• U Saracinu

Vincenzo Del Vecchio

Un colpo al cuore.
Un autentico e devastante colpo al cuore.
Era il 2 aprile del 2006: quasi diciotto anni fa, ma lo ricordo come se fosse oggi.
La notizia del decesso sul terreno di gioco, durante una partita, di Vincenzo Del Vecchio, un calciatore al quale mi ero affezionato anche come persona e che a soli quaranta anni ha perso la vita mentre si stava godendo la sua passione preferita.

Ma proviamo a riavvolgere il nastro di questa storia, che inizia nel giorno della Befana di poco meno di una cinquantina di anni or sono.


Vincenzo Del Vecchio nasce infatti il 6 gennaio del 1966, a Napoli.
Partenopeo verace, quindi.
Di quelli che sarebbero tali pure se nascessero a Bolzano o ad Aosta, per intenderci.

Un bambino sveglio e discolo, sempre pronto a baloccarsi con gli amichetti e a far baldoria anche con la sua famiglia.
Un monello dal cuore d’oro, però.
Perché, sin da piccolo, Vincenzo dimostra il suo animo generoso e la sua indole benevola.
Tranne nel caso che vi sia un pallone di mezzo: quando si gioca a calcio, beh, allora tutto cambia.
Non ne vuole sapere di perdere, il ragazzino.
Cresce presto, sia fisicamente che caratterialmente.

E si ritrova nelle giovanili della Casertana, che in quel periodo è in serie C1.
Società ben organizzata, perlomeno in relazione al territorio campano.
Vincenzo si mette in mostra per le sue doti di grande atletismo e notevole sacrificio: è un terzino sinistro potente ed infaticabile, che macina la fascia mancina con grinta ed ardore.
Esordisce in prima squadra nel torneo 1984-85, che la Casertana conclude in quinta posizione nel girone B della terza serie.
Con i Falchetti mette a referto pure quattro presenze -tutte da subentrante- in Coppa Italia, dove i rossoblù incontrano nell’ordine: Pescara, Napoli, Fiorentina, Perugia ed Arezzo.
La vittoria per 1-0 sul Perugia ed i pareggi con Pescara (0-0) e Fiorentina (1-1) valgono ai campani 4 punti in classifica.
Non bastano per passare il turno, chiaramente: sono infatti Fiorentina e Napoli le due compagini che si qualificano al turno successivo.
Del Vecchio mette però esperienza nel motore: gioca una quarantina di minuti contro il Perugia, quasi mezz’ora nel match con la Fiorentina e -soprattutto- un quarto d’ora dinanzi al Napoli di Maradona che, pur non essendo ancora lo squadrone dei tempi d’oro, si sta comunque pian piano avviando verso la gloria.

Vincenzo, tifosissimo degli azzurri, è al settimo cielo.
Inizia a pensare di poter essere un calciatore a tutti gli effetti ed aumenta ulteriormente l’impegno negli allenamenti, per sognare quel calcio di alto livello che, per il momento, ha avuto l’occasione di assaporare solo brevemente.


Nell’annata successiva la Casertana decide di prestare il ragazzo, per fargli mettere minuti ed esperienza nelle gambe.
Lo manda al Giugliano, in Interregionale.
Il sodalizio campano aveva vinto il precedente campionato dell’odierna serie D, ma si era visto privare del titolo per un illecito sportivo.
Il Nola è stato promosso al suo posto, mentre la categoria è stata mantenuta.
Vi è voglia di rivalsa, in società.
La squadra è affidata a Mimmo Gargiulo.
Si punta su diversi giovani, incluso Vincenzo Del Vecchio, ai quali vengono affiancati alcuni marpioni della categoria.
Il mix traballa presto, purtroppo.
Gargiulo si dimette e viene sostituito da Paolo Anastasio, che chiede subito alcuni rinforzi per evitare la discesa agli inferi.
Arrivano un paio di elementi stranieri, ma l’andazzo non muta ed il Giugliano retrocede mestamente in Promozione.


