• Geraldinho

Gerald Vanenburg

“Negli anni 80 e 90 tutti calciatori ambivano a giocare nel campionato italiano. La mia è stata una vicenda drammatica, per certi versi terribile, con il coinvolgimento della UEFA e tanti strascichi di varia natura, ma alla fine il mio accordo con la Roma saltò e mi venne inflitta soltanto una multa. Se avessi giocato in Italia avrei potuto provare a raggiungere lo status di Ruud Gullit e Marco Van Basten, ma la cosa peggiore è stata deludere persone fantastiche. Roma è una splendida città e la Roma è un bel club. Non è andata come doveva andare e io di solito mi comporto diversamente, ma una persona commette degli errori nel corso della propria vita e certe scelte possono dimostrarsi errate, a posteriori. Ecco, forse questo è uno di quei casi”.

Parole e musica di Gerald Vanenburg, uno dei migliori talenti olandesi della generazione nata nei 60s e, per l’appunto, protagonista di una storia finita male con i giallorossi della capitale, che ne avevano già annunciato l’ingaggio salvo poi, dopo parecchie polemiche, essere costretti a rinunciare al suo acquisto.

Ma procediamo con ordine, come da abitudini della casa.


Gerald Mervin Vanenburg viene al mondo nel marzo del 1964 in quel di Utrecht, bella cittadina posta nella zona centrale dei Paesi Bassi.
Terra di calciatori: Van Basten, Wouters, van Tiggelen, van Breukelen, Sneijder e Afellay, giusto per fare qualche nome.
Di origini surinamesi, con uno zio anch’egli calciatore, Gerald ha il ritmo nel sangue.
Non balla, però.
O per meglio dire: danza.

E lo fa per i vicoli del suo quartiere col cuoio tra i piedi, dando letteralmente spettacolo dinanzi agli occhi estasiati dei suoi amici, che restano di sasso dinanzi alle giocate del piccolo fenomeno.
Il quale, in giovanissima età, si ritrova iscritto nella scuola calcio del VV Sterrenwijk, piccola società amatoriale della zona.
Di lì a breve ecco il passaggio nel USV Elinkwijk, altro club della regione che dispone di un buon settore giovanile in cui Gerald ha la possibilità di crescere sia dal punto di vista caratteriale che tecnico.

Fisicamente, invece, non cresce più di tanto.
Nel senso che è bassino e mingherlino.
Nel suo caso, però, si tratta di un bel vantaggio: il ragazzino è infatti una scheggia impazzita, dotata di un dribbling ubriacante che fa ammattire i suoi diretti marcatori e di una notevole velocità di base che gli consente di saltare gli avversari come se fossero birilli.
Il giovane ha talento vero ed attira gli sguardi interessati di parecchie compagini di livello, tra le quali spicca l’Ajax di Amsterdam.

Ha sedici anni di età allorquando, al termine della prima stagione nelle giovanili dei Lancieri, firma il suo primo contratto da calciatore con i biancorossi della capitale.
Calcio vero, senza se e senza ma.

Gerald Vanenburg - Ajax

Dodici mesi più tardi la promettentissima ala destra -questo è il suo ruolo- è inserita nei quadri della prima squadra, campione d’Olanda in carica, ove esordisce diciassettenne, nel 1981, con l’allenatore della Primavera, Aad de Mos -nominato ad interim sulla panchina della prima squadra dopo l’abbandono di Beenhakker-, che non esita un istante a lanciarlo nella mischia.
Vanenburg risponde subito presente e si mette in mostra, con personalità e mezzi tecnici ben al di sopra della media.
Segna alcune reti, ma l’Ajax non riesce a bissare il successo dell’anno prima, cedendo il passo al’AZ 67, di Alkmaar, che vince il campionato.
Gerald segna una rete importante pure nella finale di Coppa d’Olanda, ma è ancora una volta l’AZ 67 ad imporsi (3-1), portando a casa il trofeo.

