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Ernesto Calisti

Biancoceleste, dentro e fuori.
Quindi parte in vantaggio, almeno per il sottoscritto.

Parliamo di uno di quei calciatori che con un pizzico di fortuna in più nei momenti che contano- perché in fondo la vita è sempre un Match Point, come direbbe il buon Woody Allen– avrebbe potuto scrivere pagine ancor più importanti di quelle da lui vergate, nella Storia del Calcio.

Resta un bel difensore, veloce e determinato, che pur non possedendo il talento del Campione è riuscito a misurarsi sui campi della serie A e che senza un maledetto infortunio avrebbe probabilmente raggiunto la Nazionale maggiore.


Ernesto Calisti nasce a Roma, nell’estate del 1965.
Segno zodiacale del Leone: persone caratterialmente decise, generose, leali.
Tendenti a stressarsi e, non di rado, a subire lesioni o infortuni nella pratica sportiva.
Così recita lo zodiaco che, evidentemente, porta sfiga.

Famiglia blandamente romanista, dal lato paterno.
Fortemente Laziale, da quello materno.
Lui vive nel popoloso quartiere di Tor Sapienza e corre ovunque vi sia un pallone che stia rotolando.
Fin quando a soli nove anni viene segnalato a Nicola Foglia, collaboratore del grande Tommaso Maestrelli ed osservatore della Lazio, che a sua volta lo propone ad Enrique Flamini, il celebre Flaco, a quel tempo responsabile del settore giovanile biancoceleste.
Un breve provino ed Ernesto entra a far parte dell’affascinante pianeta Laziale.

Siamo nel 1975 e la Lazio è da poco diventata Campione d’Italia.
Foglia, oltre ad intuire le doti di Calisti, lo allena anche per diverso tempo e contribuisce alla sua crescita a livello tecnico e caratteriale.
Il ragazzo svolge tutta la trafila nelle giovanili, una decina d’anni, dimostrando una sorprendente maturità ed una volontà ferrea.
Nel campionato Primavera, allenatore Morrone, si impone come uno dei prospetti più interessanti della categoria e la società si convince ad optare per un prestito in B, per far mettere esperienza nelle gambe e nella testa del difensore.
Perché Ernesto Calisti gioca in difesa.


E la Cavese, che è al terzo torneo consecutivo in serie cadetta e viene da uno strepitoso torneo dove ha sfiorato addirittura la A, è alla ricerca proprio di un elemento nel settore arretrato per rafforzare un roster che può contare su diversi giocatori di valore.
In uno scambio multiplo la Lazio preleva dalla squadra campana l’ala Cupini, mentre il jolly Sciarpa, il portiere Moscatelli -entrambi a titolo definitivo- e il giovane Calisti -in prestito- compiono il tragitto opposto.
L’annata è però disastrosa, forse a causa della sopravvalutazione della rosa nella stagione precedente e di un entusiasmo che finisce per essere eccessivo e controproducente, portando i cavesi alla retrocessione.
Ernesto fa il suo, a Cava dei Tirreni: 23 presenze e tanto impegno, a battagliare sui polverosi campi di provincia contro attaccanti smaliziati e tignosi.
Viene anche chiamato per una amichevole della Nazionale Under 21 di Lega.


In estate ritorna alla casa madre, come da accordi.
La Lazio si è salvata dalla B all’ultimo tuffo ed il presidente Chinaglia ha voglia di allestire una compagine che non debba ridursi a soffrire sino alla fine per mantenere la categoria.
La teoria, come spesso accade, non corrisponde alla pratica.

Ernesto Calisti

I biancocelesti, nonostante dispongano di Giordano, Manfredonia, D’Amico, Batista e Laudrup, retrocedono mestamente in serie B.
Ernesto Calisti è tra i pochi a salvarsi dal naufragio: esordisce ad Ascoli, alla quarta giornata, ed una settimana più tardi entra nella ripresa, contro il Napoli, con l’ingratissimo compito di marcare un Diego Maradona che fino a quel momento ha dominato la scena.
Il giovane laziale, con l’aiuto del pubblico e la spensieratezza dell’età, riesce a limitare l’estro dell’argentino ed a fine gara si prende i complimenti del Pibe de Oro e il plauso dell’arbitro Casarin.
Altro calcio, altri uomini, altro mondo.

