• 2023

Depeche Mode – Memento Mori

Nessuna lettura a riguardo.
Nessuno sguardo a social e/o strumenti di comunicazione.
Niente Youtube.
Niente di niente.

Due giorni di pura immersione in Deezer, con Memento Mori -il nuovo album dei Depeche Mode– in loop discontinuo, giusto per non esasperare i toni.
A casa, durante le faccende domestiche.
Negli auricolari, a passeggio per la mia isola.
In cuffia, sul divano, nei rari momenti di relax che questo periodo mi concede.

5/6 ascolti completi: non troppi, volutamente, per farmi una idea “istintiva” e non oltremodo “studiata”.
Certo, un forte pregiudizio c’è.
Inutile negarlo.

Tutti gli album dei DM dalla dipartita di Alan Wilder in poi (invero nel gruppone dei migliori ci va di diritto anche Ultra, un discone della Madonna) raccontano di una band in salute, pregna di talento ed energia, fonte d’ispirazione per migliaia di musicisti nel mondo, indiscutibilmente al Top di una generazione di artisti di valore ed amata alla follia dai suoi moltissimi devoti, certo.
Ho un bel po’ di tatuaggi dedicati a loro.
I tour depechemodiani sono un appuntamento fisso per chi vuole emozionarsi dinanzi a quello che è a tutti gli effetti un rituale massonico, ove l’appartenenza conta più di ogni altra cosa.
Io non faccio eccezione, anzi.
Inoltre ogni loro disco contiene qualche canzone che per altri sarebbe l’apice di una carriera da sogno.

Ciò detto, e a mio modestissimo avviso, il prima era tutta un’altra storia.
Perché i Depeche Mode, che tra gli 80 ed i 90 hanno ampiamente e trionfalmente superato il muro del suono, non si sono ancora mai affacciati nel nuovo millennio.
Ci sta, ci mancherebbe.

Depeche Mode - Memento Mori

Memento Mori esce sul mercato dopo una pandemia del cazzo e dopo la prematura scomparsa di Andy Fletch Fletcher, che oltre ad essere uno dei tastieristi della band ne rappresentava soprattutto l’anima organizzativa e lo spirito critico.

Il disco è stato “concepito” prima del triste accadimento, ma durante la fase di “finalizzazione” ha ovviamente respirato l’aria di profonda malinconia dei componenti della band e di tutti coloro che hanno lavorato ad esso.

Ghosts Again e My Cosmos Is Mine sono i primi due singoli pubblicati.

Dave Gahan ha descritto *Ghosts Again* come un brano in equilibrio perfetto tra malinconia e gioia.
Condivido.
*My Cosmos Is Mine* suona eterea ed industriale, facendo riecheggiare nella memoria diversi passaggi di Construction Time Again.
Un pezzo affascinante, tra i migliori del lotto.
Anzi: il migliore del lotto.
*Always You* è un altro esercizio melodico degno di nota, una dichiarazione d’amore che si fonda sulla meravigliosa voce di Dave mentre accompagna un testo semplice quanto profondo.
*Soul With Me* è la tipica catarsi pseudo-artistica che Martin Gore solitamente dedica alle sue produzioni personali o ai pezzi in studio che poi mette in scaletta ed esegue dal vivo, con la platea ondeggiante e commossa nell’amplesso sonoro e, nel contempo, bramosa di porre fine all’adorato masochismo depressivo e vogliosa di tornare a guardare orizzonti più elettrizzanti.
Le due anime contrapposte ed intrecciate dei DM: la dolcissima carezza sul volto prima della violenta manata sulle natiche, per intenderci.
*Wagging Tongue*, unico passo dell’opera firmato sia da Martin che Dave, piacerà senz’altro a molti.
Composta poco prima della scomparsa di un altro grande, Mark Lanegan, che viene ricordato nelle liriche “come un angelo che se ne va”.
Non per fare il bastian contrario, però non riesco a sublimarmi oltre il dovuto.
*People Are Good* trae ispirazione da un ipotetico incontro tra Kraftwerk e Joy Division, con Basildon a fare da campo neutro e Düsseldorf che si impone su Salford col minimo scarto.
Dovrebbe entusiasmarmi, in teoria.
In pratica la sento e la risento, anche con discreta goduria, ma senza sconvolgimenti sensoriali.
*Speak To Me* ha qualcosa di Eno: pop e ambient che interagiscono con garbo e potenza.
Niente male.
*Never Let Me Go* può essere la “ballad da concerto” del 2023.
OK, sì.
Ok.
Before We Drown* sembra avere una personalità bella tosta, quantomeno inizialmente, ma già al secondo/terzo ascolto inizia a traballare.
*Don’t Say You Love Me* andrebbe inserita direttamente nel prossimo disco dei Soulsavers.
Ed è un complimento, s’intende.
Testo oltremodo stuzzicante, tra l’altro.
*My Favourite Stranger* scatena i sintetizzatori come ai vecchi tempi: tonica, ricostituente, riequilibrante.
Fossimo in farmacia, il Confetto Falqui le farebbe una cosiddetta pippa a due mani.
Sul palco, forse, la storia potrebbe leggermente cambiare.
Vedremo.
*Caroline’s Monkey* ha melodie che incuriosiscono e finiscono col trascinare l’ascoltatore nel baratro di un testo ambiguo e delirante.
Per restare nel gergo sessuale, che con i DM ha un suo dannato perché, la definirei una butterface di ragguardevole pregio.