Pochi mesi e due secondi posti.
Ma la carriera di Gerald Vanenburg è comunque iniziata e alla grande, altroché.
L’Ajax è un bel team, inoltre.
Arnesen, Lerby, Schrijvers, Jensen e diversi giovani in rampa di lancio, oltre al succitato Vanenburg: Rijkaard, van Basten, Silooy, Kieft, John van ‘t Schip ed altri ancora.
Arnesen, nella stagione successiva, viene ceduto al Valencia, lasciando il posto ad un grandissimo ritorno: nientepopodimeno che Johan Cruijff, il Profeta del Gol.
E per due anni consecutivi l’Ajax si laurea Campione d’Olanda: dapprima col tedesco Linder alla guida e poi con de Mos che siede nuovamente sulla panchina dei Lancieri e vince anche la Coppa d’Olanda, surclassando nella doppia finale il NEC Nijmegen con un duplice 3-1.
In Europa il cammino dei biancorossi non è esaltante, invece.

In patria Vanenburg segna trenta reti in due stagioni e diventa un idolo della tifoseria di Amsterdam.
Gli addetti ai lavori pronosticano per lui un futuro roseo ed il ragazzo inizia a sognare ad occhi aperti.
Esordisce pure in Nazionale, con l’Olanda che però non si qualifica per i Mondiali del 1982, in Spagna.

Nel frattempo Cruijff rompe con l’ambiente e si trasferisce al Feyenoord, andando a chiudere la carriera in quel di Rotterdam vincendo il campionato.
L’Ajax invece incappa in una stagione non eccezionale, pur con l’esplosione del fortissimo van Basten e con l’esordio del bravo Ronald Koeman.

Lo stesso Cruijff torna a casa in veste di allenatore, nella parte finale dell’annata successiva.
Un anno dove l’Ajax cambia più allenatori che magliette, riuscendo a trionfare in Eredivisie.

Vanenburg continua a giocare in maniera decisiva, segnando di meno rispetto al recente passato in quanto si mette al servizio del bomber van Basten.
In Nazionale fa esperienza internazionale, sebbene l’Olanda non riesca a qualificarsi per l’Europeo del 1984 in Francia e neanche per il Mondiale del 1986, in Messico.

Nell’Ajax sono Winter e Witschge i nomi nuovi sul quale investe la compagine di Amsterdam per la stagione 1985-86.
Arriva così un nuovo successo in Coppa d’Olanda (3-0 al Roosendaal, in finale), mentre in campionato i Lancieri finiscono alle spalle del PSV Eindhoven, trionfatore in patria.


In estate accade l’impensabile.
Il PSV decide di investire un bel po’ di moneta sonante e chiede all’Ajax i cartellini di Vanenburg e di Ronald Koeman.
I tifosi insorgono e la società è dell’idea di cedere soltanto il secondo.
Cruijff, in una intervista di cui si pentirà nella vecchiaia, sostiene che “Vanenburg non sarà mai un campione, datosi che con la voce stridula che si ritrova non può permettersi di atteggiarsi a leader”, aprendo -di fatto- alla cessione pure dell’ala destra.
La trattativa prosegue quindi sul doppio binario e si conclude a breve giro di posta: Gerald Vanenburg, nel 1986, si trasferisce (con Koeman) ad Eindhoven.
La città, invero, non è propriamente da sballo.
Tutt’altro.
Ci sono stato in un paio di circostanze ed il calcio, incredibile ma vero, è una delle poche ragioni per le quali vale la pena farsi un giro in zona.
Per Gerald non è un problema, però.
Lui è un calciatore professionista e con quel che guadagna può tranquillamente permettersi di inventarsi le distrazioni, piuttosto che andarle a cercare.
E poi il PSV dispone di un centro d’allenamento all’avanguardia e, soprattutto, sta attrezzandosi per provare a d imporsi anche in Europa, oltre che in patria.

