• Il Serpente

Youri Djorkaeff

“Ma di Youri Djorkaeff, non scrivi nulla?”
La richiesta, invero espressa con tono mielato quanto deciso, proviene dalla mia adorabile ed adorata compagna, appassionata e competente di calcio ben più del sottoscritto e classe 1985, quindi con buona memoria del furore agonistico di un giocatore che, tra l’altro, a me è sempre piaciuto un casino.
Perché discorriamo di un talento atipico, difficilmente collocabile dal punto di vista tattico eppure straordinariamente efficace, sul manto verde.
Un vero e proprio Top, per intenderci.


Youri Raffi Djorkaeff nasce a Lione, nel marzo del 1968.
Terza città più popolosa della Francia, Lione è posta sulla confluenza tra i fiumi Rodano e Saona e si presenta come luogo decisamente interessante, sia turisticamente che enogastronomicamente parlando, trovandosi in una regione ricca di spunti interessanti per il visitatore che decide di dedicarle qualche giorno.
Io ci sono passato di sfuggita, molti anni or sono, e mi piacerebbe ritornarci ed approfondire la traccia, prima o poi.

Famiglia di origini miste, quella del piccolo Youri.
Il nonno era un calmucco, ovvero appartenente al gruppo etnico di origine mongole che si era stabilito in Russia parecchi anni or sono.
Di conseguenza Jean, il padre del ragazzo, ne eredita la genesi e la miscela a quella polacca, di sua madre.
La mamma di Youri, Mary, è invece armena.
Entrambi i genitori posseggono la cittadinanza francese, chiaramente.
E Jean è pure un calciatore professionista, che ha collezionato una cinquantina di presenze con la maglia della Rappresentativa Francese -che ha spesso capitanato e con cui ha partecipato ai Campionati del Mondo del 1966, in Inghilterra- e che ha giocato a lungo ai massimi livelli del calcio transalpino.

Youri, che deve il suo nome di battesimo al personaggio principale del film “Il Dottor Zivago”, interpretato dal mitico Omar Sharif, insieme ai fratelli Micha e Denis possiede quindi il pallone nel DNA.
E si nota sin da subito allorquando nei dintorni di Décines, il paesino alle porte di Lione soprannominato la “Piccola Armenia” (per la grande quantità di profughi armeni che vi abitano dopo la Prima Guerra Mondiale), dove vive con la famiglia, inizia a dare spettacolo sui campetti di periferia.
A scuola non si diverte molto, mentre va decisamente meglio praticando atletica e judo.
Ha una cotta per il tennis, al quale più tardi preferisce il nuoto.
Tutto molto bello, direbbe il caro Bruno Pizzul, però è il calcio che ruba il cuore di Youri e non glielo restituisce mai più.


Il suo talento è appariscente, nonostante la giovane età.
Il padre, che lo allena tra i giovanissimi della squadra locale, è prodigo di consigli e gli impone una disciplina ferrea quanto intransigente.
Il figlio, che ne recepisce il messaggio, attira immediatamente su di sé una marea di sguardi interessati.
Tifa per il Liverpool e sogna di ricalcare le orme del mitico Johan Cruyff, Youri.
E si ritrova nella AS Saint-Priest, società affiliata al Lione.
Poco dopo passa all’Unione Sportiva Meyzieu, a due passi da casa e soluzione più comoda a livello logistico per gli allenamenti.
Lo step successivo è con l’AS Villeurbanne, ove conquista la convocazione nella rappresentativa giovanile francese e si merita un provino con il prestigioso FC Sochaux.
In campo regala spettacolo, però la società legata al marchio Peugeot decide di non investire su di lui: che si convince di essere vittima di razzismo, essendo il suo cognome legato ad una provenienza etnica non propriamente francese.
Un episodio che segnerà parecchio il giovane Youri Djorkaeff, che però non molla affatto i suoi sogni ed a quindici anni approda al Grenoble, club che ondeggia tra la seconda e la terza divisione francese e che supera la concorrenza di molte altre società interessate alla promessa di origini armene.

FC Grenoble

Appena diciassettenne, esordisce in seconda divisione.
Inizia a maturare esperienza tra i grandi e continua a fare la differenza con la juniores.
Il Grenoble retrocede in terza serie, salvo ritornare subito in cadetteria grazie anche alle ottime prestazioni di Youri, che gioca da trequartista ed inventa e segna come un leader, tanto da guadagnarsi la firma sul primo contratto da professionista e addirittura la fascia di capitano del team.

