• Il polifunzionale

Andreas Brehme

Di terzini ne abbiamo raccontati diversi.
Di elementi versatili, e dalla notevole capacità camaleontica, anche.
Alla “collezione” manca all’appello uno che di sicuro merita gli appellativi di cui sopra e che, oltre che da terzino, ha giocato in svariati altri ruoli e sempre con ottimi risultati: il tedesco Andreas Brehme.

Campione del Mondo nel 1990, in Italia, con la Germania Ovest e grazie alla sua rete, su calcio di rigore, che piega la resistenza dell’Argentina di Diego Maradona.
Basterebbe già a dire molto, in effetti.
Ma non è tutto.


Andreas Brehme nasce nella bella Amburgo, nel novembre del 1960.
La Germania è ancora divisa tra Est ed Ovest.
Lui cresce nel nord di quel territorio che appartiene alla parte occidentale.
Ha un padre, Bernd, che adora il calcio e che lo ha praticato a livello dilettantistico abbinandolo al suo impegno professionale, riuscendo più tardi a spingersi sino al raggiungimento di quella che era allora la seconda divisione tedesca.
Appesi gli scarpini al chiodo, si è dedicato ad allenare i giovani e le categorie minori.

Il figlio promette bene, sin da subito.
Dorme con il pallone nel letto e lo tocca con un garbo che sorprende, in relazione alla sua tenerissima età.

A nemmeno cinque anni il papà lo iscrive nel piccolo club HSV Barmbek-Uhlenhors, dove lo monitora con la massima attenzione, essendo il direttore tecnico della prima squadra.
Andreas, che a scuola se la cava ma si diverte meno di zero, non vede l’ora di correre al campo e giocare con i suoi compagni.
Inoltre, man mano che cresce, aumenta il suo desiderio di perfezionarsi.
Ancora ragazzino spiega al padre che vorrebbe migliorare la sua tecnica, correre più velocemente, impostare l’azione con maggiore precisione.
Ha passione, mentalità ed attitudine al lavoro, nonostante sia appena un giovincello.
E questo, con molta probabilità, spiega tante cose di quel che sarà il suo roseo futuro sportivo.

Va detto che dal padre riceve consigli, suggerimenti ed incoraggiamenti.
Ma mai, dicasi mai, trattamenti di favore.
Bernd è un tipo all’antica, di sani valori: aiuta, pungola, stimola ma non raccomanda, sebbene qualche conoscenza nell’ambiente la abbia, eccome.


Andreas, già detto Andy, si dimostra all’altezza delle aspettative, allenandosi con massimo impegno e sviluppando doti importanti, tra cui la capacità di calciare con entrambi i piedi.
Su esortazione paterna si esercita con la palla medica, per aumentare la forza di tiro, e con i pesi, per rafforzare la muscolatura.
Da adolescente si mette in mostra in vari tornei nei quali palesa un solo limite: non è velocissimo.
Non che sia lento, intendiamoci.
Ma non è una scheggia.
Per questa ragione viene utilizzato soprattutto in posizione di libero.
Lui adora la fascia, però.
E chiede così al padre di aiutarlo ad allenarsi nell’anticipo, in modo tale da poter conquistare la sfera e, soprattutto, ridurre le possibilità di dover essere costretto a rincorrere avversari spesso più rapidi nello spunto e nella progressione.

Migliora ed esordisce tra “i grandi” dopo diversi mesi di apprendistato da meccanico, giusto per avere una seconda opzione in tasca.
Quando ha un po’ di tempo libero corre al campo d’allenamento dell’Amburgo, per assaporare l’aria d’alta quota sportiva e per invidiare, bonariamente, chi ha 24H24 da dedicare al calcio.


Lui che, per essere presente in una gara importante, si era tolto il gesso anzitempo, dopo una frattura, e se lo è dovuto rimettere subito per aver avuto la brillante intuizione di calciare da una cinquantina di metri verso la porta, peraltro uccellando il portiere avversario.
“Piede di ferro”, lo soprannominarono i compagni.
Talvolta gioca due partite a breve distanza (nelle varie categorie giovanili) ed è sempre il primo a presentarsi agli allenamenti, a scherzare con gli amici e ad andare a letto presto, per recuperare le forze.
Matto quanto determinato, insomma.