Gerald Vanenbrg - PSV Eindhoven

Ed in effetti Vanenburg arriva nel posto giusto al momento giusto.
Il PSV si conferma campione d’Olanda e Gerald offre il suo ottimo contributo alla causa, sia in termini di rendimento (quasi sempre ottimo) che di reti (una decina).
In estate la società della Philips cede Gullit ed altri elementi di buon livello e punta sul gruppo, rinforzando la rosa in maniera non vistosa come in passato, ma in modo estremamente intelligente.
L’allenatore Hiddink è bravo di suo e dispone di calciatori di indubbio valore.
In porta c’è il solido van Breukelen.
La difesa è imperniata sul forte belga Gerets, sui grintosi danesi Nielsen e Heintze, sul bravo nazionale olandese van Aerle e sul fuoriclasse Ronald Koeman.
A centrocampo ci sono gli ottimi danesi Arnesen e Lerby, il buon Vanenburg, l’esperto Willy van de Kerkhof.
Davanti Kieft, Gillhaus e Viscaal si dividono l’onere di mettere in difficoltà le retroguardie nemiche.

I Boeren (contadini, come vengono soprannominati i calciatori ed i tifosi del PSV) centrano una stagione a dir poco clamorosa, portando a casa campionato, Coppa d’Olanda e, soprattutto, Coppa dei Campioni, battendo nella finale di Stoccarda il Benfica di Mozer ed Elzo ai rigori (0-0 al termine dei tempi regolamentari e dei supplementari)
Una gara di una bruttezza epica, tesa e tatticamente accortissima.
Gerald Vanenburg mette a segno suo penalty e sale sul tetto d’Europa, con pieno merito.

Ma non si accontenta.
Neanche due settimane dopo la finale di Coppa dei Campioni, in Germania Ovest, inizia il Campionato Europeo.
L’Olanda, finalmente, è riuscita a qualificarsi per una manifestazione internazionale grazie all’ottimo lavoro del santone Rinus Michels.
Esordisce con una sconfitta (0-1) al cospetto dell’Unione Sovietica allenata da un altro grandissimo tecnico, il colonnello Valerij Lobanovs’kyj.
Il trionfo per 3-1 contro l’Inghilterra rianima gli orange e la vittoria per 1-0 con l’Irlanda li porta direttamente in semifinale, ove affrontano i favoriti padroni di casa tedeschi e li sconfiggono per 2-1, in rimonta, andandosi a guadagnare la finale.
Nell’ultimo atto è ancora l’Unione Sovietica ad attendere gli uomini di Michels.
Stavolta le cose vanno differentemente, però, e gli olandesi, grazie ad un 2-0 che non ammette repliche, si laureano Campioni d’Europa.

Gerald Vanenburg, titolare dei suoi, infila un indimenticabile quadriplete, viene eletto miglior calciatore olandese dell’anno ed entra a pieno titolo nell’elitaria cerchia di calciatori che hanno vinto tutto quello che si può vincere nell’arco di pochi mesi, dapprima col proprio club e poi con la Nazionale.

EURO 1988 - Netherlands

Ma che giocatore è, Vanenburg?
Beh, la risposta non può che essere una: un gran bel giocatore.
Ala destra vecchio stampo, “di quelle che non le fanno più” (Claudio Corcione, cit.), dispone di una tecnica sopraffina e di uno spunto irresistibile.
Salta l’uomo con facilità irrisoria ed ha la dote, invero non comune, di far sì che il dribbling si trasformi in una opportunità per la squadra piuttosto che in una giocata fine a se stessa.
Spettacolare e nel contempo efficace, segna come una punta ed inventa calcio come un fantasista.
Parte dalla fascia per poi accentrarsi e mandare in frantumi i piani tattici degli antagonisti.
Il suo destro è a dir poco sublime ed esalta le folle.
Ottimo rigorista, è un calciatore dal rendimento costante ed elevato.
Fisicamente e tecnicamente ricorda un po’ Conti, Donadoni, Littbarski, Keegan, Causio e compagnia bella: un bel mix di tutti coloro che, bene o male, hanno posseduto e/o posseggono determinate caratteristiche.
Gerald, inoltre, è un tipo sveglio e con la testa sulle spalle: in età matura si ricicla come libero, a dimostrazione di un intelligenza calcistica fuori dal comune.
E sul terreno di gioco è pure più tosto di quello che si potrebbe pensare mentre lo si osserva: resistente nei contrasti e deciso nei ripiegamenti, quando la gara lo richiede.
Ogni tanto si assenta dalla contesa e non sempre riesce a legare con gli allenatori che man mano si avvicendano alla sua guida, incluso quel Cruijff che è stato il suo idolo ed al quale è stato spesso accostato in termini di similitudini calcistiche, a dimostrazione della sua forza e nonostante un paragone infinitamente scomodo, di per sé.
Ha un carattere particolare, questo è innegabile.
E talvolta va per i fatti suoi, poco ma sicuro.
Ci sta, ecco: e d’altro canto se ha una bacheca ricca come un museo evidentemente avrà i suoi buoni motivi per farlo.