A Grenoble si trova bene, però Youri Djorkaeff vorrebbe misurarsi con realtà ancora più importanti.
Ha ambizioni, il ragazzo.
E dimostra di meritarsele, col soprannome datogli dai tifosi locali che lo presenta meglio di qualunque altra descrizione: il piccolo Mozart.
Nel 1989, ventunenne, Youri riceve una proposta dallo Strasburgo.
Club di rango, appena retrocesso dalla prima divisione e voglioso di tornare rapidamente ai fasti del passato.

Lui accetta, il Grenoble no.
Poi lo Strasburgo alza la posta e sborsa una cifra notevole, convincendo la sua (ex) società d’appartenenza a liberarlo ed acquisendo quindi il cartellino del giovane.


Nella bella cittadina alsaziana il giocatore disputa una stagione straordinaria, segnando oltre venti reti in meno di una trentina di gare ed imponendosi come elemento di categoria superiore.
E difatti nel mercato novembrino dell’annata seguente lo Strasburgo, che ha sfiorato la promozione -sfumata agli spareggi-, riceve una proposta irrinunciabile dal Monaco per il suo gioiello, che vinto il premio di miglior calciatore della seconda serie ed è entrato a far parte della Under 21 francese.

Youri Djorkaeff, che sta svolgendo il servizio militare nel nord del paese, torna nel fine settimana al sud ed esordisce in prima serie mettendosi subito al servizio dei compagni, con umiltà ma anche con grande convinzione nei propri mezzi.
Arsène Wenger, il suo allenatore, lo lancia nella mischia senza timore, per quanto lo riprenda più volte a causa della mediocre fase difensiva che inficerebbe, a suo dire, le prestazioni del fantasista.
A fine anno Youri, titolare a sprazzi, mette comunque in bacheca il suo primo trofeo: la Coppa di Francia, edizione 1990-91, vinta per 1-0 ai danni del forte Marsiglia di Papin, Waddle e Stojković.

Nella stagione seguente Djorkaeff esordisce in Europa e col Monaco arriva sino alla finale della Coppa delle Coppe, perdendo dinanzi al Werder Brema di Allofs, Votava e Rufer, allenato da Otto Rehhagel (0-2).
In campionato il club monegasco chiude alle spalle del Marsiglia campione, come dodici mesi prima e, sebbene alla pari del Paris Saint-Germain, come dodici mesi dopo.
In estate il Lione prova ad acquistare Youri, forte del fatto che ogni tanto il ragazzo abbia qualche scazzo con Wenger.
Ma lo stesso tecnico pone il veto sulla cessione e Djorkaeff continua la sua avventura nel Principato, rifiutando -di lì a breve- pure le avances del Bordeaux.
Nel 1994 il calciatore di origini armene compie un exploit, mettendo a segno ben 20 reti e diventando capocannoniere del torneo, seppur a pari merito con altri due delanteros, ed imponendosi come uno dei migliori prospetti del campionato.
Il Monaco incappa però in una stagione deludente, chiudendo a metà classifica e non brillando nemmeno in Coppa di Francia, eliminato dal Marsiglia.
Meglio va in Coppa dei Campioni, dove ha giocato al posto del succitato Olympique Marsiglia (squalificato per illecito sportivo), quando è costretto ad arrendersi soltanto in semifinale al fortissimo Milan di Baresi e Maldini, che andrà a vincere il titolo.

Djorkaeff - Monaco

Va detto che il club del Principato dispone di una rosa di ottima levatura: Klinsmann, Thuram, Petit, Scifo, Puel, Ikpeba, Ettori ed altri ancora.
Niente male, insomma.

Il Monaco risale posizioni in graduatoria, pian piano, ma non porta a casa alcun trofeo.
Nel 1995 Youri Djorkaeff è in scadenza di contratto.
I dirigenti biancorossi provano a rinnovare il quinquennale firmato un lustro prima, ma il calciatore ha voglia di salire ulteriormente di livello.
Lo cercano in molti, soprattutto da Spagna ed Italia.

Lui pare avviato verso la penisola iberica, prima di convincersi al trasferimento al Paris Saint-Germain dove trova il talentuoso brasiliano Rai (fratello del mitico Socrates), il potente panamense Dely Valdes e diversi altri buoni giocatori che consentono al team di alzare al cielo la Coppa delle Coppe, vincendo la finale di Bruxelles contro il Rapid Vienna per 1-0.
In campionato il PSG inizia alla grande ma chiude secondo dietro l’Auxerre e Youri Djorkaeff, che a Parigi ha fatto molto bene e vinto il suo secondo trofeo in carriera, ha desiderio di giocare all’estero.