Vincenzo Del Vecchio fa il suo e, ventenne, viene mandato nuovamente in prestito, stavolta alla Sanciprianese.
Ancora Interregionale, ma in una società che ha appena vinto il suo girone di Promozione e che punta a stabilizzarsi nelle posizioni di vertice del torneo di quinta serie.
Vincenzo gioca titolare ed è uno dei protagonisti dell’eccellente stagione dei suoi, che chiudono al secondo posto alle spalle del Vigor Lamezia.

Sui polverosi campi di provincia degli anni 80 si lotta per il predominio, per l’onore, per la fama.
Si suda la maglia, si dà tutto quello che si ha dentro ed ogni partita assume un significato che va oltre la semplice presenza sportiva.
Un derby, uno scontro al vertice, una rivalità.

Vincenzo Del Vecchio impara a combattere per emergere ed il suo DNA, già da vincente nato, diventa ancor più propenso alla battaglia.
Si parla per lui di serie C: un salto imponente, certo.
Ma il ragazzo non ha paura.


All’orizzonte spunta la chiamata del Forio, nell’estate del 1987.
Siamo ad Ischia, in una delle isole più belle del Mediterraneo e, forse, dell’intero pianeta Terra.
Sarebbe la prima avventura lontano dalla terraferma e da casa, per Vincenzo.
Un’oretta e mezzo di traghetto ed ancor meno in aliscafo, vero.
Ma col mare di mezzo tutto acquista un fascino diverso ed il ragazzo è allettato dalla proposta degli isolani.
Il Forio ha sfiorato la serie C2, due anni prima.
Dopo un campionato speso per la maggior parte nelle zone alte della graduatoria nel 1984-85 con mister Anastasio (sì, proprio l’ex allenatore del Giugliano) al timone, il Forio per l’annata seguente investe su diversi elementi di categoria e guidato dal tecnico Giuliano Spignese sfiora la promozione in C, superato solo dal Latina grazie anche ad alcune discutibili decisioni arbitrali che nel rush finale favoriscono palesemente i pontini.
Dopo una stagione intermedia, con ben quattro allenatori cambiati, l’intenzione dei dirigenti foriani è quella di ripetere il tentativo di miracolo e per farlo hanno bisogno di alcuni rinforzi: Del Vecchio sbarca quindi sull’isola per provare a vincere il suo primo campionato, dopo aver sfiorato l’impresa a San Cipriano d’Aversa, pochi mesi prima.

Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
Mai come in questo caso, tra l’altro.
Il Forio incappa in un’altra stagione ingarbugliata: avvicenda diversi tecnici e si salva per il rotto della cuffia da una retrocessione che avrebbe rappresentato una cocente delusione.
Verdetto rimandato solamente di poco, purtroppo.
La compagine isolana, dopo essersi sottratta al fotofinish all’avverso destino, abbandonerà l’Interregionale nel 1989.

Vincenzo Del Vecchio a Forio è tra i pochi a salvarsi in una stagione, come detto, alquanto balorda.
La rosa non sarebbe manco malvagia, eh.
Però quando le cose iniziano a non andare per il verso giusto, diventa poi difficile riuscire a far girare la “ruota”.

In quel periodo giocavo nelle giovanili del Forio, nella fase di passaggio tra le categorie Giovanissimi e Allievi.
Mi allenavo allo Stadio Salvatore Calise e dimoravo -come ora, del resto- a poco più di cento metri di distanza in linea d’aria.
In pratica, tranne che per la scuola, vivevo sul campo.
I giocatori del Forio erano una sorta di modelli, per il sottoscritto.
Ovviamente non nel senso odierno di idolatria che non di rado sfocia nella patologia cronica, non sia mai: quanto piuttosto come esempi da imitare, cioè giocatori che mediante i sacrifici, gli allenamenti, l’impegno e la costanza erano riusciti a fare parte di un calcio che, ai miei occhi, era tremendamente vero.
Non che mancassero i difetti che attanagliano oggigiorno il mondo della pelota, assolutamente.
Però vi era una umanità che nel 2024 non si ritrova neanche nella partita di calcetto con gli amici.
Ed il livello tecnico, lasciatemelo dire, era notevolmente superiore, soprattutto in determinati ruoli, rispetto al dilettantismo contemporaneo.