Al termine di una stagione a dir poco indimenticabile per Vanenburg arriva la proposta della Juventus.
Il campionato italiano: il migliore al mondo in quel periodo, per distacco.

La possibilità di confrontarsi con i più grandi campioni del globo e di mettersi in gioco in un contesto oltremodo qualitativo, sia dal punto di vista sportivo che da quello umano.
Sole, buon cibo e, spostandosi da Torino, mare.

Gerald ci pensa: ha lasciato il cuore ad Amsterdam e se non avesse litigato con il suo idolo, non si sarebbe mai mosso dalla capitale.
Poi col PSV ha vinto tutto quello che sognava di portare a casa, è vero, però se gli tocca fare la valigia non è poi un problema così insormontabile.
La Juve invia i suoi dirigenti ad Eindhoven, ma le società non trovano l’accordo.
Vanenburg costa un botto ed i piemontesi non se la sentono di affondare il colpo, fiondandosi sul portoghese Rui Barros, in sua vece.
Nella trattativa subentra quindi il Napoli, che è disposto a pagare ai nordici la cifra richiesta.
Le pretese del calciatore sono molto alte ed è lui, in questo frangente, a far saltare il banco, spingendo i campani a ripiegare sul brasiliano Alemao, come terzo straniero.

Invece a puntare decisamente sul calciatore olandese è la Roma, dodici mesi più tardi.
I giallorossi hanno già ingaggiato i tedeschi Voller e Berthold e vanno in cerca di un terzo straniero di valore: trattano Winter, Detari e Silas, poi virano su Vanenburg e chiudono l’affare col PSV.
Poco meno di otto miliardi di lire versati nella casse degli olandesi e Gerald può sbarcare nella capitale e, finalmente, nel campionato italiano.
Ma sorge un problema: negli stessi giorni il Barcellona va ad Eindhoven ed acquista Ronald Koeman.
I tifosi olandesi insorgono: uno sì, ok, ma due no.
Il PSV fa marcia indietro e conferma il calciatore, facendogli firmare un rinnovo di ben otto stagioni (!) ed assegnandogli un ulteriore vitalizio fino al raggiungimento della soglia dei sessanta anni di età.
Gerald passa all’incasso e giura amore eterno al PSV.
Se ne pentirà anni più tardi, come da protocollo e come raccontato poco più su.
La Roma si rivolge alla FIFA e presenta ricorso, senza ottenere risultati di rilievo.
Anzi: arriva pure la beffa, con una irrisoria sanzione al PSV per non aver rispettato gli accordi scritti, oltre che quelli verbali.
Ricordo ancora i giornali portivi dell’epoca che narravano di questa vicenda, alternandola con la furiosa diatriba che esplose tra Maradona – che voleva essere ceduto al Marsiglia di Tapie- ed il Napoli, che non aveva intenzione di separarsi dal suo immenso fuoriclasse argentino.