Barcellona, Valencia e Siviglia inviano i propri emissari nella capitale francese, ma ancora una volta il destini di Youri e della Spagna non si incrociano ed il franco-armeno firma per l’Inter, salendo sull’aereo per Milano grazie al proficuo lavoro del direttore sportivo Sandro Mazzola e del vice-presidente Giammaria Visconti di Modrone.


Va ricordato che nello stesso periodo si giocano gli Europei del 1996, in Inghilterra.
La Francia, che ha saltato i Campionati del Mondo del 1994 in USA, ha voglia di rifarsi e Djorkaeff, col tecnico Jacquet, è diventato uno dei cardini della rosa.
I bleus esordiscono con una vittoria per 1-0, contro la Romania di Hagi e Belodedici.
Poi pareggiano con la Spagna di Hierro e Caminero, 1-1 (gol di Youri).
Infine battono per 3-1 la Bulgaria di Stoichkov e Penev, superando il primo turno.
La Francia dispone di una squadra davvero di valore: Zidane, Deschamps, Thuram, Desailly, Blanc, Dugarry e company.
Agli ottavi fa fuori l’Olanda di Bergkamp e Kluivert ai rigori, mentre ai quarti va a casa contro la Repubblica Ceca di Nedved e Poborsky, sempre ai rigori.
Entrambe le gare si sono chiuse sullo 0-0 sia nei tempi regolamentari che dopo i supplementari.
Youri Djorkaeff mette a segno i suoi tiri, nella lotteria dal dischetto.
Ma non basta e la sua Nazionale, con un pizzico di delusione, torna a casa.


Lui, invece, sbarca nella penisola.
L’Inter, reduce da un stagione alquanto deludente, ha salutato già dall’inizio dell’annata precedente il tecnico Ottavio Bianchi, sostituendolo con l’inglese Roy Hodgson.
Dal calciomercato, oltre ad Youri, arrivano in Lombardia diversi altri elementi.
Il buon centrocampista svizzero Sforza, preso dal Bayern Monaco.
Il forte olandese Winter, anch’egli centrocampista, ingaggiato a parametro zero e proveniente dalla Lazio.
L’arrembante terzino francese Angloma, dal Torino.
Il promettente stopper Galante, acquistato dal Genoa.
Il giovane laterale Mezzano, pure lui prelevato dal Toro.
Il bomber cileno Zamorano, dal Real Madrid.
Il talentuoso attaccante Kanu, dall’Ajax.
Ed una serie di comprimari, utili a rimpolpare la rosa in vista degli impegni stagionali.
Lasciano invece la Pinetina giocatori come Roberto Carlos, Bianchi, Manicone, Dell’Anno, Fontolan, Centofanti ed altri ancora.
Una mini-rivoluzione, l’ennesima del periodo per l’Inter di Massimo Moratti, alla continua ricerca di una identità che sia solida e, nel contempo, pure stabile.

Djorkaeff si ambienta subito, a Milano.
I nerazzurri sono un buon mix di esperienza e talento.
In porta c’è Pagliuca, una garanzia.
In difesa il capitano Bergomi è il leader e Massimo Paganin il suo alter ego, mentre Fresi e Galante sono i giovani sui quali provare a costruire il futuro.
L’argentino Zanetti spinge a destra, mentre a sinistra il buon Pistone sarà uno dei trecento terzini chiamati all’improbo -ed infattibile- compito di sostituire Roberto Carlos, negli anni.
In mezzo ci sono il tenace inglese Ince, i succitati Sforza e Winter, il cavallo pazzo Berti.
Davanti, oltre ai nuovi arrivi Zamorano e Kanu, ecco Ganz e Branca, a dar manforte alla causa interista.

Youri agisce sulla trequarti, ispirando le punte e giocando egli stesso da attaccante puro, in alcuni frangenti.
In campionato è il capocannoniere dei suoi e mette a segno quattordici gol, uno dei quali -una meravigliosa sforbiciata- assolutamente indimenticabile, che entra a pieno titolo nell’immaginario collettivo delle reti più iconiche della storia del calcio italiano: ⬇⬇⬇


Orgasmo puro.
Dopo esserci adeguatamente ripuliti dal copioso gettito di piacere possiamo tornare alla stagione in oggetto, che l’Inter conclude al terzo posto in campionato dietro ai campioni della Juventus ed al Parma.
In Coppa Italia è il Napoli -ai rigori- ad escludere i nerazzurri dalla competizione, in semifinale.
Ma è in Europa che la compagine milanese fa più strada, raggiungendo la finale di Coppa Uefa.
Nel doppio confronto, con i tedeschi dello Schalke 04 di Thon e Wilmots, l’Inter perde in Germania, per 1-0, e vince con identico risultato al ritorno, a San Siro.
Ai rigori segna solo Youri Djorkaeff, per i milanesi.
I teutonici sono infallibili dal dischetto e portano a casa il trofeo.
Delusione atroce per il patron Moratti e per tutto il popolo nerazzurro.
Hodgson, che litiga pesantemente con Zanetti dopo un cambio, rassegna le dimissioni e lascia il posto al vice Castellini per gli ultimi scampoli di stagione.