Vincenzo Del Vecchio a Forio gioca col numero 4 sulle spalle.
Dovrebbe portare il 3, volendo far corrispondere la numerazione al suo ruolo in campo, quantomeno seguendo i parametri abituali del periodo.
Perché è un terzino sinistro.
Un calciatore moderno, invero: laterale di fascia a tutto spiano, che difende con determinazione ed attacca con spregiudicatezza.

Ha il fuoco sacro dentro e mentre lo osservo mi innamoro delle sue entrate decise, delle sue cavalcate arrembanti, dei suoi cross precisi e, soprattutto, delle sue meravigliose scivolate che colpiscono la palla nel 90% dei casi e che nel restante 10% mettono a repentaglio le caviglie e le vite sportive dei sui antagonisti.

Un cavallone che ogni tanto dà in escandescenze, ma che è sempre pronto a duellare per i propri colori.
Becca un paio di squalifiche, per alcune intemperanze.
Però entra nel cuore dei tifosi foriani e non ne esce più, anche a distanza di anni.


Al termine della stagione a Del Vecchio si interessano diverse società: in primis l’Ischia, che ha appena partecipato al suo primo campionato di C1.
Il mancino piace ed è stato visionato in più occasioni.
Viene ritenuto un pizzico acerbo e qualche titubanza sul carattere c’è, come normale che sia.
Però vale, eccome.
L’Ischia propone in cambio un paio di vecchie glorie a titolo definitivo ed un paio di giovani promesse in prestito, con uno scarno conguaglio ancora da definire.
La Casertana, che vanta sul giocatore una specie di comproprietà, rimanda la proposta al mittente.

Vincenzo Del Vecchio torna in terraferma e si trasferisce all’Afragolese, in C2.
Sale di categoria e abbandona il massimo livello dei dilettanti per approdare in quarta serie.
L’Afragolese è reduce da una salvezza ottenuta nelle ultime giornate.
L’intenzione è quella di salvarsi con largo anticipo, ma purtroppo emergono parecchie difficoltà societarie che rendono complicato il cammino dei rossoblù.
Vincenzo gioca tutte le gare e trova come compagni il portiere Ceriello (due presenze in serie A nel Napoli) e l’attaccante Luiso, che in futuro arriverà sino alla massima serie.
L’allenatore è Gianni Simonelli, il professore, che però lascia dopo poche settimane.
Lo sostituisce l’ottimo talent scout Carmine Tascone, senza poter evitare la retrocessione in serie D.


Altro giro, altra ruota.
Del Vecchio resta in C2 ed in Campania, firmando per la Cavese che ha appena sfiorato il salto in C1.
I fasti del passato sembrano lontani e la società prende il nome di Pro Cavese, dopo essere stata posta in liquidazione.
La squadra però è competitiva.
Agli ordini del preparato tecnico Pietro Santin vi sono giocatori forti: l’affidabile portiere Marigo (ex Lazio e Perugia), l’esperto centrocampista Mastalli (ex Bologna e Catania), il promettente libero Polenta, la navigata mezzala Sorbi (ex Roma e Pisa), il grintoso stopper Solimeno.
Nonostante le problematiche societarie -una costante, oramai, per il nostro Vincenzo- la Cavese chiude ottava, con Santin che lascia la panchina a Mario Zurlini e poi la riprende, per terminare l’annata.

Vincenzo Del Vecchio - Cavese

Del Vecchio, titolare inamovibile, è ancora una volta tra i migliori del suo team.
Pensa di meritare il salto di categoria ed in effetti vola in C1, dopo averci giocato una sola gara da giovanissimo.
A metterlo sotto contratto è una società blasonata: il Catania, che ha velleità di promozione in B.


