- Ludo Boom
Ludo Coeck
”La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo“, soleva dire l’astuto Roberto Antoni, alias Freak Antoni, fondatore e leader degli Skiantos.
Sacrosanta verità, non si discute.
Sarebbe da chiederne conferma al buon Ludo Coeck, ottimo calciatore belga venuto a mancare a soli trent’anni di età dopo una innumerevole serie di infortuni e vicissitudini personali.
Se solo si potesse, ovviamente.
Calciatore forte e raro per caratteristiche tattiche, agonistiche e tecniche.
Belga, originario della periferia meridionale di Anversa.
Quel Belgio che ho girato in lungo e largo e del quale conservo bei ricordi.
Al netto di condizioni meteo che manco al peggior nemico, s’intende.
Campionato, quello fiammingo, storicamente foriero di bei talenti.
Un po’ come quello portoghese, diciamo.
Interessanti bacini da vivisezionare, alla ricerca del campione di turno da trasferire nei campionati d’eccellenza (quella vera, non la categoria).
Ludovic “Ludo” Coeck nasce a Berchem, nei pressi della bella e succitata Anversa, nel settembre del 1955.
Zona ad alta densità industriale, sebbene non priva di parchi naturali, corsi d’acqua e foreste nei dintorni.
Il calcio, sin da bambino, è una componente fondamentale della sua esistenza.
Col pallone tra i piedi il piccolo Ludo cresce con il sorriso stampato sul volto.
A nemmeno dieci anni entra a far parte del settore giovanile del Berchem Sport, la società calcistica locale, che in quegli anni ondeggia tra la terza e la seconda divisione belga, con qualche saltuaria apparizione anche in prima.
Il ragazzino impressiona i tecnici del club, per la sua forza fisica e per l’ottima tecnica di base.
Alto e slanciato, gioca da centravanti e segna parecchio.
I suoi coetanei hanno difficoltà nel contrastarne i movimenti e lui, pur non essendo un fulmine in velocità, ha una sorprendente capacità di rubare il tempo ai diretti marcatori e vedere la porta come un bomber di professione.
Promettente e deciso, a soli sedici anni viene lanciato nella mischia.
In prima squadra e in seconda divisione, dove Ludo segna sette reti in sette gare e contribuisce alla promozione del suo team in massima serie belga.

Un esordio col botto, per un giovane che sogna di seguire le orme del suo idolo, l’italiano Gianni Rivera.
Quest’ultimo non è una punta vera e propria, chiaramente.
Ma a Ludo Coeck piacciono le movenze in campo di Rivera e ne apprezza a dismisura la cifra stilistica e lo sconfinato talento.
Apprezza anche Mazzola ed il portoghese Eusebio, per inciso.
Gente di gran classe, oh.
Sul giovanissimo prospetto belga si posano intanto le attenzioni dei migliori club del paese.
In particolar modo l’Anderlecht di Bruxelles vuole bruciare la concorrenza e sborsa bei quattrini per il cartellino di Ludo, che non viene lasciato in prestito al Berchem per maturare, come si era inizialmente ipotizzato durante le prime fasi della trattativa, e come avrebbe desiderato la sua famiglia.
Il problema è che l’Anderlecht lo ha pagato davvero tanto e non vuole rischiare di svalutare il patrimonio.
L’idea è quella di inserirlo subito nel roster della prima squadra, per farlo crescere e maturare in un contesto di alto livello, competitivo e vincente: si rivelerà un progetto vincente.
Ludo Coeck entra a far parte di un gruppo di ferro, con giocatori come Rensenbrink, François Van der Elst, Van Himst, Van Binst, Broos ed altri ancora che, man mano, andranno ad aggiungersi negli anni formando un team di assoluto valore internazionale.
Negli anni di Ludo in maglia bianco-malva l’Anderlecht vince il campionato belga nel 1974, bissando il successo nel 1981.
Colleziona ben sei secondi posti (1976, 1977, 1978, 1979, 1982, 1983), perlopiù alle spalle del Club Bruges e dello Standard Liegi.
Alza al cielo anche tre Coppe del Belgio (1973, 1975 e 1976), due Coppe di Lega (1973, 1974) e, soprattutto, due Coppe delle Coppe (1976, 1978), due Supercoppe Europee (1976, 1978) ed una Coppa UEFA (1983).