In Italia comunque Gerald Vanenburg arriva, nel 1990, in occasione dei Campionati del Mondo che hanno luogo proprio nella nostra splendida penisola.
L’Olanda, Campione d’Europa in carica, è tra le favorite.
Esordisce ottenendo un deludente pari (1-1) con l’Egitto.
Lo 0-0 con l’Inghilterra è abbastanza interlocutorio, mentre il terzo pareggio (consecutivo 1-1) con l’Irlanda del Nord è la conferma che gli uomini allenati da Leo Beenhakker non sono gli stessi di due anni prima.
Superato il turno come una delle migliori terze, l’Olanda becca agli ottavi di finale la futura vincitrice della kermesse, quella Germania Ovest che batte gli orange per 2-1 e li spedisce a casa.
Gerald Vanenburg gioca da titolare il primo tempo della gara con l’Egitto, poi cade in disgrazia nelle scelte del suo mister e non vede più il campo, anche a causa di uno stato di forma mediocre, derivante da un leggerissimo infortunio muscolare che ne mina il rendimento.

Con la Nazionale Olandese chiude poco dopo l’Europeo del 1992, in Svezia, dove non è tra i convocati della compagine arancione che si spinge sino alle semifinali del torneo, eliminata da quella sorprendente Danimarca che andrà poi a conquistare la medaglia d’oro.
Con la rappresentativa nordica un decennio di passione ed una quarantina di presenze a corredo, per l’ala destra.


Nel PSV invece Vanenburg continua l’avventura ma, sebbene abbia rinnovato pressoché a vita, inizia ad avere qualche problemino con l’ambiente.
Il suo rendimento va leggermente calando e la Scarpa d’Oro Olandese, che nel 1988 e nel 1989 gli era valsa lo status si indiscutibile leader della squadra e dell’Eredivisie, finisce nella bacheca dei suoi competitors.
Vince altri due campionati (1991, 1992) ed un altra Coppa d’Olanda (1990), poi risponde alla chiamata del tecnico olandese Hans Ooft, che allena in Giappone, e si trasferisce in Asia, aiutando il Júbilo Iwata (che in quel frangente porta il nome di Yamaha Motors) a conquistare la prima serie nipponica.
Con lui ci sono il connazionale André Paus, il brasiliano Walter e poco dopo, soprattutto, il mitico Totò Schillaci.
Gerald si ferma per un ulteriore biennio nel continente asiatico, raggiunto anche dal forte brasiliano Dunga.
La squadra inizierà a collezionare trofei negli anni successivi, ma il lavoro di Vanenburg e compagni si rivelerà fondamentale per creare le basi di una mentalità vincente ed apportare quella professionalità che in determinati ambiti è imprescindibile per la crescita di un intero movimento calcistico.

Prima di partire per l’Asia, Gerald Vanenburg aveva avuto un abboccamento col Genoa, senza esito.
Evidentemente è proprio destino che nella penisola ci debba venire soltanto per turismo o per qualche partita internazionale.

Nell’inverno del 1997 l’olandese decide di ritornare in patria.
Per essere precisi: a casa, ecco.
Firma difatti con l’Utrecht e contribuisce ad una tranquilla salvezza.
Mentre sta riflettendo sull’opportunità di rinnovare per un’altra stagione, ecco palesarsi il Cannes, dalla Costa Azzurra.
Bei posti, stipendio notevole, società ambiziosa.
L’olandese organizza il trasloco e si diverte nel campionato francese, giocando pure bene, anche se il Cannes non riesce ad andare oltre la permanenza nel massimo torneo nazionale ed inizia a manifestare qualche problema di ordine societario, che porterà dodici mesi più tardi alla retrocessione.