L’allenatore è l’italo-brasiliano Angelo Sormani ed in squadra ci sono calciatori di valore come l’ottimo portiere Paradisi (ex Fiorentina, Avellino, Como e Catanzaro), il tenace terzino Salvadori (ex Catanzaro, Empoli, Atalanta), l’infaticabile mediano Della Scala (ex Empoli), il risoluto centrocampista Esposito (ex Parma), la veloce ala sinistra Cecconi (ex Pisa ed Empoli) ed il prolifico centravanti Cipriani (ex Lecce, Empoli e Genoa).
Vincenzo si allontana seriamente per la prima volta dalla sua amata regione per trasferirsi in un altro posto di mare.
Non può ancora saperlo, ma sta andando incontro al suo meraviglioso e, nel contempo, tragico destino.
La Sicilia gli entra infatti dentro, in una maniera straordinaria.
Catania, sin da subito, gli sembra casa.
E lo diverrà, in effetti.
D’altronde vi sono parecchie cose in comune, tra le regioni in oggetto.
Il mare stupendo, l’ottimo cibo, il buon bere, l’arte, la cultura, il cinema, il teatro e tanto altro ancora, incluso quello sport che per Del Vecchio inizia ad essere a tutti gli effetti una professione.
Ventiquattrenne, si immerge in una piazza che vive e respira calcio.
E risponde alla grande alle pressioni, disputando un’ottima stagione in maglia rosso-azzurra.
Titolare, mette a segno pure due gol: il primo al Siracusa, in casa, che porta in vantaggio i suoi nel derby che alla fine arriderà però agli avversari, in rimonta (1-4).
Il secondo vale invece un punto, conquistato a Catanzaro (2-2) proprio grazie alla rete di Vincenzo nel finale.
Il Catania non riesce ad ingranare e chiude undicesimo, non lottando mai per posizioni importanti di classifica.

In estate la società passa nelle mani dei fratelli Massimino, Salvatore ed Alfio Luciano, a loro volta fratelli del Presidentissimo Angelo, storico e pittoresco patron del sodalizio etneo per parecchi anni e persona alla quale oggi è dedicato lo stadio della città.
Il vecchio presidente Attaguile resta dietro le quinte, con un buon margine di quote, mentre il suo socio Proto abbandona il club.
Allo scafato allenatore Caramanno è affidato il compito di guidare la squadra, che viene rafforzata con calciatori non di grande nome ma di sicura affidabilità come i difensori Dondoni, Caini, Colasante e Nicoli; i centrocampisti Marchetti, e Romano; l’attaccante Russo, dalle giovanili.
Vincenzo Del Vecchio è sempre intoccabile e segna due gol: alla prima giornata di ritorno, nella vittoria casalinga contro il Barletta (1-0).
Poi ancora al Cibali con il Casarano (1-1) e con il Monopoli (1-0).
Caramanno ad inizio stagione viene allontanato e gli subentra Vannini, salvo poi tornare poco dopo e condurre il Catania ad un onorevole sesto posto finale.
Per la cronaca nel marzo del 1992 Vincenzo torna sull’isola d’Ischia, in una gara che il Catania perde per 1-0 dinanzi ai solidi gialloblu allenati da Piero Cucchi.
Ricordo che avrei voluto essere presente, ma proprio in quelle domeniche avevo iniziato ad essere convocato -e giocare- nel mio amato Forio che, malauguratamente, era già avviato verso una annunciata retrocessione dall’Eccellenza alla Promozione.


Nel calciomercato estivo il Catania -che abbisogna di denaro fresco- cede Del Vecchio alla Fidelis Andria, in serie B.
Per Vincenzo si aprono le porte della cadetteria ed è una occasione che non si può rifiutare.
Dal punto di vista professionale, almeno.
Perché il ragazzo non vorrebbe lasciare la Sicilia, emotivamente parlando.
La Puglia non è poi tanto male, però, e la proposta è economicamente allettante.
Valigie pronte, quindi, in direzione delle Murge.