In estate l’Inter sceglie Gigi Simoni, come allenatore.
E mette in atto una nuova rivoluzione.
In attacco, con Kanu che ha saltato tutta la stagione precedente a causa di problemi cardiaci, si decide di puntare in alto: dal Barcellona, per una cinquantina di miliardi delle vecchie lire, arriva nientepopodimeno che il campionissimo Ronaldo, il fenomeno.
Ma non basta.
Il geniale fantasista uruguagio Recoba viene prelevato dal Nacional Montevideo.
Il grintoso interno argentino Simeone, ex Pisa, dall’Atletico Madrid.
Il combattivo mediano francese Cauet dal Paris Saint-Germain.
Il bravo libero brasiliano André Cruz dal Napoli.
Il promettente difensore Sartor dal Vicenza.
L’irruento stopper nigeriano West dall’Auxerre.
La talentuosa ala Moriero dal Lecce.
Il dinamico centrocampista brasiliano Zé Elias dal Bayer Leverkusen.
E, più tardi, l’ex juventino Paulo Sousa, dal Borussia Dortmund, ed il difensore Colonnese, dal Napoli.
Berti, Paganin e Ganz salutano invece la compagnia.

La squadra è forte e lotta con la Juventus, per il titolo.
Un saliscendi che sfocia nello scontro diretto, alla quartultima giornata, in cui l’arbitro ci mette ampiamente del suo, condannando gli uomini di Simoni alla sconfitta e decretando la vittoria del campionato per i bianconeri, con annesse e furiose polemiche che durano ancora oggi.
In Coppa Italia un clamoroso 0-5 rimediato dal Milan estromette i nerazzurri dalla competizione, in quanto a nulla serve la vittoria per 1-0 al ritorno.
Ma è in Coppa Uefa che l’Inter regala ai suoi tifosi una immensa gioia, la prima dell’era di Massimo Moratti.
A Parigi, in finale, Ronaldo e compagni piegano la resistenza della intrigante Lazio di Nesta e Mancini.
3-0, il risultato finale.
Youri Djorkaeff, che in campionato ha fatto il suo realizzando otto reti in ventinove gare, nella capitale transalpina gioca da trequartista, alle spalle di Zamorano e del fenomeno, vincendo il suo primo trofeo da quando si è trasferito in Italia.

E dopo aver festeggiato si ferma in Francia, perché ci sono i Campionati Mondiali del 1998.
I transalpini, per l’appunto padroni di casa, sono tra i favoriti della kermesse.


Schieramento 4-3-1-2, di norma.
Barthez gioca in porta.
Dietro ci sono Thuram, Blanc, Desailly e Lizarazu.
In mezzo Karembeu, Deschamps e Petit.
Zidane ad ispirare le punte, Djorkaeff e Guivarc’h (preferito ad altri nomi più altisonanti per la sua capacità di aprire gli spazi e di favorire lo sviluppo della manovra).
Leboef, Viera, Pires, Diomede, Henry, Trezeguet e Dugarry sono le prime alternative -si fa per dire- ai titolari.
Squadra fortissima, non c’è che dire.
Jacquet ruota alcuni elementi chiave, in un paio di gare, per fare in modo da avere tutti in ottima forma e pronti a dare il proprio contributo, quando chiamati in causa.
La Francia vince il girone iniziale in carrozza battendo il Sud Africa di Fish e McCarthy (3-0), l’Arabia Saudita di Al-Jaber e Al-Deayea (4-0) e la Danimarca dei fratelli Laudrup (2-1).
Agli ottavi di finale il Paraguay di Gamarra e Cardozo si dimostra essere avversario più ostico del previsto ed ai francesi occorrono i tempi supplementari (1-0) per aver ragione dei sudamericani.
Ai quarti i bleus riescono a piegare la resistenza dell’Italia di Del Piero e Roberto Baggio soltanto ai calci di rigore (0-0, al termine dei supplementari).
Youri Djorkaeff non calcia il suo penalty, preoccupato dal fatto che nella porta avversaria ci sia il suo amico e compagno di club Pagliuca, che lo conosce a menadito.
In semifinale i nostri cugini battono la Croazia di Suker e Boban (2-1), approdando alla finalissima con il Brasile di Ronaldo, Cafu, Roberto Carlos, Rivaldo, Bebeto e compagnia bella.
Il match è però quasi senza storia, con la Francia che vince 3-0 e si laurea Campione del Mondo.
Un percorso lungo e contorto, che ha premiato l’impegno degli uomini di Jacquet e l’organizzazione tattica e la compattezza di una squadra che ha saputo rivelarsi tale anche fuori dal terreno di gioco.
Un gruppo coeso, per giunta formato da campioni veri.
La Francia, anche grazie ad un Ronaldo che disputa la finale in pessime condizioni psicofisiche, è sul tetto del pianeta.
E Youri Djorkaeff idem come sopra, da protagonista assoluto.
Un traguardo prestigiosissimo e meritato, che riempie di gioia e di orgoglio anche tutta la sua famiglia, in primis il padre Jean.

