• Fino alla Gloria Eterna

Pierre Littbarski

Litti, alias Pierre Michael Littbarski, nasce a Berlino (parte Ovest, a quei tempi) nel 1960.

Nella gloriosa Storia del Calcio Tedesco, qualora toccasse scegliere un’icona a doverne rappresentare l’immagine nel Mondo, sarebbe probabilmente una delle ultimissime scelte.

Il perché è presto detto: basso (meno di 170 cm di altezza), mingherlino, gambe arcuate e storterelle, smilzo, poco prestante a livello muscolare, capello arruffato e ribelle.

Insomma, il ruvido e granitico Mito del Panzer teutonico dista anni luce da questa gracile ala di belle speranze, per fortuna in gran parte realizzatesi successivamente.

Il ragazzo cresce in fretta e passa il tempo soprattutto con i nonni.

Ed è proprio il nonno paterno ad indirizzarlo al campo ed accompagnarlo alla sua prima scuola calcio.

I risultati iniziali sono alquanto altalenanti: Pierre è talentuoso, abbastanza responsabile in una età dove solitamente lo si è poco o niente, mostra uno spiccato senso di gruppo ed uno spunto che colpisce diversi addetti ai lavori.

Di contro il suo fisico a banana lascia qualche perplessità in coloro che ne osservano le gesta.

Invero proprio quelle caratteristiche “particolari” potrebbero rappresentare un’arma interessante, in special modo in ruoli ove spunto e rapidità fanno la cosiddetta differenza.

Ma è troppo presto per lanciarsi in voli pindarici o deprimersi all’opposto, quindi il ragazzo continua a misurarsi con le categorie giovanili ottenendo parecchie soddisfazioni e qualche inevitabile delusione.

L’Hertha di Berlino lo segue per alcuni mesi, ma il responsabile scouting dei bianco-blu della capitale lo reputa inadatto a certi livelli, troppo tenero per reggere l’impatto con il calcio che conta e, figurarsi, fisicamente inadeguato.

Avrà a pentirsene anni dopo, come spesso accade, ma son cose che succedono e d’altronde non tutte le ciambelle riescono col buco.

Dallo Schöneberg, società dell’omonimo distretto berlinese e prima compagine della sua carriera, il nostro si trasferisce all’ Hertha Zehlendorf, nel succitato sobborgo della capitale, nota fucina di talenti e rinomata scuola calcio con importanti trofei conquistati anche a livello nazionale.

Qui la crescita del giocatore inizia ad aumentare vertiginosamente: le sue prestazioni suscitano interesse negli osservatori ed alcune squadre importanti inviano i propri segugi e monitorare la situazione.

Durante il campionato giovanile 1977/78 lo Zehlendorf sconfigge l’allora glorioso Colonia nei play-off e Pierre gioca da fuoriclasse autentico contro i renani, mettendosi in mostra ed attirando le loro attenzioni.

Karl-Heinz Thielen, talent scout di fama e scavato maneggione a tutto tondo dei biancorossi, decide di affondare il colpo.

Ne parla con il santone Weisweiler, nuovo tecnico del Colonia di recente ritornato in Germania dopo una poco entusiasmante esperienza sulla panchina del Barcellona, e si convince che quella sgusciante ala destra potrebbe diventare presto un punto fermo della sua squadra.

La trattativa col club berlinese di appartenenza si conclude sulla base di circa 13000 DM e Pierre Littbarski firma il suo primo contratto serio presentandosi a Colonia come tifoso del Mönchengladbach, scelta non propriamente oculata, tutt’altro, ed interrompendo un percorso di studi in amministrazione finanziaria e fiscale che aveva intrapreso poco prima a Berlino.

Oltre a ciò Roger Van Gool, pari ruolo del giovane e primo calciatore ad essere pagato oltre il milione di marchi in terra germanica, si schierò apertamente contro il ragazzo, invitandolo a cambiare aria prima che fosse troppo tardi.

E dire che Pierre era arrivato solamente da pochi mesi!

In realtà il belga non aveva affatto gradito un panchinamento inaspettato e, fino a qualche settimana prima, assolutamente imprevedibile.