Vincenzo Del Vecchio - Fidelis Andria

La serie B, per il giocatore, è un punto d’arrivo, ma anche di partenza.
Caratterialmente tosto, Vincenzo ha saputo evidenziare anche doti notevoli di versatilità che lo rendono utilissimo nella rosa di una squadra.
Oltretutto la Fidelis ha potuto osservare da vicino il napoletano, datosi che lo ha affrontato da pochi mesi, prima di essere promossa in cadetteria.

Il Mister dei pugliesi, Mario Russo, quando se lo ritrova in ritiro durante la preparazione estiva resta sbalordito dalla inappuntabile attitudine al lavoro del nuovo arrivato, sebbene non gli conceda molti minuti, inizialmente.
La squadra parte malissimo in campionato e Russo lascia il posto allo specialista delle situazioni estreme, Giorgio Rumignani.
E l’Andria, alla fine, riesce a salvarsi grazie al lavoro del tecnico ed ai suoi migliori calciatori: il portiere Torresin, i difensori Ripa, De Trizio e Luceri, i centrocampisti Petrachi, Cappellacci, Quaranta, Terrevoli, Cangini, Coppola e Nardini, l’attaccante Insanguine.

Vincenzo Del Vecchio parte in sordina, poi con l’avvento di Rumignani conquista addetti ai lavori e tifosi e si impone come uno dei giocatori dal rendimento più costante.
Salta qualche gara per infortunio, ma nel rush finale c’è e risulta essere decisivo.
Affronta addirittura la Juventus di Roberto Baggio, Vialli, Casiraghi, Moller, Platt e Di Canio, nel secondo turno di Coppa Italia.
In realtà all’andata, in quel di Torino, Russo lo tiene fuori dai giochi in un match senza storia, con i bianconeri che si impongono per 4-0.
Nel ritorno, in terra pugliese, Vincenzo è titolare e la Fidelis riesce ad imporre il pari agli uomini di Trapattoni (1-1).
Trovarsi ad affrontare siffatti campioni è per il napoletano una sfida emozionante quanto indimenticabile.

Nella stagione seguente Rumignani accetta la corte del Pisa del mitico Romeo Anconetani (col quale andrà in conflitto dopo poche settimane, lasciando l’incarico) e la Fidelis ingaggia Attilio Perotti, in sua vece.
In Coppa Italia è proprio il Pisa, allenato da Nicoletti, a far fuori i pugliesi.
In campionato l’Andria si specializza in pareggi, attraverso i quali nel girone di andata bazzica le zone calde della graduatoria, mentre in quello di ritorno chiude all’ottavo posto, dopo un leggero calo nelle prestazioni.
D’altro canto il roster della squadra è stato ampiamente migliorato con gli acquisti del portiere Mondini, dei difensori Giampietro, Nicola e Rossi e dei centrocampisti Carillo, Masolini e Bianchi.
L’attacco risulta essere abbastanza abulico, ma la difesa fa da contraltare e si rivela l’arma vincente per mantenere la categoria.
Del Vecchio è ancora una volta titolare. anche se salta diverse partite per infortunio.
Ad Andria, insieme ai compagni, mette la museruola ad un signore che si chiama Batistuta.
L’argentino, campione vero, si rifà al ritorno.
Però Vincenzo non sfigura dinanzi a nessuno.

Vincenzo Del Vecchio - Fidelis Andria

In estate, alla scadenza del suo biennale con l’Andria, si ritrova svincolato.
Il nuovo tecnico, Gianfranco Bellotto, ha indicato un paio di preferenze, nel ruolo.
E la società ha idee di rinnovamento, piuttosto che di rinnovo.
Alla fine della fiera Vincenzo Del Vecchio è costretto, controvoglia, a cambiare aria.
Sarebbe rimasto volentieri in Puglia, ma valuta le offerte.
Lo cercano in molti dalla C, dove fa la differenza.
Ma anche in B ha dimostrato di essere all’altezza e Como, Acireale, Pescara e Cosenza ci fanno un pensierino.
La chiamata dell’Acireale, in particolare, fa sobbalzare Vincenzo.
“Tornare in Sicilia? Magari!”, esclama allorquando l’interessamento dei siciliani inizia a concretizzarsi.
Poi, a sorpresa, accade l’impensabile.