Oltre a sfiorare altri successi: niente male, vero?
Uno score da paura, corroborato da prestazioni egregie e da un rendimento costante ed importante.
Va detto che Ludo va incontro ad alcuni infortuni di rilievo, in questi anni.
Lui, tosto come una roccia, riesce sempre a rialzarsi.
Agli inizi degli anni ottanta finisce sotto i ferri e salta quasi una intera stagione.
I medici gli spiegano che probabilmente dovrà dire addio al calcio professionistico.
Coeck replica con eleganza, ma anche con fermezza: “Non se ne parla proprio“.
Torna in campo e, rimessosi appieno, respinge le avances di Gent e Colonia, che vorrebbero assicurarsi i suoi servigi.
Il Lierse propone il cannoniere Vandenbergh in cambio del suo cartellino, ma l’Anderlecht rifiuta ed allunga il contratto di Ludo per un ulteriore biennio.
Anche il Bayern Monaco ed il Liverpool mostrano interesse nei confronti del calciatore di Berchem, senza però approfondire la traccia.
Ludo è oramai uno dei più forti centrocampisti d’Europa.
Eh sì, in quanto il giovanissimo centravanti che aveva fatto innamorare il Belgio si è ben presto trasformato in un solidissimo centromediano metodista, capace di impostare l’azione e di andare anche a concluderla, col suo potentissimo tiro di sinistro.
Gioca spesso da mezzala e, all’occorrenza, organizza la manovra e detta i tempi alla squadra.

Ovviamente è nel giro della Nazionale del Belgio, dopo aver dato spettacolo nella Under 19 da sotto età ed essere velocemente transitato nella Under 21, datosi che a diciannove anni era già stato convocato con la rappresentativa maggiore.
Ludo Coeck negli anni, tra club e Nazionale, ha la fortuna di essere allenato da tecnici di assoluto valore.
Uno di essi, -il suo scopritore in gioventù, che lo ha guidato pure all’Anderlecht-, Raymond Goethals, ha descritto perfettamente le doti del ragazzo in poche righe:
“Calciatore di assoluto valore, un centrocampista moderno ed universale.
Tomislav Ivic, che lo ha impiegato anche da libero, ne esaltava le doti di mediano difensivo, spiegando che con lui in campo la squadra subisce pochi gol. Paul Van Himst invece era convinto che rendesse meglio come mezzala, poiché con Ludo schierato da centrocampista offensivo il team segnava parecchie reti in più del solito. Ecco: in questa diatriba, nella quale entrambi gli allenatori hanno ragione, è celata la vera essenza e la grandezza di Ludo Coeck, che io ebbi la fortuna di notare e convocare subito nella Nazionali Giovanili del Belgio“, le parole del santone di Forest.
Coeck, che ha saltato gli Europei del 1980 in Italia per un infortunio, è tra i convocati del Belgio di Guy Thys per il Mondiale del 1982, che si tiene in terra di Spagna.
Invero rischia di non far parte della spedizione, perché è reduce da un serio infortunio che ne ha messo a repentaglio la chiamata.
Lui garantisce a Thys di essere a posto e parte per la penisola iberica insieme a François Van der Elst, Pfaff, Gerets, Renquin, Ceulemans, Vercauteren, Vandereycken e tutti gli altri.
Il Belgio, un po’ a sorpresa, vince il suoi girone iniziale, sconfiggendo l’Argentina (1-0), superando El Salvador (ancora 1-0) ed impattando (1-1) con l’Ungheria.
Ludo Coeck gioca col numero dieci sulle spalle -sebbene sia un otto a tutti gli effetti- ed annulla l’inarrivabile Diego Armando Maradona nel primo match, segnando poi una stupenda rete nella seconda gara contro El Salvador.
Poi i Diavoli Rossi cedono alla distanza, perdendo entrambe le gare del girone successivo contro la Polonia di Boniek e Lato (0-3) e l’Unione Sovietica di Dasaev e Blochin (0-1).
L’Italia di Bearzot è Campione del Mondo, mentre il Belgio ritorna mestamente a casa, nonostante abbia cominciato il torneo nel migliore dei modi.

Ludo è presente anche agli Europei del 1984, in Francia.