Dopo un biennio nella compagine locale, in terza serie, viene ceduto al Saarbrücken (seconda divisione) insieme al centrocampista Malek, già nel giro della nazionale amatoriale tedesca.
In realtà a cercare Andy per primo era stato l’Amburgo.
Lui avrebbe firmato col sangue, ma nel provino decisivo si mette talmente in evidenza da apparire altezzoso: un difensore anseatico gli rifila una gomitata che costa 4 denti al ragazzo ed 800 marchi di spesa dal dentista ai genitori, mentre i dirigenti amburghesi decidono di offrirgli un contratto per la seconda squadra, che milita in terza serie.
Andy rispedisce al mittente la proposta e si convince di dover dare di più in campo, meritandosi l’appellativo di Beckenbauer di Uhlenhorst, il quartiere dove gioca il suo club.
Il salto di categoria, come detto, è ampiamente meritato.

Brehme nel Saarland disputa un’ottima annata mettendo a segno tre reti, disimpegnandosi da laterale destro in difesa ed, in alcuni casi, pure da mediano.
Titolare inamovibile, attira le attenzioni dei tecnici federali e viene convocato nella Under 21 tedesca.

La riorganizzazione del calcio locale prevede che la seconda serie non sia più a doppio girone (nord-sud), ma bensì a girone unico.
Ne consegue una stagione con parecchie retrocessioni ed anche il Saarbrücken finisce per perdere la categoria.

Brehme, FCK

Invece Andreas Brehme viene promosso in Bundesliga datosi che passa al Kaiserslautern, club che nei primi anni ottanta fa parte dell’élite del soccer teutonico.
Nella piacevole regione della Renania-Palatinato il giocatore si ferma per cinque stagioni, mettendo in fila oltre centocinquanta gare e segnando quasi una quarantina di reti, con il suo team che in campionato passa dalle zone alte a quelle di metà classifica (4°, 6°, 12°e poi due volte 11°), mentre in Europa raggiunge le semifinali di Coppa Uefa (1982, dopo aver eliminato il Napoli) uscendo per mano dei futuri vincitori del Goteborg, allenati da Sven-Göran Eriksson.

In questo lasso di tempo Andy conquista la Nazionale maggiore e partecipa anche ai Giochi Olimpici del 1984, a Los Angeles, dove la Germania Ovest viene eliminata agli ottavi di finale dalla Yugoslavia di Stojković.

Insieme al rullo compressore Briegel ara le fasce del suo team, muovendosi maggiormente sulla destra.
Nel 1984 lo cerca il Werder Brema di Otto Rehhagel, ma Die Roten Teufel (I Diavoli rossi) di Kaiserslautern non vogliono privarsi del proprio giocatore.
Dodici mesi più tardi è l’Amburgo a proporsi, offrendo una cifra che solletica i dirigenti del FCK: Andy è nato lì e, memore del provino andato a male, sarebbe felice di militare in quella che è la sua squadra del cuore.
L’affare sembrerebbe definito quando, improvvisamente, salta.
Brehme non gradisce e reagisce a modo suo, con una stagione super: ben 11 reti in 33 presenze.
Il calciatore è pronto per palcoscenici importanti e non c’è due senza tre: nel 1986 è il Bayern di Monaco a mettere gli occhi sul ragazzo.
In Baviera hanno un portafoglio munifico e basta una fugace trattativa per trovare l’accordo: Andreas Brehme passa alla corte di Udo Lattek, dai Campioni di Germania, in cambio di un corrispettivo di oltre due milioni di marchi, cifra record per un trasferimento interno.


Trattasi del coronamento di un percorso di crescita ed avviene dopo i Mondiali del 1986, in Messico, allorquando i tedeschi vogliono riscattare il torneo spagnolo del 1982, con la finale persa contro l’Italia, ed un Europeo del 1984, giocato in Francia, dove la squadra allenata da Jupp Derwall non ha brillato ed è uscita nella fase a gironi.
In Spagna Brehme non era tra i convocati, mentre in Francia sì ed è stato anche tra i migliori dei suoi andando a comporre la catena mancina col suo amico Briegel, fungendo da mediano o da intermedio di sinistra, ed entrando nella Top 11 del torneo.

In Messico il C.T. Franz Beckenbauer lo utilizza invece da jolly, a seconda dell’impostazione tattica degli incontri.
Andy segna il suo rigore, nella lotteria che premia i tedeschi contro i padroni di casa, ai quarti di finale.
In semifinale si ripete, questa volta su azione, portando la Germania Ovest in vantaggio contro la Francia, prima del raddoppio di Voller che chiude i giochi a pochi istanti dal termine della gara.
Nell’ultimo atto è l’Argentina di Maradona ad imporsi per 3-2, con i panzer che tornano a casa con la seconda finale mondiale persa consecutivamente.