Il Catania, in preda ad una fortissima crisi societaria, è riuscito da un paio di stagioni ad evitare il fallimento grazie all’intervento di Angelo Massimino, tornato in sella per scongiurare la definitiva scomparsa del sodalizio etneo.
Al fine di non incappare nella radiazione il club è costretto a ripartire dall’Eccellenza.
Una mazzata atroce, per tutti coloro che amano i colori rossoblù.
La società riesce, in fretta e furia, ad allestire una rosa decente per salire di categoria e, in qualche modo (ripescaggio nel Campionato Nazionale Dilettanti per completamento organico) centra l’obiettivo.
La quarta serie è alquanto tosta e bisogna attrezzarsi come si deve, essere competitivi per lottare sui campacci di periferia e tentare la rapida risalita verso categorie più attinenti al blasone della società.
Servono elementi di spessore, insomma.

Il Direttore Sportivo dei catanesi, Franco Mazza, pensa a Vincenzo Del Vecchio.
Un calciatore carismatico, libero da vincoli contrattuali, amato dalla piazza e che adora la città.
Seeee!
Quello gioca in B, Franchì.
Ma ti pare che viene da noi?
“, replica Massimino al suggerimento del suo DS.
Beh, è svincolato e legatissimo a Catania.
Sta andando ad Acireale, Presidè: vuoi vedere che non viene da noi?
“, controreplica Mazza.
Loro sono in B, oh! Comunque faglielo uno squillo, hai visto mai?“, ribatte Massimino.
E la telefonata va a buon fine.
Vincenzo è entusiasta di tornare alle falde dell’Etna e sposa la causa catanese senza alcuna remora.
Non ci pensa su neanche un minuto.
U Saracinu, come affettuosamente lo chiamano i tifosi rossoblù, torna a casa.
Siciliano adottivo, riparte dal CND: in un calcio dove categoria e denari contano più di ogni altra cosa, lui va in controtendenza e mostra il cuore.

Il Catania è allenato dal suo ex calciatore Mosti, che ha conquistato la promozione dall’Eccellenza.
Insieme a Del Vecchio vengono presi il maturo portiere Riccetelli, il solido difensore Drago, l’esperto centrocampista Marino e il caparbio attaccante Pellegrino.
Mosti viene esonerato prima di subito ed al suo posto in panca siede il cavallo di ritorno Busetta, che ben conosce l’ambiente.
La squadra lotta indomitamente su ogni pallone e grazie soprattutto ai gol del bomber Mosca a fine stagione vince il campionato, venendo promossa in serie C2.
Nella poule scudetto il Taranto elimina i siciliani, ma l’obiettivo è raggiunto: il Catania torna nei professionisti e Vincenzo Del Vecchio, leader e capitano, è la gioia fatta persona.

L’annata successiva vede avvicendarsi alla guida tecnica della squadra ben tre allenatori: Leonardi, Cerantola e Russo.
La rosa viene rinforzata con alcuni buoni elementi: il portiere Fimiani, i centrocampisti Mazzaferro e Migliorini, la mezzapunta Barraco e gli attaccanti D’Isidoro e De Carolis.
Campionato di transizione, trascorso per la maggior parte a metà classifica, senza acuti e senza sofferenza.
In campo, eh.
Perché fuori un dolore immane colpisce Catania: nel marzo del 1996 Angelo Massimino perde la vita in un tragico incidente stradale e getta nella tristezza più profonda tutto l’ambiente siculo.
Una mazzata atroce anche per Vincenzo, legatissimo al suo presidente, che da capitano sale in tribuna prima della gara successiva alla scomparsa del dirigente e depone un mazzo di fiori nel posto da lui solitamente occupato per poi scendere in campo e dedicargli una rete, la prima della sua stagione e l’ultima con la maglia dell’Elefante.
Un gesto semplice, dovuto, ma che per Del Vecchio rappresenta la chiusura del cerchio.
Invero già da tempo ha deciso di traslocare da un vulcano all’altro, spostando la sua residenza da Napoli a Catania.