Youri Djorkaeff - 1998

La stagione post-mondiale vede Youri sognare lo Scudetto con la maglia dell’Inter.
L’ingaggio di Roberto Baggio, prelevato dal Bologna dove si è rilanciato alla grande, sembra poter fare da apripista ad una annata ricca di soddisfazioni per il pianeta nerazzurro.
I giovani francesi Frey, Silvestre e Dabo ed i promettentissimi Pirlo e Ventola vanno ad integrare un roster già di ottima qualità.

Ma come direbbe il saggio e navigato intellettuale Claudio Corcione, “quando devi prenderlo nel culo il vento ti alza la camicia”.
Volgare, certo, ma oltremodo efficace.
La stagione difatti si trasforma ben presto in uno schifo di dimensioni epocali.
In campionato l’Inter finisce ottava e perde malamente -col Bologna- lo spareggio per l’accesso in Coppa Uefa tra le semifinaliste di Coppa Italia (dove i milanesi escono al cospetto del Parma), datosi che le finaliste sono entrambe già qualificate per la Champions League.
In quest’ultima competizione invece è il Manchester United ad eliminare i meneghini.

Youri paga il bailamme che avvolge la squadra e la società: in particolar modo il francese soffre il dualismo con Baggio sulla trequarti, non sempre si ritrova sincronizzato con i movimenti offensivi del suo ormai grande amico Ronaldo e non si giova delle giocate di un Pirlo ancora troppo acerbo e per certi versi poco efficiente nella zona avanzata del prato verde.
Inoltre l’instabilità fisica del brasiliano, che è decisivo soltanto a sprazzi, complica i piani di Simoni e, più tardi, di Lucescu, Castellini e Hodgson, che si succedono sulla panca dell’Inter senza riuscire a governarne la rotta.
Annata oltremodo balorda, come detto.
Moratti decide di resettare tutto, per l’ennesima volta, ed ingaggia Lippi, come Mister.
Come se non bastasse spende un patrimonio e porta a Milano il bomber Vieri, proveniente dalla Lazio, per affiancare Ronaldo.
Tra estate ed inverno si ritrovano alla Pinetina nomi quali Peruzzi, Seedord, Jugovic, Blanc, Panucci, Di Biagio, Georgatos. Domoraud, Recoba (di ritorno), Cordoba, Mutu, Ferron.
Non sarà subito un successo, però.
Ovviamente, dopo una simile e faraonica campagna acquisti, qualcuno è costretto a fare le valigie.
Soprattutto in attacco.
Moratti lo ama come un figlio, ma pure Djorkaeff rientra tra coloro che lasciano l’Inter.
Gli spazi sarebbero ridotti all’osso, per lui.
E la voglia di essere presente ad EURO 2000 da protagonista richiede una squadra che gli conceda minuti e fiducia.
Termina quindi, agli arbori del nuovo secolo, l’avventura italiana di Youri Djorkaeff.