Ma non è affatto un caso: Littbarski parte a razzo nella sua nuova avventura e con un rendimento considerevole, soprattutto tenendo conto del brevissimo periodo di adattamento e della giovane età del funambolo berlinese.

16 presenze e 4 reti, una contro i rivali della vicina Dusseldorf, sono il biglietto di presentazione del giocatore che di lì a breve diverrà un perno imprescindibile dei renani, titolare inamovibile per parecchie stagioni a venire e tra i simboli della compagine tedesca nella sua intera Storia.

In quegli anni il Colonia ha una bella squadra: in porta un totem come Harald Toni Schumacher, innanzitutto.

Poi difesa grintosa e senza troppi fronzoli imperniata sui mastini Konopka e Zimmemann (curiosamente entrambi ex attaccanti).

In mezzo al campo la grinta di Simmet e Cullmann, il talento di Flohe e la voglia di giovani votati ad un calcio spumeggiante ed offensivo come Litti, Schuster ed il primo giapponese a militare in Europa, tal Okudera.

Davanti un autentico bomber quale Dieter Müller, un sagace e fidato incursore come Löhr e diversi comprimari di buona levatura tra i quali si affacciava al calcio che conta(va) pure quel cavallo pazzo di Elkjaer, futuro Divo di veronese memoria.

Uno staff tecnico competente ed una società ottimamente organizzata completavano il puzzle.

Mancava un pizzico di esperienza e, forse, anche di personalità, o per meglio dire, di quella che in sud america chiamano “garra”, la tigna e l’astuzia applicate al calcio.

Ed infatti pur ottenendo risultati di assoluto rilievo, ai ragazzi della città del Duomo talvolta è venuto meno un soldo per fare una lira ed entrare ulteriormente nel Mito, dopo il trionfo in Bundesliga del 78.

Pierre Littbarski non fa parte della rosa dello Scudetto che perde parecchi succitati protagonisti negli anni successivi e nel suo palmares col Colonia dovrà accontentarsi di una DFB-Pokal vinta nel 1983 contro i rivali cittadini del Fortuna grazie proprio ad una sua rete in finale.

Pierre Littbarski, da giovane

A dirla tutta la ricostruzione della squadra che aveva alzato la Deutsche Meisterschale non è affatto malvagia, anzi.

Sbarcano sulle rive del Reno tanti ottimi giocatori, anche di prospettiva, ma spesso sono i dettagli a far la differenza.

Arrivano diversi buoni piazzamenti nel campionato nazionale, una eliminazione in semifinale Uefa contro l’ Ipswich Town nel 1981 e, soprattutto, una finale nella medesima competizione, persa contro il Real Madrid di Butragueño e Sánchez nel 1986.

I tifosi dei Caproni (come vengono simpaticamente appellati i giocatori del Colonia) sono appassionati e calorosi, la città è piacevole, la società è presente e attenta alle esigenze dei propri tesserati, ma Littbarski ha una maledetta voglia di vincere trofei.

Per sua fortuna, sarà la Nazionale a dargli le soddisfazioni più importanti, o per meglio dire, la più importante in assoluto: la Coppa del Mondo, la Vittoria per eccellenza che ti consegna agli Annali e alla Storia.

Eppure anche con la maglia della Fußballnationalmannschaft Litti avrà da penare, prima di raggiungere certe vette.

L’inizio nella Under 21 è notevole, con grandi prestazioni ed una finale negli Europei di Categoria persa contro l’ Inghilterra, nonostante una tripletta del nostro al ritorno, nel 1982.

Il passaggio tra i “grandi” è diretta conseguenza e le presenze in Nazionale Maggiore supereranno la settantina, nell’arco di una decina di anni, culminando nella vittoria del 1990 ai Mondiali Italiani dopo le atroci delusioni delle finali perse nel 1982 in Spagna e nel 1986 in Messico.

Nel mezzo un mediocre Campionato Europeo in Francia nel 1984 ed un altro giocato in casa con eliminazione in semifinale, datato 1988.