L’album è prodotto oserei dire “divinamente”.
Il suono è asciutto, lucido, deciso.
Non è un distillato, lo so.
Ma la sensazione, in particolar modo in cuffia, è di sentire qualcosa che è stato confezionato con estrema cura.

James Ford (Gorillaz, Pet Shop Boys, Arctic Monkeys e via discorrendo) ha fatto davvero un ottimo lavoro, dietro le quinte, migliorando il livello raggiunto con gli stessi Depeche Mode in Spirit, del 2017.
Con lui hanno collaborato attivamente Marta Salogni (Björk, Groove Armada, Goldfrapp, Tracey Thorn, etc.), Matt Colton (Muse, Coldplay, George Michael, Erasure, Gary Numan, Peter Gabriel e altri ancora) ed il duo Christian Eigner-Peter Gordeno, ormai a tutti gli effetti membri attivi dei DM, oltre al raffinato polistrumentista Davide Rossi ed alcuni ulteriori turnisti -e turniste- di fama internazionale.
Richard Butler, degli Psychedelic Furs, ha scritto diverse trame del lavoro.
Il maestro Anton Corbijn ha curato gli aspetti visivi con impeccabile mirabilia, come al solito.


Dave Gahan, con la sua abituale eleganza estetica che non di rado si scontra con una certa grossolanità nei contenuti, ha spiegato che l’assenza di Fletch ha pesato parecchio dal punto di vista emotivo, durante le registrazioni del disco, sebbene il buon Andy non è che servisse poi a molto dal punto di vista musicale.
Martin Gore, con la sua conclamata trasandatezza esteriore che spesso si accompagna ad una raffinatezza espressiva, ha soggiunto che l’amico di vecchia data manca moltissimo ma che la sua assenza, giocoforza, ha costretto lui e Dave ad interagire senza il solito filtro impersonato dall’ormai -purtroppo- terzo membro della band.

I Depeche Mode, per l’ennesima volta, si reinventano e ripartono, acquisendo nuova forza dagli eventi che man mano la vita si diverte a deporre sul loro cammino.

Memento Mori è un inno all’esistenza, con la certezza che ve ne sia una sola da vivere e da godere.
E quando pare che sia finita, è proprio il momento di rinascere.

You’ll be the killer 
I’ll be the corpse
You’ll be the thriller 
And I’ll be the drama, of course 

-Don’t Say You Love Me-

Dal punto di vista meramente artistico, si tratta di un disco omogeneo e, tutto sommato, valido.
Poche chitarre, tanta amplificazione.
Come detto, la critica gradirà.
Idem molti fans, di sicuro.


Io valuto quasi tutto in maniera positiva.
Dischi, film, prodotti acquistati su Amazon, regali del cavolo, spese su Ebay, offerte del supermercato.
In tempi social muovere una critica contro corrente equivale a sentirsi fenomeni, a voler apparire speciali, ad atteggiarsi come anticonformisti.
Ma, più di ogni altra riflessione, si corre il rischio di sembrare legati al passato.
Nostalgici oltre ogni misura, insomma.

Nel mio caso la questione si risolve facilmente: sono un nostalgico della prima ora.
Seguo e amo i Depeche Mode da quando la gente mi domandava: “chi, i pesci morti“?
Ed io replicavo, con piglio orgogliosamente onomatopeico: “no, chitemmuort!

Oggi che sono inattaccabili, a marzo 2023, posso permettermi di pensare che il loro quindicesimo album in studio non sia eccezionale.
Ho dubbi pure su come possano suonare certe canzoni, dal vivo.
Lì si rimedia col mestiere e con le vecchie glorie, comunque.


Perché il punto focale è proprio questo: io posso perdonare uno stop sbagliato a Hugo Maradona, non al fratello (Diego, mica Lalo).
Posso aumentare di un voto il giudizio di un album di Paolo Vallesi, per dire, perché magari lui mi ha gentilmente omaggiato di una porzione di lasagna fatta dalla nonna: va bene.
Ma non lo farei manco pagato con i Pink Floyd, oh.

Per quanto sia un gioco senza alcuna pretesa di vittoria, e senza alcuna pretesa di capirne su un blog senza alcuna pretesa di gloria, è pure giusto esprimere un giudizio in base al “sentire”, naturalmente senza alcuna pretesa di sapienza.

Memento Mori è migliore di parecchi suoi predecessori e di una marea di suoi simili di altri gruppi, ma il primo che lo paragona (in toto, non a sprazzi) con qualsivoglia disco dei DM del passato millennio meriterebbe una 48H live e in esclusiva -ad personam- con Branduardi.

Il meglio è ormai ito, ma in fondo è ancor più bello ritrovarsi insieme a dei vecchi amici con la consapevolezza che il tempo passa e non è infinito, godendoci la fortuna di essere ancora qui, nonostante tutto.
Che poi è il messaggio che, a parere dello scrivente, Memento Mori vorrebbe veicolare con maggior forza e convinzione.


Chi vivrà vedrà.
A proposito: ci vediamo a giugno.
Anche se senza quell’altro matto legnoso che metteva allegria solo a guardarlo, con le sue movenze random e prive di una logica apparente, come se fosse telecomandato a distanza da uno ancor più strambo di lui, beh, sarà strano.
Molto strano.

Depeche Mode – Memento Mori: 6

V74

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