La Lazio in difesa presenta solitamente Vianello come libero, mentre Podavini, Filisetti, Storgato e Spinozzi si alternano nel ruolo di marcatori.
Talvolta Spinozzi gioca da ultimo uomo, in altre occasioni Podavini e Filisetti agiscono da esterni.
Calisti accumula venticinque presenze, mettendo in mostra ottime doti di velocità e versatilità.
Difatti può agire da terzino destro, da terzino sinistro e da marcatore centrale (stopper).
A lanciarlo in squadra è il tecnico argentino Lorenzo, che ha sostituito Carosi dopo appena due giornate di campionato e che, a sua volta, è stato successivamente allontanato in favore di Oddi.
Senza esito, come detto.

Calisti, Lazio

La Lazio è in B ed Ernesto Calisti riceve diverse offerte per lasciare la capitale.
Lo staff tecnico della Nazionale Under 21 del mister Azeglio Vicini, futuro C.T. dell’Italia ai Mondiali del 1990, lo ha messo nel mirino per costruire una squadra che negli anni a venire farà parlare di sé.
Ad ottobre arriva la sua prima convocazione ufficiale, con la maglia biancoceleste ancora sulle spalle.
Chinaglia ha infatti convinto il giocatore a rifiutare le proposte giunte dal Torino e dalla Sampdoria.
Lo stesso Chinaglia dovrà cedere la proprietà a stagione in corso, con la Lazio che disputa una annata abbastanza anonima.
L’allenatore è uno specialista in promozioni: Gigi Simoni.
Sbarcano a Roma ottimi mestieranti per la categoria come Caso, Magnocavallo, Galbiati, Fiorini e Poli.
Calisti e l’estroso Dell’Anno sono i giovani maggiormente in vista, ma il fantasista verrà ceduto in estate.
Ernesto invece no perché a fine aprile, durante la gara interna contro il Monza, per tentare di allontanare una palla vagante nell’aria piccola si è sfasciato il ginocchio.
I medici gli hanno spiegato che la sua carriera è a rischio e per un ragazzo di appena ventuno anni, con diverse presenze (6) nella Under 21 e con prospettive di un certo tipo, è una mazzata atroce.

Come quella che cade sulla testa della sua Lazio, penalizzata di nove punti in classifica per il torneo successivo a causa del Totonero-bis ed impossibilitata a cedere il suo gioiellino, per fare cassa.
Il nuovo allenatore, Fascetti, prende Calisti sotto la sua ala protettiva e conduce la squadra all‘epopea dei meno 9, ottenendo una salvezza che entra a pieno titolo nelle più emozionanti avventure calcistiche degli anni 80 e non solo.

Ernesto c’è, ma è come se non ci fosse.
Per un anno e mezzo rimane fermo.
Ritorna prima di Natale del 1987, con indosso una casacca di colore viola.
La Lazio lo cede alla Fiorentina, dapprima discutendone il passaggio ai gigliati con in aggiunta un lauto conguaglio nell’ambito dell’acquisto del bomber Monelli e poi, qualche settimana dopo, come affare indipendente, legato ad un accordo tra i presidenti dei club, Calleri e Baretti.


La Fiorentina ha deciso di scommettere sulla promessa del vivaio laziale, nonostante tutto.
Calisti in questi lunghi mesi ha lottato come un leone, durante la riabilitazione, e non si è arreso neanche dinanzi ad una brutta ricaduta che, dal punto di vista psicologico, avrebbe distrutto chiunque.
Gli dispiace interrompere il cordone ombelicale con quella che ormai è diventata la sua squadra del cuore (dopo una iniziale simpatia infantile per i cugini della Roma), ma è pure deluso dal fatto che la società biancoceleste non abbia puntato su di lui dandogli fiducia dopo l’infortunio e, soprattutto, non abbia premiato l’attaccamento ai colori, datosi che prima che il ginocchio saltasse c’erano state alcune avvisaglie che il calciatore, sotto pressione dei suoi dirigenti, aveva scelto di curare tramite infiltrazioni, piuttosto che fermarsi per evitare rischi, in quanto in quella fase alcuni difensori erano indisponibili e bisognava fare di necessità virtù.