Trentenne, maturo e consapevole, Vincenzo chiude la sua avventura col Catania.
Una relazione, più che una semplice parentesi professionale.


Ormai stabilizzatosi in zona, come detto, e con un figlio nato da poco, Vincenzo Del Vecchio decide di non allontanarsi troppo dagli affetti familiari e rispedisce al mittente diverse proposte dallo stivale.
Sposa il progetto Milazzo, nel Campionato Nazionale Dilettanti, firmando un accordo biennale con opzione di rinnovo per altri dodici mesi.
La società della cittadina del messinese, che aveva lottato proprio col Catania per salire di categoria pochi anni prima, arrendendosi soltanto in un epico scontro diretto vinto dagli etnei, si è stabilizzata nel massimo torneo dilettantistico italiano.
Vincenzo Del Vecchio disputa tre ottime annate con la maglia rossoblù (i colori del destino, evidentemente) e nel 1998 sfiora la promozione in C2, contendendo sino all’ultimo la vittoria del torneo al Messina.
L’allenatore è Pasquale Marino, ex compagno di Vincenzo nel Catania e futuro tecnico di buona levatura.
Del Vecchio resta a Milazzo ancora una stagione, poi passa al Paternò, in Eccellenza.
Vince subito il campionato e si ripete nell’annata seguente, allenato ancora una volta da Marino, dominando il torneo di CND insieme a giocatori come Pannitteri (ex Cesena), Fimiani (altro ex compagno di Vincenzo, al Catania), Sorce (ex Parma), Di Dio, (ex Parma, anch’egli).
Uno storico trionfo per il club etneo che, però, non si ferma.
La società allestisce un buon organico per la C2 e centra i play-off, dove il Paternò supera dapprima il Giugliano in virtù del miglior piazzamento in stagione (sconfitta per 0-2 in Campania, vittoria per 2-0 al ritorno, con l’ex di giornata Del Vecchio che apre le marcature), poi impatta nella finale col Foggia (doppio 0-0) e per la medesima ragione di cui sopra -miglior piazzamento in stagione- approda, incredibilmente ma meritatamente, in serie C1.
Calvaresi, Calà Campana, Cacciola, Musumeci, Brutto, Polessi ed altri rappresentano un organico di tutto rispetto, per la categoria.
Ma l’impresa, ottenuta inoltre esprimendo un calcio sopraffino, è storica e vale la terza promozione di seguito al sodalizio catanese.

Vincenzo Del Vecchio - Paternò

In estate Pasquale Marino firma per il Foggia, guidando i pugliesi alla promozione in C1.
Vincenzo Del Vecchio, trentaseienne, si accorda col Siracusa, appena salito dall’Eccellenza.
Serie D e nuova promozione sfiorata, con il difensore napoletano che gioca come un veterano con almeno quindici anni di meno rispetto alla sua carta d’identità.

Siracusa - 2002-03

Non volendo saperne di appendere le scarpe al chiodo -e col Siracusa che vuole ringiovanire- Vincenzo accetta la corte dell’Adrano Calcio, sempre nei dintorni di Catania, appena promosso in D.

Un biennio e due tranquille salvezze, per Del Vecchio e per il club, prima di firmare per una stagione col Trecastagni, ancora in zona, nel campionato siciliano di Eccellenza.
L’esperienza di Vincenzo, quarantenne, al servizio del gruppo.
La squadra chiude al secondo posto alle spalle del Paternò e perde la finale play-off, fallendo la promozione in D.
Una delusione atroce che però non è nulla a confronto con quello che accade poco prima della Pasqua del 2006.
Il Trecastagni è impegnato in un match d’alta quota a Carini, compagine che milita anch’essa nelle parti nobili della classifica.
Ad un certo punto della partita, alquanto tirata e combattuta, Vincenzo si accascia al suolo, perdendo i sensi.
I medici delle due squadre intervengono prontamente, ma la situazione appare subito drammatica.
Del Vecchio è in arresto cardiaco e viene immediatamente trasportato all’ospedale di Carini dove, purtroppo, non riprende conoscenza e muore, per la disperazione della moglie e dei suoi due figli piccoli.