Calciatore destinato sin da subito a spostare gli equilibri e generare dibattiti tra appassionati ed addetti ai lavori.
Un nove e mezzo, come è stato più volte definito.
Centrocampista, fantasista ed attaccante: uno e trino, per la religione calcistica.
Mistura che sembra provenire dalle sue origini. complesse quanto affascinanti.
Estroso come pochi altri sanno esserlo, capace di dribbling ubriacanti e di serpentine fantasmagoriche, di strappi fulminei e di ripartenze improvvise, Youri Djorkaeff incarna alla perfezione il prototipo del genialoide.
Di complessa collocazione tattica, a causa della sua posizione talvolta ibrida, riesce comunque ad incidere sui destini delle sue squadre e fa innamorare le folle con le giocate spettacolari e con le reti che mette a segno che, non di rado, risultano essere delle perle di inestimabile valore che restano impresse nella memoria e nel cuore degli sportivi.
Può giocare indifferentemente da centrocampista puro, solitamente partendo da sinistra-, da mezzala, da rifinitore, da fantasista, da trequartista, da ala, da seconda punta e, più raramente, da boa centrale e/o falso nueve.
Insomma: dalla trequarti in su può fare tutto, ma proprio tutto.
E d’altronde con il piede destro che si ritrova non è difficile inventare calcio, controllare la sfera come se fosse un prolungamento del suo corpo, tirare in porta sia da fermo che in corsa e/o in acrobazia, tirare bene le punizioni e calciare chirurgicamente i rigori.
I suoi potenti e precisi tiri dalla traiettoria malefica gli valgono il soprannome di serpente, affibbiatogli dal secondo portiere del Monaco, ai tempi, in allenamento.
Ha talento, estro, visione di gioco, personalità.
Fa gruppo, nonostante sia tendenzialmente un individualista.
Sceglie quasi sempre la giocata migliore, per quanto abbia una ragguardevole dote di egoismo insita nel DNA.
A dir poco glaciale, quando si ritrova dinanzi al portiere avversario.
Regala assist ai compagni e non disdegna la conclusione personale, non appena vede uno spiraglio libero.
Sa assumersi le proprie responsabilità e nei momenti decisivi è sovente determinante, ma non sempre riesce ad essere continuo nel rendimento, quantomeno come ci si aspetterebbe da uno che possiede doti straordinarie.
Pecca maledettamente nei ripiegamenti difensivi, invece, ove esprime una fastidiosa indolenza al sacrificio.
Non si abbina facilmente con tutte le tipologie di attaccanti, tocca ribadirlo, ma in questo caso non è sempre colpa sua.
Di testa non la prende manco per sbaglio, inoltre.
Però è indiscutibilmente un vincente e nel suo ruolo, ammesso e non concesso che ne abbia realmente uno, è un numero uno assoluto.


L’obiettivo è partecipare ai Campionati Europei del 2000, in Belgio e Paesi Bassi.
Per questo Youri, dopo l’Inter, si guarda intorno alla ricerca di un progetto che lo metta al centro della scena.
Lo cercano in tanti, per davvero.
D’altronde è Campione del Mondo in carica, eh.
Paris Saint Germain, Ranger Glasgow, Valencia, Middlesbrough, Siviglia, Borussia Dortmund, Chelsea e Olympique Marsiglia formulano proposte ufficiali.
Lui parrebbe orientato verso il romantico ritorno a Parigi, per quanto anche le altre offerte lo stuzzichino parecchio.
Poi, a sorpresa, spunta il Kaiserslautern.
La città non è Parigi o Londra, chiaro.
Ma la squadra è discreta: bazzica le zone nobili della Bundesliga e da poco ha vinto il campionato tedesco, il primo nella storia (in Germania) per una neopromossa.
L’intenzione è quella di continuare a lottare per traguardi importanti e l’ingaggio di Youri Djorkaeff, caldeggiato dall’eminente tecnico Otto Rehhagel, ne è la conferma.
L’allenatore chiama il franco-armeno spiegandogli per filo e per segno la sua idea di calcio.
Youri accetta con entusiasmo la destinazione e l’Inter incassa poco meno di sei miliardi di lire.
Alla presentazione del calciatore fanno capolino circa trentamila tifosi, che sin da subito lo eleggono come proprio beniamino.
Nella cittadina del Palatinato il nostro ritrova lo svizzero Sforza, col quale ha giocato nell’Inter.
E ci sono anche altri elementi di spessore: Basler, Hristov, Ramzy, Schjønberg, Tare, Pettersson, Marschall, Strasser.
In pratica un funambolo (Basler) e tanti ottimi mestieranti della pelota.
Il manico (Rehhagel), poi, è garanzia di ordine tattico e buoni risultati.
Djorkaeff sceglie la maglia col numero 14 rispetto al solito 6, il suo preferito.
E trascina i suoi al quinto posto finale in graduatoria, da capocannoniere (11 gol) e da leader, venendo considerato tra i tre migliori stranieri del torneo.