Una delusione atroce: Brehme si butta a capofitto nella sua nuova avventura a Monaco vincendo subito la Bundesliga e sfiorando il trionfo in Coppa dei Campioni, con la sconfitta in finale a Vienna (1-2) contro il Porto di Madjer e Juary.
La squadra è tosta e divertente: in porta il forte mattoide Pfaff, in difesa il solidissimo Augenthaler, in mezzo la straordinaria potenza di Matthäus e le raffinate geometrie di Dorfner, davanti l’esperienza del bomber Hoeneß.
A fine stagione Lattek annuncia il suo addio e viene sostituito da Jupp Heynckes, proveniente dal Borussia Mönchengladbach.
Annata mediocre, con l’unico trofeo in bacheca che è la prima edizione della Supercoppa di Germania, vinta contro l’Amburgo per 2-1.

Andy, Bayern Monaco

Heynckes ha stima di Andreas Brehme, tanto da impiegarlo in tutti i ruoli possibili ed immaginabili, tranne che in porta.
Il ragazzo apprezza le intenzioni, ma vorrebbe maggiore stabilità tattica e pian piano finisce per andare in conflitto col suo tecnico.
Tra Nazionale e club si ritrova a ricoprire parecchi ruoli diversi e la cosa lo infastidisce alquanto.

A togliere le castagne dal fuoco ci pensa il suo amico Lothar Matthäus, con cui ormai fa coppia fissa, sia al Bayern che con la maglia della Deutsche Fußballnationalmannschaft .
Il leader bavarese è in trattativa con l’Inter (al suo posto arriva a Monaco Thon) e chiede ai nerazzurri di acquistare pure il suo compagno.

Entrambi firmano un quadriennale con i milanesi e sbarcano in quello che, ai tempi, è il più bel campionato del mondo.
Prima di trasferirsi nella penisola Andy partecipa al Campionato Europeo, che nel 1988 si tiene proprio in Germania.
Segna un gol all’Italia di Vicini (1-1), all’esordio, ed è tra i migliori nelle gare vinte contro Danimarca (2-0) e Spagna (2-0).
In semifinale è l’Olanda di Gullit e Van Basten a stoppare la corsa dei padroni di casa (2-1).


In Italia Andreas Brehme si impone sin da subito come uno dei migliori laterali sinistri del torneo.
Trapattoni, che allena i meneghini, inizialmente pensa di schierarlo in mediana.
Poi elabora alcuni accorgimenti tattici che prevedono Zenga in porta, Mandorlini nel ruolo di libero (l’Inter corteggiò a lungo il torinista Cravero, senza esito) con Bergomi e Ferri a fargli da scudieri, Matteoli come regista arretrato a coprire le spalle a Matthäus con ai lati Berti e Bianchi a far da incursori e l’argentino Diaz (preso all’ultimo istante, dopo che l’algerino Madjer non ha superato le visite mediche) ed Aldo Serena come terminali offensivi.
Una squadra equilibrata, che trova presto una quadra perfetta e va a vincere lo Scudetto con numeri da record.
Andreas Brehme vince il premio di miglior calciatore del campionato, oltretutto.

Andreas Brehme

Nella stagione successiva arriva in rosa un altro tedesco, il centravanti Klinsmann.
Forte, ma meno adatto di Diaz a coesistere con Serena.
L’Inter vince la Supercoppa Italiana, sconfiggendo per 2-0 la Sampdoria di Boskov che aveva cercato il laterale teutonico prima del trasferimento a Milano.
In campionato chiude terza, con Andreas Brehme che segna ben sei reti, ma con il suo team che non fa molta strada in Coppa Italia ed in Coppa dei Campioni.


Si torna in Nazionale, quindi: ai Mondiali Italiani del 1990 la Germania Ovest si presenta tra le favorite.
Supera agevolmente il proprio girone iniziale, poi elimina agli ottavi l’Olanda, prendendosi la rivincita degli ultimi Europei.
Nella gara contro gli orange, giocata a Milano, Brehme segna il gol del raddoppio tedesco (il primo è di Klinsmann), prima che Ronald Koeman metta a segno la rete della bandiera per i suoi.
Ai quarti (ancora a Milano) la Germania fa fuori la Cecoslovacchia, mentre in semifinale pareggia 1-1 a Torino (gol di Brehme) con l’Inghilterra di Gascoigne e Lineker (suo il gol del pari).
Ai rigori (Andy segna il suo) i tedeschi strappano il pass per la finale di Roma, contro l’Argentina di Maradona.
A decidere il match in favore degli europei, che vendicano la sconfitta di Messico 1986, è un altro rigore, concesso per un dubbio fallo di Sensini su Voller e realizzato ancora una volta da Andreas Brehme, freddissimo dal dischetto.
Dove non si presenta l’amico e leader Matthaus, che ha dovuto cambiare gli scarpini durante la partita e non si fida a calciare un penalty che vale il mondiale, dopo due finali consecutive perse dai teutonici.