Nel successo del 90 in Italia Litti inizia in sordina, con una fiducia non totale dell’ allenatore, il totem Beckenbauer, salvo poi ingranare la marcia alta e diventare uno dei protagonisti assoluti della kermesse, fino alla finale vinta contro l’Argentina di Maradona.

Germania Ovest

Col tempo il suo gioco è maturato: ormai è un’ala classica in grado di svariare su entrambe le fasce, dotata di un cross preciso e capace di puntare l’ uomo e saltarlo con estrema facilità.

Inoltre grazie ai consigli dei tecnici avuti in carriera, Rinus Michels tra gli altri, Pierre Littbarski ha sviluppato la capacità di inserirsi tra le linee, agire da trequartista atipico, muoversi dietro la punta centrale svariando su tutto il fronte offensivo e specializzandosi negli assist, pur non disdegnando la conclusione a rete, con discreti numeri, anche da fermo.

Un giocatore completo, tatticamente intelligente, grintoso e tenace.

Vanta pure una esperienza all’estero quando decide di lasciare Colonia per andare al Racing di Parigi allora targato (in tutti i sensi) Matra, alla corte del magnate Jean-Luc Lagardère che in quegli anni è intenzionato ad aprire un ciclo di successi nella capitale francese investendo oltre 300 milioni di franchi in calciatori importanti e strutture adeguate.

Pierre Littbarski

Nonostante gli sforzi le cose non vanno per il meglio e PL inizia a soffrire di una saudade impronosticabile sino a qualche mese prima.

Il torneo francese è diverso da quello tedesco e l’ambientamento risulta abbastanza ostico, seppur le prestazioni del giocatore non siano scadenti o prive di impegno.

Pierre Littbarski confessa di aver lasciato la sua vecchia squadra in quanto non si sentiva sicuro di essere ancora gradito alla proprietà.

In Italia si era parlato di interessamenti da parte della Lazio e dell’Inter, un paio di anni prima, ma la sensazione è che fossero più rumors di mercato che altro.

Per l’estate 1986 l’unica opzione è quella parigina.

Contratto importante e acquisti adeguati, in primis quel Francescoli che farà molte bene anche nella nostra penisola, più avanti.

A differenza di Colonia, a Parigi regnava però una certa anarchia con una compagine costruita in pochi mesi e con la regola del numero ridotto degli stranieri che finisce per creare forte malcontento in chi, come Littbarski, non vorrebbe mai accomodarsi in panca o, peggio, in tribuna.

Inoltre il calcio francese si rivela più duro del previsto dal punto di vista fisico, nonostante il nostro provenga da un campionato che non brilla certo per delicatezza o savoir-faire, giusto per rimanere in tema.

Litti inizia quindi la seconda stagione in maglia biancoceleste con molti dubbi, poi dopo un paio di gare capisce l’antifona e si convince definitivamente che non è aria, ci rimette di tasca sua sul contratto e forza per il ritorno in Germania con la vecchia casacca, inizialmente in prestito e poi a titolo definitivo.

Il ritorno a casa è emotivamente intenso, ma a livello di risultati di squadra si attesta sulla solita solfa.

Così, dopo qualche tempo, Pierre decide di cambiare del tutto vita.

Il suo ex compagno Okudera gli recapita un’offerta esotica: in Giappone sta nascendo la prima Lega professionistica della storia asiatica e le intenzioni paiono essere di tutto rispetto.

I soldi non mancano, Litti ormai inizia ad avere una certa, come si suol dire, l’Oriente è affascinante ed una esperienza simile incuriosisce il giocatore, anche se al contempo lo spaventa pure.

La lingua, gli orari, le abitudini, il cibo, il meteo…

Un altro mondo proprio.

Va a fare un giro di ricognizione organizzato in fretta e furia e dimenticando pure alcune valigie a casa, giungendo a Tokyo giusto con passaporto e mutande di ricambio ma finendo per essere colpito dalla calorosissima accoglienza ricevuta, dai frenetici ritmi locali, dall’educazione e dai costumi nipponici.

