• 1999

Almamegretta 4/4

Bravi, gli Almamegretta.
Una decina di album in studio, per una carriera che inizia alla fine degli anni ottanta e continua oggigiorno, sebbene con un’attività meno estesa rispetto al passato.
Dopo l’ottimo esordio di Animamigrante (1993), i nostri piazzano un notevolissimo tris d’assi in rapida successione: Sanacore (1995), Indubb (1996) e Lingo (1998).
Il pubblico apprezza, la critica anche.
Si spalancano le porte del successo, per quanto con numeri non paragonabili ad altre band di grido e con una differenza sostanziale rispetto a queste ultime: gli Alma fanno musica per davvero, senza concessioni al commerciale.
Passione verace, pura, nitida.


A cavallo tra la fine del vecchio millennio e l’arrivo del nuovo i napoletani pubblicano due album che, personalmente, ho adorato: 4/4 (1999) e Imaginaria (2001).
Il primo, in particolar modo, è un disco oltremodo interessante, con il gruppo che opta per una inedita autoproduzione con in aggiunta un altrettanto inedito cantato in lingua italiana, mettendosi quindi prepotentemente in gioco e puntando sul filone trip hop del momento, con ampio respiro internazionale e, nel contempo, sforzandosi di non smarrire la propria “anima migrante”.

Potrebbe sembrare un’apertura al marketing, certo.
E forse, quantomeno nelle intenzioni, in parte lo è.
In realtà il tutto si trasforma rapidamente in un intrigante percorso di crescita artistica e personale.

4/4 è un lavoro omogeneo, curato, scorrevole.
Rispetto a precedenti e successivi dischi degli Almamegretta è meno focalizzato sui singoli e questa caratteristica, che talvolta può rappresentare un limite per coloro che si approcciano all’ascolto, è per il sottoscritto la sua carta vincente.

Almamegretta 4/4

Dietro le quinte il lavoro di D.Rad (Stefano Facchielli, membro attivo della band) e di Mauro Pagani (le registrazioni avvengono sotto l’attenta supervisione dello stesso, nei suoi studi di Milano) è impeccabile.
La clamorosa voce di Raiz domina la scena, mentre la batteria di Gennaro T e le tastiere di Pablo si occupano di accompagnarne magistralmente le liriche.
I molti collaboratori contribuiscono alla ottima riuscita dell’opera.
Tra di loro meritano una citazione la talentuosa vocalist russa Sajncho Namčylak, il valente bassista Ash, l’estroso rapper statunitense Dre Love e l’eclettico turntablist DJ Gruff.


  1. The cheap guru
  2. Brucia
  3. Figli di Dio
  4. Venus
  5. Oreminutisecondi
  6. Alta fedeltà
  7. O mmeglio d’a’ vita
  8. Sempre
  9. Mbikilì
  10. Riboulez le kick
  11. Chi
  12. Sahinko’s blues
  13. Camisa doce