Andreas Brehme diventa Campione del Mondo, viene inserito nella TOP 11 del torneo ed è terzo nella graduatoria del Pallone d’Oro (alle spalle di Matthaus e Schillaci).
Ormai è un terzino sinistro a tutti gli effetti, per quanto gli capiti spesso, soprattutto in Nazionale, di muoversi anche a centrocampo.
Il rigore calciato contro l’Argentina, di destro, fa il paio con diversi altri tirati col piede mancino.
Un bipede, con un tiro potente e preciso: una rarità, resa ancor più tale dalla bravura con cui crossa e fornisce assist ai compagni.
Rigori, punizioni, calci d’angolo e tiri su azione: Andy è un calciatore completo che mette a frutto i duri allenamenti paterni, da ragazzino.
Fisicamente tosto e tatticamente accorto, nel periodo migliore della sua carriera è in grado di ricoprire quasi tutti i ruoli di laterale destro e sinistro, in difesa e a centrocampo e, ove necessario, pure da intermedio.
Un jolly dotato di tecnica e furore agonistico, che denota qualche limite nell’aspetto dinamico in quanto è tendenzialmente lento e soffre gli avversari che hanno nello scatto la loro arma migliore.
Ha una bacheca da paura e non è certamente un caso: mentalità, impegno, grinta e, tocca ribadirlo, tanta tecnica.

Andreas Brehme, Campione del Mondo 1990

Tornando all’Inter, una bella vittoria è quella della Coppa Uefa, edizione 1990-91: Rapid Vienna, Aston Villa, Partizan Belgrado, Atalanta e Sporting Lisbona le vittime dei nerazzurri sul cammino per il trionfo, che culmina nella doppia finale in cui ad essere sconfitta è la Roma di Ottavio Bianchi.
In campionato l’Inter chiude al terzo posto, salvo poi finire ottava dodici mesi più tardi, in una annata da dimenticare e sotto la guida tecnica di Orrico, subentrato al Trap -tornato alla Juventus- e sostituito a metà stagione da Luisito Suarez.

L’Inter decide di rifondare ed ingaggia Osvaldo Bagnoli, allenatore del Verona dei miracoli.
Brehme finisce sul mercato dopo alcune prestazioni alquanto mediocri, sostituito da un pupillo del nuovo tecnico, il laterale Luigi De Agostini, acquistato dalla Juve per un paio di miliardi di lire.
Nel frattempo il tedesco si offre al Barcellona e dichiara di avere parecchie squadre che lo cercano.
In realtà l’unica offerta ufficiale è del succitato Verona, che non riscuote l’interesse del calciatore.
Il suo parametro è di oltre un miliardo, ma l’Inter si accontenterebbe di molto meno.
Sempre dalla Spagna è il Real Saragozza a proporre duecento milioni.
Cinquecento, la controreplica.
Si chiede a trecentocinquanta e Andy fa le valigie per la penisola iberica.


Nel frattempo il Muro di Berlino è venuto giù, in qualche modo, e la Germania ha una Nazionale riunita.
Brehme ne fa parte ed è convocato sia per gli Europei in Svezia, nel 1992, che per i Mondiali in USA, due anni dopo.
Agli Europei è capitano della squadra del C.T. Berti Vogts (che lo aveva chiamato nella Under 21, da giovane), sconfitta in finale della sorprendente Danimarca (0-2) dopo aver eliminato i padroni di casa, in semifinale.
Brehme è eletto nella squadra ideale della competizione: ormai una consuetudine, per lui.
Negli Stati Uniti, al Mondiale, Andy è titolare nel girone di qualificazione.
Agli ottavi (3-2 al Belgio) entra dalla panchina, così come nella sconfitta con la Bulgaria (1-2) che manda i tedeschi a casa.

Nel 1994, con 84 gettoni di presenza in totale, si chiude l’avventura decennale di Andreas Brehme in Nazionale.


Poco prima ha avuto termine pure l’esperienza in terra di Spagna, con la rescissione di contratto tra il giocatore ed il Saragozza, insoddisfatto del rendimento del nordico e di alcuni suoi atteggiamenti considerati non adeguati alla fama dello stesso.