Sia come sia, Ernesto Calisti prende casa in Toscana con la donna della sua vita -che ha conosciuto praticamente da ragazzino- che gli è accanto e gli regala serenità e forza.
In fondo ha solamente ventidue anni ed è giusto provare a giocarsi le proprie carte.

Fiorentina

I viola hanno da poco salutato la leggenda Antognoni e provano ad inaugurare un nuovo ciclo con l’ingaggio dell’allenatore svedese Sven-Göran Eriksson.
Con quest’ultimo Calisti non lega molto, tutt’altro.
E pensare che Eriksson lo aveva cercato quando allenava la Roma: i giallorossi proposero uno scambio con il libero Lucci e i dirigenti biancocelesti risposero con una sonora pernacchia.
Tornando al 1987, il nordico gli concede inizialmente fiducia una volta ristabilitosi del tutto dai postumi del grave problema patito con la maglia Laziale, preferendolo spesso al pari ruolo Contratto.
Poi, complice una fastidiosa tendinite che ne limita le prestazioni, opta per altre soluzioni relegando il difensore romano in panchina, nella seconda stagione in cui guida i viola.
Due annate tutto sommato nella media, con la qualificazione in Coppa Uefa ottenuta in extremis vincendo lo spareggio contro la Roma nella seconda e con Ernesto che fa gruppo con Roberto Baggio, Dunga, Diaz, Berti, Borgonovo, Pruzzo, Alberto Di Chiara e altri.
Adora Firenze, ma deve trovare ritmo e continuità.
L’arrivo di Giorgi sulla panca gigliata e la conseguente rivoluzione tecnica del team lo spinge a valutare nuove avventure.
Inoltre il Mondiale di Italia 90 alle porte, con tutti i suoi compagni della Under 21 in campo agli ordini del suo ex mister Vicini, gli trasmette un rimpianto enorme e, nel contempo, gli è da sprone per non mollare.

Il treno del grande calcio è ormai passato: Calisti è un ragazzo sveglio ed intelligente e ne è perfettamente consapevole.
Vuole comunque giocarsi le proprie carte nel migliore dei modi e decide di firmare per il Verona di Osvaldo Bagnoli, nell’ambito di uno scambio -con conguaglio a favore dei veneti- che porta il fluidificante mancino Volpecina a Firenze.


I gialloblù sono ormai agli sgoccioli della loro parabola storica, culminata nell’indimenticabile Scudetto del 1985.
Una latente crisi societaria, che da qualche tempo affligge il club veneto, ne ha impoverito la rosa.
Ne consegue una retrocessione non annunciata, forse, ma in qualche modo prevedibile.
Calisti gioca la maggior parte delle gare, ma è in panchina nella sconfitta di Cesena, ultima del girone di ritorno, che sancisce la caduta negli inferi degli scaligeri.
Bagnoli saluta ed al suo posto arriva un mago della B: Eugenio Fascetti.
Sì, proprio lui, che conosce bene Ernesto per averlo allenato -si fa per dire, in quanto il difensore era in piena convalescenza- alla Lazio.
Fascetti punta sulla sua voglia di rivalsa ed il ragazzo lo ripaga con una stagione a dir poco perfetta: titolare fisso, con un rendimento esemplare ed una continuità impeccabile.
Insieme a tanti ottimi mestieranti della categoria come l’esperto Favero, il grintoso argentino Sotomayor, il potente laterale Pusceddu, il geometra svedese Prytz, il prolifico Pellegrini ed altri ancora riporta il sorriso sulle rive dell’Adige.
Calisti è tornato ed il Verona, secondo in classifica alle spalle del Foggia di Zeman, risale subito in serie A.