Youri Djorkaeff - FC Kaiserslautern

In estate Youri Djorkaeff diventa Campione d’Europa, oltre che Campione del Mondo.
La sua Francia, difatti, è la prima nazionale nella storia a vincere uno dopo l’altro sia il Mondiale che l’Europeo.
I transalpini partono con un secco 3-0 alla Danimarca di Schmeichel e Tomasson.
Poi bissano con la Repubblica Ceca di Nedved e Rosicky (2-1), con Youri che segna il secondo gol dei blues.
La sconfitta (2-3) contro l’Olanda di Overmars e Davids è quasi indolore, prima di superare la Spagna ai quarti (2-1), con la rete che decide l’incontro messa a segno da Djorkaeff.
In semifinale i francesi piegano il Portogallo di Figo e Rui Costa ai tempi supplementari (2-1) ed in finale hanno la meglio sull’Italia di Maldini e Nesta grazie al golden gol di Trezeguet (2-1) che conduce gli uomini del C.T. Lemerre nel Mito.
Djorkaeff salta soltanto la semifinale e, da titolare, mette in bacheca il secondo titolo più importante di sempre, nella sua carriera.


Al ritorno in Germania il Kaiserslautern inizia ad avere qualche problema societario.
Sforza passa al Bayern Monaco e dal calciomercato arrivano giocatori non in grado di mutare i destini della compagine tedesca.
L’esplosione del futuro asso Klose, proveniente dalla squadra riserve, non basta a salvare la panchina di Rehhagel, che viene presto sostituito dalla vecchia gloria locale -ed ex interista- Andreas Brehme.
Il quale non va affatto d’accordo con Youri Djorkaeff: tutt’altro.
Il rapporto nn solo non decolla praticamente mai, ma va anzi sempre più peggiorando.
Fin quando esplode definitivamente, dopo una pesante sconfitta nelle semifinali della Coppa Uefa: 1-5 dall’Alaves, con Youri che critica aspramente le scelte del suo tecnico e quest’ultimo che se la lega al dito con fastidio e rancore.
Nel match di ritorno -in casa- il francese apre le marcature, in un disperato tentativo di rimonta, salvo poi arrendersi, insieme ai compagni, alla furia degli spagnoli, che mettono a segno quattro reti e chiudono la pratica senza abbisognare di ulteriori appelli.
In Bundesliga il Kaiserslautern è lontano dalle zone che contano e l’andazzo non sembra mutare nella stagione seguente, allorquando Djorkaeff si ritrova di fatto fuori dalle rotazioni del club -sia a causa di alcuni infortuni e sia per l’ingaggio del brasiliano Lincoln, suo omologo nel ruolo- e decide di cambiare aria, in vista dei Mondiali del 2002.

Prima fa in tempo a vincere -da attore principale- la Confederations Cup, superando nella finalissima il Giappone, per 1-0.

Dopo aver chiuso con il Kaiserslautern il Serpente sembrerebbe destinato al Marsiglia del patron Tapie, con cui già vi erano stati alcuni abboccamenti in estate: ma, a sorpresa, decide di firmare per il Bolton, in Inghilterra.
Nella parte di stagione che resta aiuta il team a raggiungere una complicata salvezza, poi al secondo anno ripete il miracolo ed inoltre lo porta in finale di Coppa di Lega, dove però è il Middlesbrough di Mendieta e Juninho  ad imporsi per 2-1, vincendo il trofeo.
Il Bolton, allenato da Sam Allardyce, è un esercito di stranieri, la maggior parte dei quali è pure in scadenza di contratto.
I tifosi vorrebbero più inglesi, in campo.
Il manager invece è convinto che la multiculturalità calcistica sia l’unica strada percorribile per un club dalle modeste possibilità d’investimento.
Oltre a Youri Djorkaeff, i migliori giocatori sono: il nigeriano Jay-Jay Okocha, lo spagnolo Ivan Campo, il danese Per Frandsen, il francese Bruno Ngotty, l’inglese Ricketts.
Nulla di eclatante, tranne forse per l’africano.
Alla terza stagione con i Wanderers (come vengono chiamati i giocatori del Bolton) le cose vanno decisamente meglio e la squadra chiude in ottava posizione nella Premier League edizione 2003-2004.


Al termine dei suoi primi sei mesi nel Regno Unito il nostro Youri partecipa ai Campionati del Mondo del 2002, in Corea del Sud e Giappone.
La sua Francia è ormai sazia di trionfi ed esce miseramente al primo turno, dopo aver perso (0-1) all’esordio col Senegal, impattato per 1-1 con l’Uruguay ed essere incappata in una nuova sconfitta con la Danimarca (0-2).
Il franco-armeno inizia da titolare, prima di ritrovarsi in panchina nelle gare successive.
Ha fatto di tutto per presentarsi in Asia nel miglior modo possibile, ma non è bastato.
Chiude così in malo modo la sua comunque stupenda epopea con i blues, con una ottantina di presenze ed una trentina di reti a corredo.