Torna in Germania, organizza il trasferimento in maniera più accurata e cambia pure vita lasciando sua (ex) moglie Monika, con la quale vive da sempre e che gli ha dato due figlie.
Inizia una relazione con Hitomi, attrice e modella giapponese che sarà poi la madre dei suoi due figli maschi, con la quale vive tutt’oggi.

Cambiamento di vita epocale, dunque.

Pierre Littbarski

Se per lungo tempo dopo ogni gara giocata era immancabile la telefonata alla nonna per comunicarle il risultato e raccontarle le emozioni, quasi a voler rimarcare un legame che prescinde dalla fama e dai denari e va oltre l’apparenza e i soliti luoghi comuni, ora la situazione del campione tedesco è veramente particolare, con due famiglie che pian piano diventeranno praticamente parallele.

Pian piano la situazione si assesterà, anche se non mancheranno momenti complicati.

Particolarmente strambo ciò che si verificò allorché una delle due figlie, Michelle, la più giovane, si cimentò nell’edizione germanica del Grande Fratello e, come da copione, si lamentò per la mancanza del padre e di come il loro rapporto si fosse man mano degradato negli anni.

Pierre Littbarski, a distanza siderale da Berlino, rigettò con sdegno le accuse e, per ripicca, sospese i fondi genitoriali alla ragazza.

La quale, per contro, mise in vendita su Ebay molti trofei del calciatore conservati in un garage di sua proprietà e in attesa di essere sistemati nella nuova casa.

E ancora maglie indossate da lui ed avversari, cimeli , foto e altri ricordi vari.

Per fortuna la bizzarra collezione di bambole di Pierre si trovava altrove e si salvò dalla catastrofe.

Cose che capitano ma che fanno rumore per qualche tempo, salvo poi finire nel dimenticatoio non appena qualcun altro fornisce nuovo materiale gossipparo sul quale bordellare.

Tornando all’esperienza nel paese del Sol Levante, Litti se la godrà fino in fondo, sia per ovvie ragioni sentimentali, sia perché i Japan gli passano un lauto ingaggio, gli forniscono un interprete personale a perenne disposizione, auto con autista annesso e lussuoso albergo in centro capitale per riposare dopo i blandi ma affollati allenamenti di squadra.

Il calcio locale è in crescita, ma ben distante dal livello europeo.

Gli autoctoni sono timidi e poco avvezzi a certe furberie usuali nel vecchio continente e gli stranieri sono lì soprattutto per svernare in relax e rimpinguare le casse prima di chiudere del tutto bottega, quindi un torneo ideale per chi non è giovanissimo e vuole divertirsi senza essere sottoposto ad eccessive pressioni.

In Giappone Pierre Littbarski gioca dapprima nel JEF United di Ichihara, poi nel Vegalta di Sendai dove a 37 anni suonati chiude col calcio giocato ed inizia a studiare da allenatore.


Per una decina di anni svolge la professione con risultati tra il mediocre e lo scarso, girando il mondo e misurandosi in tornei e competizioni non propriamente al top tra lo stesso Giappone, l’ Australia, il Liechtenstein, l’ Iran (dove scopre di essere spiato pure in hotel, probabilmente da funzionari governativi, e decide di fuggire dal paese con uno stratagemma rinunciando a parecchi denari ma salvaguardando la serenità sua e dei suoi collaboratori) e Germania, seppure in tono minore.

Portate a termine queste non esaltanti esperienze e dopo essersi dilettato brevemente in politica ed aver commentato saltuariamente qualche gara in tv in occasioni importanti, opta per la tranquillità dell’ufficio ed il definitivo ritorno in terra natia.

Nello specifico: occupa il posto riservato al capo degli osservatori del Wolfsburg, dove ammette di trovarsi a pannello recandosi al lavoro in bicicletta e muovendosi tra campo e scrivania con tutta la calma del mondo.

Pierre Littbarski, oggi

Un ruolo da placido impiegato per un uomo, Pierre Littbarski, che ha sempre vissuto di scatti, guizzi, accelerazioni, sussulti, sprint.

Il meritato riposo del guerriero, Litti.

V74

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