A soli quaranta anni d’età viene a mancare un uomo che ha lasciato bellissimi ricordi ovunque abbia giocato e vissuto.
Nato come laterale sinistro, terzino di fascia arrembante e potente, Vincenzo del Vecchio è un poderoso cavallone alla Gordillo, per chi se lo ricorda, cioè un giocatore votato all’attacco che però non trascura affatto la fase difensiva.
Duro nel contrato, bravo nell’indovinare il tempismo giusto in spettacolari scivolate che sradicano la sfera dai piedi degli avversari, deciso nella marcatura e spregiudicato nelle discese in territorio nemico, che lo rendono un centrocampista aggiunto piuttosto che un difensore puro.
Irruento e irascibile, rischia spesso di andare sopra le righe in un calcio che a differenza di quello odierno tende maggiormente a tollerare determinate intemperanze.
Focoso ma sostanzialmente corretto, Vincenzo ha nel corso della sua carriera attutito certe esuberanze, ma senza mai smarrire la sua forte determinazione, una sorta di garra siculo-campana che diventa il suo marchio di fabbrica.
Avanzando negli anni ha smussato anche la fase offensiva, trasformandosi in difensore completo, abile e sicuro sia da centrale che da braccetto (mancino), in un modulo a tre.
Piede abbastanza educato, potente nel tiro e preciso nell’appoggio, è bravo a crossare pure in corsa e di testa e/o in acrobazia le prende quasi tutte lui, mettendo a segno anche diversi gol in carriera.
Leader naturale, capitano sia con la fascia al braccio che senza, possiede un indole vincente ed è generoso e serio come pochi altri in un ambiente genericamente marcio ed ipocrita quale è quello del calcio.


Lascia una traccia profonda in coloro che lo hanno conosciuto e in chi, come lo scrivente, lo ricorda benissimo e con gli occhi del ragazzino innamorato di quell’indomito fluidificante che in una gara a Sezze, con la maglia del Forio, innervosito dalle avverse decisioni arbitrali e dai locali che lo irridono, entra sul suo avversario diretto con un intervento di karate -sanzionato con l’ammonizione- che oggi gli sarebbe valso un processo per tentato omicidio.
Oppure, in un altra partita, allontanato dal direttore di gara per un fallo inesistente si arrampica sulla rete antistante gli spogliatoi ed aspetta la giacchetta nera con un secchio pieno d’acqua tra le mani, per vendicarsi del tutto.
O ancora in un delicato match tra le mura amiche, dove tira un rigore che nessuno dei compagni si sente di calciare e lo sbaglia, uscendo dal campo con le lacrime agli occhi e con il padre -che lo seguiva sempre- che lo abbraccia invitandolo a rifarsi alla prossima occasione, senza indugiare in rimpianti.

Un matto dal cuore d’oro, che spero di aver contribuito ad onorare con queste poche righe pregne d’affetto e di ricordi.

Ovunque tu sia, caro Vincenzo, nessuno ti ha dimenticato.
“Muore giovane chi è caro agli Dei”, sostiene il poeta greco Menandro.
Se sia o meno vero, beh, non è dato saperlo: forse in un’altra vita lo scopriremo.
Di certo c’è che “non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi”, volendo parafrasare il pensiero di Cesare Pavese.
E di attimi da conservare, nella nostra memoria e nel nostro cuore, in questo caso ne abbiamo davvero a iosa.

Addio, guerriero!


Vincenzo Del Vecchio: U Saracinu.

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