Dopo l’avventura al Bolton, Youri è svincolato e si accorda con i New York MetroStars: ha voglia di scoprire gli USA ed è affascinato dall’avventura oltreoceano.
Gli statunitensi debbono però liberarsi di uno straniero, per poter inserire Djorkaeff nella casella apposita.
L’impresa non riesce in tempi brevi e nel frattempo il genialoide francese viene cercato da mezza Premier: West Ham, Everton, Birmingham, Aston Villa, Crystal Palace, Portsmouth.
Il Fulham gli propone un provino per valutarne le condizioni fisiche e tutto sembrerebbe andare per il verso giusto, salvo poi un inaspettato dietrofront della società che urta pure il suo allenatore, Coleman, che aveva già l’aquilina alla bocca all’idea di allenare il calciatore di Lione.
Il Blackburn Rovers si inserisce quindi nel supposto affare e fa firmare a Youri un contratto trimestrale, con opzione di rinnovo.
Complice qualche infortunio di troppo, il francese non riesce ad incidere come vorrebbe.

Pensa al ritiro, poi valuta offerte da Cina, Russia e Qatar.
Non è convinto e non ha voglia di tornare in Francia, dove pure vanta diverse pretendenti.
Aspetta gli USA e gli USA, alla fine, chiamano.

Youri Djorkaeff - MLS

Lui risponde in men che non si dica e vola a New York, da quei MetroStars che finalmente possono annunciarne il tesseramento.
Primi francese a militare nella MLS (Major League Soccer), tra l’altro.
Maglia numero 10, stavolta.
Tante giocate sublimi e diversi premi personali.
La squadra cambia nome a fine anno, diventando New York Red Bulls per questioni di sponsorizzazione, ed offre il rinnovo annuale a Youri, che accetta e disputa la sua ultima stagione da professionisti.
Ben pochi acuti, l’età si fa sentire.
Ormai è tempo di appendere le scarpe al fatidico chiodo, per un calciatore originale come pochi altri al mondo.

La poesia di un bambino, il tramonto foriano, l’Aurora Boreale in Alaska, il mare increspato d’inverno, l’odore della foresta dopo la pioggia: questo è stato Youri Djorkaeff.
Unico, atipico, incomparabile.
Bacheca notevolissima, la sua, pur senza aver mai vinto un campionato nazionale.
Incredibile, a pensarci bene.
Normale, in fondo, datosi che discorriamo di un unicum.

“Quando l’arbitro ha emesso il triplice fischio della finale col Brasile avevo in testa le immagini dei vecchi campionati del mondo.
Mi sono ricordato di Pelé, di Maradona e di tanti altri fuoriclasse.
Ed ho pensato che anche io avrei toccato il trofeo più bello, che quel giorno sarei stato proprio io a sollevarlo al cielo!”

Y.D.

Chiusa la carriera, Youri continua a far parlare di sé.
Resta a vivere a New York, fondando la Youri Djorkaeff Foundation, organizzazione che si occupa di beneficenza.
Dal 2007 è inoltre Presidente del Decines, la squadra dove ha iniziato a giocare da bambino e nella quale trovano spazio -da dirigenti e da tecnici- anche il padre ed i suoi due fratelli, entrambi ex calciatori.
Collabora con le più importanti televisioni francesi, per commentare eventi e partite di grido.
Ha addirittura inciso alcuni pezzi musicali e, più di recente, si è distinto nel ruolo di ambasciatore per il Paris Saint-Germain e per la FIFA.
Con la moglie Sophie ha messo al mondo una femminuccia, Angelica, e due maschietti: Sacha e Oan (nato a Milano e calciatore in vari campionati europei minori) .
Continua a seguire il suo sport preferito ed è legatissimo all’Inter.
Un legame forte, indissolubile.
Perché nonostante i tifosi nerazzurri abbiano potuto stropicciarsi gli occhi dinanzi a fior di campioni, negli anni, ed abbiano vinto moltissimo, soprattutto negli ultimi decenni, quel franco-armeno talentuosissimo quanto enigmatico è rimasto lì, ancorato nel loro cuore.
E quando metti a segno un gol come quello alla Roma, poi…
Un capolavoro.
Chapeau, mon ami!

Youri Djorkaeff: il Serpente.
V74

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