Calisti, Verona

Fascetti, allenatore scafato e pragmatico, si rende conto che affrontare un torneo di A con gli stessi uomini equivarrebbe ad un suicidio di ordine tecnico.
Chiede alla società di intervenire adeguatamente sul mercato, per rafforzare la rosa.
Il Verona, con un affascinante coup de théâtre, ingaggia il talentuosissimo Stojković.
Sta inoltre per mettere le mani sul cartellino di un certo Batistuta, giovanissimo ma già in rampa di lancio, e sul tedesco Brehme, l’innesto prescelto dal tecnico per apportare esperienza e carisma alla squadra.
Il presidente Mazza, il più giovane massimo dirigente del campionato, ha voglia di stupire e punta sullo sconfinato talento el succitato Dragan Stojkovic per riportare il suo club in alto.
Lo ha visto nel suo stadio, con la maglia della Nazionale, ai Mondiali del 90.
E lo vuole in gialloblù.
Un assegno di circa dieci miliardi al Marsiglia ed un ricco triennale al giocatore: la trattativa dura una vita, fin quando si chiude positivamente con alcune clausole a protezione dell’affare, dato che Dragan risulta ancora infortunato, quando giunge in Veneto.
Nel frattempo Brehme rifiuta il trasferimento, mentre i soldi per Batistuta scarseggiano, quindi viene ingaggiato il romeno Raducioiu, preso dal Bari.
Non è propriamente la stessa cosa, rispetto all’argentino.
Ad occhio e croce passeranno almeno una trentina di categorie di differenza, tra i due.
Ed il campo lo conferma.

Fascetti salta a marzo e viene sostituito da Nils Liedholm, con Mario Corso a dargli manforte.
Non basta per salvarsi da una retrocessione rumorosa e, per certi versi, sorprendente.
Difatti il Verona edizione 1991/92 è considerata dagli addetti ai lavori come una buona compagine, pronta per una tranquilla salvezza e, mai dire mai, forse anche in grado di tornare ai fasti di un tempo, quelli in cui era spesso la mina vagante del torneo, pur non potendo di certo aspirare al trionfo scudettato del passato decennio.
Invece niente di tutto questo: Dragan Stojković arriva da sinistrato permanente e, come se non bastasse, quando danza sul prato verde combina più casini di quelli che riuscirebbe a fare se decidesse di fumarsela, l’erbetta di gioco.

Ed il nostro Calisti?
Lui cerca di metterci una pezza, nelle retrovie.
Con Fascetti qualche speranza di salvezza, invero piuttosto tenue, poteva anche esserci.
Liedholm è invece da secoli fuori dai giochi e si nota, purtroppo.

Per la B viene chiamato Reja, in panchina.
La rosa è più o meno la stessa e nella serie cadetta parte bene, inserendosi nelle zone di vertice, salvo poi crollare nel girone di ritorno ed attestarsi a metà classifica.
Ernesto è titolare, poi si infortuna seriamente – ancora una volta- e salta proprio la seconda parte di stagione.
L’annata seguente, con Mutti in panchina e Pippo Inzaghi in attacco, non è foriera di gioie, sia per la squadra (dodicesima) che per il difensore di Tor Sapienza, che gioca poco o niente.


In estate, dopo oltre cento presenze con i butei, Ernesto Calisti si allontana dall’amata Verona e dal calcio che conta.
Si riavvicina a casa e trova un ingaggio nella ripescata Narnese, Campionato Nazionale Dilettanti.
Qualche partita, giusto per riprendere ritmo, e promozione sfiorata in C2, ove comunque il nostro gioca la successiva stagione, con la maglia della neopromossa Viterbese che arriva sino alle semifinali per i play-off, venendo eliminata dal Giulianova che segna il gol decisivo a pochi minuti dal termine del match di ritorno e va a vincere la finale contro l’Albanova, ottenendo la promozione in terza serie.

L’ottimo rendimento offerto in stagione vale una promozione pure per il difensore romano, ingaggiato dall’ambizioso Gualdo, per l’appunto in C1.
Annata abbastanza tribolata, con due bravi allenatori come Sonzogni (prima) e Nicoletti (dopo) che non riescono a far decollare gli umbri, ancorati a metà classifica.
Nel girone di ritorno ricordo di aver visto Ernesto Calisti dal vivo, ad Ischia, espulso sul finire di una gara che gli isolani vinsero per 1-0.
Emozionante, per un innamorato dell’Aquila Biancoceleste.