A 33 anni Brehme riflette sul suo futuro e manifesta qualche stanchezza mentale, per quanto si senta ancora bene dal punto di vista atletico.
Ha bisogno di ricaricare le batterie e di ripartire.
Serve aria di casa ed atmosfera familiare: chi meglio del Kaiserslautern, da questo punto di vista?

Andreas Brehme torna in Renania-Palatinato e firma un triennale.
Ritorna subito ai suoi livelli abituali e trascina i suoi al secondo posto, dietro ai trionfatori del Bayern Monaco.
Anche la successiva annata è positiva, sia per il difensore che per il suo club, quarto in classifica a breve distanza dal Borussia Dortmund, campione di Germania nel 1995.
Poi, nella stagione seguente, arriva un crollo clamoroso, che costa ai rossi la prima retrocessione della loro storia in seconda divisione.
La vittoria in Coppa di Germania (1-0 al Karlsruher)  è un contentino che non allevia del tutto la delusione per l’esito in Bundesliga.
Andy Brehme, capitano, è amareggiato e pensa al ritiro: poi cambia idea, prolunga il contratto per una stagione ed aiuta i suoi compagni a risalire prontamente in prima serie grazie anche alla bravura del nuovo allenatore, quel genialoide di Otto Rehhagel che avrebbe voluto avere alle sue dipendenze il terzino di Amburgo già quando guidava il Werder Brema.

In estate lo stesso Rehhagel chiama Andy e gli spiega che ha bisogno di lui, per il ritorno in Bundesliga.
Non sarà più titolare, ma uno con la sua esperienza ed il suo carisma gli sarà utilissimo nello spogliatoio.
Brehme apprezza la sincerità del tecnico e firma volentieri l’ultimo contratto della sua vita calcistica.

La mossa si rivelerà oltremodo azzeccata e vincente: il laterale mette insieme pochissime gare, è vero, ma contribuisce al trionfo del Kaiserslautern che, caso unico nella storia del calcio tedesco, va a vincere il Meistertitel da neopromossa.

Brehme al Kaiserslautern

A 38 anni Andreas Brehme può chiudere così, in gloria, la sua epopea di calciatore.
Con oltre seicento partite tra i professionisti, per giunta.
Alla sua gara di addio partecipano giocatori come Franco Baresi, Maldini, Gullit, Del Piero, Baggio ed i migliori connazionali allenati da Trapattoni e Beckenbauer.

Nel mio Resto del Mondo è riserva di Paolo Maldini, preferito a tantissime alternative di grido per merito delle sue caratteristiche, enunciate in precedenza.
Convocato più volte nelle varie rappresentative di Lega e nelle gare di beneficenza tra “stelle” ed ex campioni, eh.
Un Top, vero e proprio.

Al Kaiserslautern diventa pure allenatore, nel 2000, succedendo proprio al mitico Otto.
L’inizio è promettente, poi la società entra in crisi economica e, di conseguenza, sportiva.
Andreas Brehme è esonerato e sostituito dal belga Gerets, che riesce a salvare miracolosamente la squadra da una nuova retrocessione.

Andy viene quindi ingaggiato successivamente dal SpVgg Unterhaching, in seconda divisione, salvo poi dimettersi prima del termine della stagione e firmare per lo Stoccarda, dove è il vice di Trapattoni.
I risultati non eccelsi portano presto la dirigenza sveva ad interrompere il rapporto con l’intero staff tecnico.


Da allora iniziano i problemi, per il buon Andreas Brehme.
Il suo matrimonio (due figli) va in frantumi ed a causa anche di alcuni investimenti sbagliati si ritrova indebitato sino al collo.
Matthaus e Beckenbauer si impegnano a dargli una mano e per qualche anno viene assunto come osservatore del Bayern Monaco, riuscendo a ripianare la sua situazione economica.
Lavora anche come ambasciatore per la DFB (la Federazione Calcistica Tedesca) e come consulente per il Vojvodina Novi Sad, in Serbia.
Pian piano tutto si risistema, in qualche modo.

Vive tra Baviera e Tirolo fin quando un attacco cardiaco non se lo porta via a soli 63 anni, nel febbraio del 2024.
Ha sempre portato l’Italia nel cuore e ricordato con estremo piacere gli anni all’Inter e tutti i successi ottenuti in carriera, col Mondiale del 1990 in primis.
La penisola era nel suo destino, sicuramente.

“Ho giocato contro tantissimi campioni, il numero uno dei quali era di sicuro Maradona.
Invece tra i miei compagni di squadra il migliore, senza alcun dubbio, è stato Andy Brehme”

Lothar Matthaus

Andreas Brehme: il polifunzionale.

V74

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