Gerald si guarda intorno ed a trentaquattro anni pensa al ritiro.
Però ha ancora il fuoco vivo dentro e si sente arzillo, dal punto di vista fisico.
Rispedisce al mittente un paio di proposte da tornei esotici e si accorda col Monaco 1860, in Germania, dove va a sostituire Abedi Pelé.
In Baviera trova una squadra operaia e lui, ben presto, ne diventa il leader carismatico.
Con esperienza e sapienza si ricicla nel ruolo di libero, che ha già ricoperto a Cannes in qualche circostanza.
Una performance tattica sorprendente, per un calciatore tendenzialmente offensivo ma che, con acume ed umiltà, è ben conscio dei suoi limiti come dei suoi pregi ed è consapevole che lo scatto bruciante dei tempi belli è ormai alle spalle, però tutto il resto -e non è poco- è presente a se stesso e pronto per essere messo a disposizione dei compagni e dello staff tecnico.
A Monaco l’ex ala destra si ferma per due annate.
Nella prima gioca con continuità e conquista una meritata salvezza.
Nella seconda è meno presente, anche a causa di qualche acciacco, ma complice l’arrivo in rosa di elementi di valore come Häßler e Max, contribuisce al raggiungimento di un ottimo quarto posto in graduatoria, che vale ai suoi l’accesso ai preliminari della successiva edizione della Champions League.

Gerald Vanenburg - Monaco 1860

In estate Gerald Vanenburg, trentaseienne, saluta i suoi tifosi ed annuncia il ritiro dall’attività sportiva.


Aneddoto personale.
Nel gennaio del 1992 ebbi il piacere di vedere giocare dal vivo il suddetto, nella Coppa Maestrelli che si tenne nel giorno della Befana.
Un mini-torneo di tre gare, quarantacinque minuti ciascuna, in cui si affrontarono Lazio, Bruges e PSV Eindhoven.
La Lazio vinse il trofeo e Vanenburg dette sfoggio di notevoli doti, segnando una rete al Bruges (ed un rigore, nella lotteria finale per decidere la vincente del match) e mettendo in difficoltà anche i romani, nell’altra partita.
Nel PSV mancava Romario: la stella brasiliana venne tenuta a riposo, datosi che faceva un freddo boia ed in Olanda -come in Belgio- il campionato era fermo per la sosta invernale.
Ricordo bene quel pomeriggio, perché fu una delle prime occasioni nelle quali ebbi modo di fermarmi a Roma per più giorni, rispetto al solito.
E pensare che di lì a poco ci sarei andato a vivere, a lungo.


Tornando al folletto orange: agli albori del nuovo secolo cala il sipario sul calciatore olandese, tanto forte quanto discusso, soprattutto il alcuni frangenti della sua carriera.
Parecchie vittorie, moltissimi apprezzamenti personali, una marea di affetto e qualche critica, come normale che sia.

Lui, a testa alta, ringrazia chiunque gli sia stato vicino durante la straordinaria avventura da calciatore ed inizia subito a lavorare come allenatore.
Si occupa delle giovanili del PSV per un quinquennio, prima di accorrere al capezzale di un Monaco 1860 in grossa difficoltà, senza peraltro riuscire ad evitare una cocente retrocessione in seconda serie.
Helmond Sport ed FC Eindhoven (entrambe in seconda serie olandese) rappresentano le tappe successive di una carriera che non decolla, anche a causa di risultati non particolarmente positivi.
Qualche mese da assistente nel Willem II (prima serie dei Paesi Bassi), poi il vuoto: nessuno si fida più di Gerald Vanenburg.
O, quantomeno, non così a fondo da affidargli una panchina.
Lui ne soffre.
Spera a lungo nella chiamata del PSV, ma senza esito.

Gerald Vanenburg - Today

In Italia ci sarebbe stato alla grande, all’epoca.
Sulla destra sprintava come un dannato e quando si accentrava sulla trequarti le sue sgasate erano ancora più devastanti per le difese avversarie.
Un gran bel giocatore che sembra brasiliano, piuttosto che olandese.
Geraldinho, d’altronde.
Uno che da giovanissimo pareva destinato a scrivere pagine indimenticabili nella Storia del Calcio.
Qualcuno, stranamente, è convinto che non vi sia riuscito.
E invece no: Gerald Vanenburg ci è riuscito.
Eccome, se ci è riuscito.

Gerald Vanenburg: Geraldinho.

V74

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