Una fugace comparsa nel Frosinone: poi nel calciomercato invernale, cosiddetto di riparazione, Calisti torna tra i dilettanti e trasloca nella Casertana.
Quindi pochi mesi al Rieti, ancora CND, prima dell’accordo con il Latina, nella medesima categoria.

Ernesto, con la sua esperienza ed il suo carisma, viene ritenuto un elemento in grado di far crescere i giovani che gli stanno intorno ed apportare quel fondamentale contributo di “mestiere” che tra i dilettanti fa la differenza tra il vivere ed il morire (sportivamente parlando, ovvio).

L’ambizioso Tivoli è la tappa seguente del viaggio di Calisti nel mondo del calcio.
Una squadra costruita per vincere, con tutta una serie di ottimi giocatori che, però, dovrà rimandare di dodici mesi l’agognata promozione in serie C.
Ernesto non ci sarà, avendo firmato per il Monterotondo, nella riformata serie D.
Un triennio che si conclude nella salvezza, in rimonta, contro il Termoli.

Trattasi del canto del cigno dell’ex professionista, che non è in campo nell’ultimo atto, ma che collabora con lo staff tecnico e festeggia il mantenimento della categoria dei suoi e, al tempo stesso, saluta la compagnia, appendendo gli scarpini al chiodo.


Quando si racconta di Ernesto Calisti non si può prescindere da quel maledetto infortunio del 1986.
Un crocevia imprescindibile, nella carriera di un calciatore che, sino a quel momento, aveva mostrato caratteristiche di livello e si era messo alle spalle, nella Under 21, compagni come Ciro Ferrara, giusto per fare un nome a caso.
Certo, poi avrebbe dovuto dimostrare molto, se non tutto.
Ma lo stesso Vicini aveva chiaramente lasciato intendere quanto stimasse questo giovane terzino destro che si ispirava al mitico Claudio Gentile -al quale somigliava nel fisico ed in alcune componenti sportive-, dotato di buona tecnica e discreta elevazione, velocissimo ed in grado di agire pure sulla fascia sinistra, oltre che da marcature puro sia sugli attaccanti -esterni o centrali che fossero- che sui trequartisti.
ideale nel 4-4-2 come nel 5-3-2, Calisti sapeva adattarsi a qualsiasi esigenza tattica richiestagli dai tecnici che, di volta in volta, hanno avuto la fortuna di allenarlo.
Fortuna perché il romano è persona seria, umile, disponibile, generosa.
Riuscire a riprendersi da una mazzata simile e tirare avanti sino a quasi quarant’anni, per di più inseguendo ragazzini della metà dei propri anni, è sintomo di enorme passione per il calcio.
Come detto, negli ultimi anni di attività si è specializzato nel dar manforte a team che abbisognavano di esperienza, muovendosi soprattutto da libero e/o da centrale difensivo, sfruttando una notevole leadership naturale.


Si è poi brevemente cimentato nel mestiere di allenatore, a Monterotondo, comprendendo ben presto che in questo ambiente il suo scarso adattamento ai compromessi ne avrebbe matematicamente minato la possibilità di emergere.

Oggi Ernesto Calisti porta avanti alcuni progetti di scuole calcio, nel Lazio e nell’Isola d’Elba.
E commenta spessissimo le vicende della Lazio e del Verona, le squadre che hanno segnato la sua storia sportiva.

Ernesto Calisti

Una autentica promessa, mai sbocciata del tutto.
Non per colpa sua, eh.

Poco meno di una cinquantina di gettoni con la Lazio ed il doppio col Verona, oltre alla militanza nella Fiorentina.

Roma, Firenze, Verona: se calcisticamente il rimpianto di quel Mondiale e di una carriera diversa c’è, indubbiamente, quantomeno a livello “geografico” direi che le cose gli sono andate alla grande.

Ernesto Calisti: Biancoceleste.

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