Brucia è il brano migliore.
Non è un’opinione, intendiamoci: è un fatto.
Acclarato, indiscutibile, scientifico.
Una poesia, più che una canzone: testo meravigliosamente romantico e passionale, grondante sangue e fuoco ardente, incastonato in un arrangiamento sublime che genera una melodia devastante.
Entra nell’anima e non ne esce più.
Oreminutisecondi emoziona col suo dub che rimanda anche ad alcune sonorità del passato, senza peraltro disperdere il viaggio nel futuro che gli Almamegretta sono intenzionati a percorrere giorno dopo giorno.
Figli di Dio esalta un Raiz in gran forma che stornella come un suadente predicatore che si è volutamente perso nel deserto, enfatizzando uno scritto disperato e coraggioso e delle musiche impregnate di terso misticismo.
Venus è un altra poesia traboccante di tormento e desiderio.
Il cantato che si intreccia con espressioni dialettali ed inglesi è conturbante e genera una miscela esplosiva e coinvolgente.
Riboulez Le Kik è il pezzo più strano del lotto.
Roba da club, inizialmente pensata come singolo apripista e poi, dopo accurata riflessione, inserita nella seconda parte del disco ad innalzarne il ritmo con le sue martellanti ed incessanti ritmiche danzerecce.
Sempre, pubblicata invece proprio come singolo al posto della precedente, è palesemente ispirata da sonorità giamaicane, simil ska.
Caruccia, sì, ma non la metterei in loop manco se l’alternativa fosse un discorso di Salvini sui migranti o un pianto greco di Soumahoro sul razzismo.
The Cheap Guru apre le danze -in tutti i sensi- del disco con un tappeto strumentale ipnotico al quale è associato un breve quanto sfizioso invito a non fidarsi dei santoni moderni.
Brano alquanto strambo, che ha comunque un suo perché.
Alta Fedeltà è da “zona Champions”, esprimendo una tagliente sensualità che crea un’atmosfera incorporea, mentre Raiz narra languidamente di un sentimento sofferto e, quindi, vero, profondo, devastante.
O Mmeglio D”A Vita è un viaggio in Medio Oriente, rigorosamente in lingua napoletana e con qualche inglesismo a corredo, a voler conferire maggiore respiro internazionale oppure, più probabilmente, a miscelare mondi e popoli soltanto apparentemente distanti.
Mbikili è fondamentalmente un pezzo drum’n’bass.
Precede Riboulez Le Kik ed insieme ad esso, per alcuni minuti, trascina l’ascoltatore al centro della pista.
Sahinko’s blues, con la inconfondibile voce della Namčylak, entra in circolo sin dal primo istante e, rispetto agli altri due succitati pezzi da dancefloor, emana una raffinatezza di tutt’altra levatura.
Chi è una suggestiva filastrocca, interpretata da Raiz con trasporto ed ardore.
Camisa doce chiude l’album in maniera energica, funky, elegante.
Brano bello tosto, che esplica perfettamente l’idea di fondo di far muovere i culi mediante suoni che sappiano unire elettronica ed etnica.


4/4 per il tempo musicale preferito, perché in quel preciso frangente loro sono in quattro e perché è un titolo enigmatico ed affascinante.
Sud Sound System, 99 Posse e Agricantus, giusto per fare qualche nome, hanno dato alle stampe dischi impregnati di commistioni tra vari generi.
Gli Almamegretta, con 4/4 rilanciano la sfida, primariamente a loro stessi.

Molti fans restano perplessi.
La critica è alquanto tiepida, a riguardo.
Il disco non decolla nelle vendite e non scalda i cuori.
Il suo erede, Imaginaria, riscuote maggiori consensi e torna a mettere quasi tutti d’accordo.
In effetti è bello, sicuramente.
Ma lo è pure 4/4.
Altroché, se lo è.


Il nostro viaggio magico
Toccò la forza bruta della verità
Passammo insieme il valico
Che porta diritto all'immortalità
(Brucia)

Non è il miglior album degli Almamegretta, questo.
Forse non è neppure quello ideale per iniziare a conoscere ed approfondire questa band.
Non lo so, non è facile dirlo.
Però è, secondo me, un lavoro fondamentale per comprendere a fondo l’evoluzione di Raiz e compagni.

Lo snodo fondamentale, invero, si verifica di lì a breve: Raiz si allontana dal progetto Alma per dedicarsi a percorsi da solista, mentre poco tempo dopo D.RaD perde la vita in un incidente stradale.
Senza il leader carismatico e privi del proprio deus ex machina sonoro gli Almamegretta provano a reinventarsi, con risultati altalenanti.
Raiz da solo non sfonda, decidendo quindi di riaggregarsi agli amici di sempre.
La magia sembra oramai ita, nonostante la band riesca ugualmente a tirare fuori cose degne di nota.

Ascolto spesso i loro primi album, insieme ai 24 Grana e ad alcune produzioni di nicchia del periodo.
Un periodo d’oro, per la musica e per la band in oggetto, che attrae la stima di gente che corrisponde al nome di Massive Attack, Letfield, Adrian Sherwood, Bill Laswell e via discorrendo.


Ci siamo capiti, vero?

Almamegretta – 4/4: 7

V74

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