


Nel 1998 i Portishead decidono di immettere sul mercato un album registrato dal vivo pochi mesi prima.
Una scelta ambiziosa, tenuto conto che di solito molti gruppi puntano sul live per rilanciare la carriera e/o per monetizzare qualche concerto venuto bene.
I britannici invece sono temerari e, nello stesso tempo, convinti di poter trasferire su disco le emozioni, le pulsazioni, le sensazioni e le veemenze che emergono nel contatto diretto con i propri fans.

Portishead - Roseland NYC Live

E lo fanno prendendo spunto da un maestoso tour in USA e da un concerto che vede la luce nella affascinante sala da ballo Roseland, a New York.
Oggi è chiusa, ma il 24 Luglio del 2007 è aperta e funzionale e fa da scenario agli stessi Portishead che si esibiscono col supporto di una orchestra di trentatré elementi -ed annessa sezione di fiati- e l’accompagnamento dell’innovativo DJ Andy Smith.
La produzione è sublime, gli arrangiamenti sono eccezionali, la performance di tutti gli astanti è clamorosa.
Risultato: imprescindibile.


Beth Gibbons, in particolar modo, si immedesima alla perfezione nel ruolo.
O forse non ha ruolo ed è lei, in carne, ossa e voce, a crearne uno.
Fantastica: con lo sguardo sospeso nel vuoto, la sigaretta fumante tra le dita, le movenze flemmatiche, il cuore palpitante.
E quella voce da brividi, esaltata da un meccanismo sonoro circostante che sfiora la perfezione.

Track List:

1Humming
2Cowboys
3All Mine
4Mysterons
5Only You
6Half Day Closing
7Over
8Glory Box
9Sour Times
10Roads
11Strangers

Progetto oltremodo ambizioso, come detto.
L’esito, però, ripaga fino in fondo le aspettative.

In scaletta sei brani del secondo album, cinque del primo.
Roads è il vertice, a parer mio: intensa, romantica, deliziosamente angosciante.
Sour Times segue a ruota: straziante, epica, irresistibilmente vivida.
Mysterons chiude il mio personale podio: toccante, vibrante, impietosamente dirompente.
In verità non vi è una canzone che non meriti l’applauso convinto, per non dire la standing ovation.
Siamo veramente su altissimi livelli.
Particolarità: nonostante l’ampia disponibilità di materiale a disposizione due dei pezzi migliori del lotto, Sour Times e Roads, sono stati presi da altri due concerti (il primo sempre in USA, il secondo in Norvegia).


Al netto dei “tecnicismi”, Roseland NYC Live è un disco da sentire tutto d’un fiato per goderne appieno ogni singolo respiro.
Oscuro, immediato, intimo, avvolgente.

Bello anche il DVD, con parecchia roba in aggiunta ed una qualità audio superiore.
Io posseggo entrambe le versioni e, debbo ammetterlo, dopo oltre venti anni è ancora un ascolto che emotivamente mi devasta.
Amo il trip hop ed adoro l’interpretazione onirica della Gibbons e l’idea di unire elettronica e orchestra che non è originale, certo, ma che molto di rado ha evidenziato una così straordinaria riuscita.

i Portishead pubblicheranno molto tempo dopo il loro terzo disco dal titolo non propriamente accattivante: Third (2008): interessante, parecchio, benché diverso dai precedenti.
Beth invece darà voce ai suoi deliri emotivi insieme a Rustin Man -alias Paul Webb, il bassista dei Talk Talk-, in un album stupendo: Out of Season (2002), sul quale spenderò qualche parola al più presto.

Poi nulla più o quasi.
Quantomeno inteso come lavoro di gruppo.
Un peccato.
Un fottutissimo peccato.


Perché il trip hop non è morto.
E questo disco, che vola altissimo sul tempo e sulle mode del momento (cubani di Aversa, trappisti senza birra, biascicanti senza speranza, maniskini random, etc.), sta lì a dimostrarlo.

Anzi: sta qui, nel mio lettore CD.
Ora.
Al buio.
Con un pizzico di pioggia a stuzzicare i vetri.
Ed in solitaria, lottando strenuamente contro i maledetti ed intriganti fantasmi della notte.

Ohh, can’t anybody see
We’ve got a war to fight
Never found our way
Regardless of what they say

roads

Portishead – Roseland NYC Live: 8

V74

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