La sua Nazionale, con alcuni nomi nuovi rispetto alla kermesse intercontinentale di due anni prima (Scifo, Clijsters, Claesen, Grun ed altri ancora), incappa in una precoce eliminazione al primo turno.
E dire che i Diavoli Rossi erano partiti ancora una volta col piede giusto, con una bella vittoria ai danni della Jugoslavia di Susic e Dragan Stojkovic (2-0), salvo poi venir sconfitti dai padroni di casa della Francia di Platini e Giresse (0-3) e dalla Danimarca di Elkjær e Arnesen (2-3), chiudendo di fatto la propria avventura in terra transalpina.
Ludo Coeck disputa la seconda e la terza gara dei suoi, da subentrante.
Non è in uno stato di forma ideale e Thys gli preferisce, nel ruolo, il più tonico Vandereycken.
I suoi problemi fisici si sono acuiti nell’ultimo anno, che Ludo ha disputato in Italia.
Perché uno dei migliori centrocampisti europei è sbarcato, nell’estate del 1983, nel più competitivo campionato del Vecchio Continente.
Ad acquistarlo, con un esborso di due miliardi di lire, è l’Inter, soffiandolo ai cugini del Milan, che erano piombati per primi sul giocatore, e superando una folta concorrenza di compagini inglesi, tedesche e francesi.
La trattativa con i nerazzurri è figlia del mancato arrivo a Milano, sponda interista, del brasiliano Falcao.
Quest’ultimo è cercato a lungo pure dalla Roma che, tramite i potenti mezzi del politico Andreotti, riesce infine a mettere la mani sul sudamericano.
L’Inter , dopo aver rinunciato all’alternativa Cerezo, ai box per un infortunio abbastanza serio, ripiega (si fa per dire) sul belga, che non potrà indossare la casacca dell’idolo Rivera e giocare insieme al compagno di Nazionale Gerets, appena ingaggiato dai rossoneri.
Ma che avrà la possibilità comunque di confrontarsi con i più forti giocatori del mondo e lottare per il titolo, cosa che nel neopromosso MIlan, appena tornato in A dopo aver vissuto l’inferno della cadetteria, sarebbe stato abbastanza complicato ipotizzare.
Ludo Coeck, a Milano, vive una annata oltremodo particolare.
Maledettamente sfortunata, soprattutto.

Si infortuna a livello muscolare già in una amichevole estiva, prima che inizi il campionato, saltando quindi un momento cruciale della stagione.
Ripresosi, deve fermarsi nuovamente durante un match di Coppa Italia, per un problema alla caviglia.
Stringe i denti ed affretta il recupero, andando incontro a situazioni di stress che ne minano l’atletismo.
In campionato subisce un duro colpo al costato, nella gara contro l’Udinese, dovendo rallentare ancora una volta i suoi ritmi agonistici.
Una autentica maledizione, per questo ragazzo dal sorriso contagioso che si è presentato in Lombardia esprimendosi in un buon italiano.
“Parlo diverse lingue ed appena ho saputo di interessamenti dall’Italia, mi sono messo sui libri. Adoro il vostro paese: il sole, le atmosfere, la storia, la cultura, il cibo, la passione dei tifosi. Spero di poterci vivere a lungo“, il suo esordio nella lingua di Dante.
Sul terreno di gioco Ludo Coeck mostra doti di assoluto rilievo.
Ma non riesce a trovare continuità, perseguitato dalla sfortuna che si accanisce su di lui.
Il culmine è in una partita che disputa con la propria Nazionale, rompendosi la caviglia.
Non avrebbe dovuto neanche essere convocato, per le sue persistenti problematiche di ordine fisico.
Invece va e si rompe definitivamente.
L’Inter, che è già fuori sia dall’Europa che dalla Coppa Italia e che in campionato traballa, perde il suo faro.
L’allenatore Radice prova a metterci una pezza, puntando sul collettivo.
D’altronde i calciatori buoni non mancano di certo, in rosa: Mueller, Beccalossi, Bergomi, Zenga, Collovati, Altobelli, Serena, Bagni, Pasinato, Ferri, Marini, Muraro.
La squadra reagisce ai periodi di magra e porta a casa, nel finale, un quarto posto utile per la qualificazione alla successiva Coppa UEFA.
Il presidente Fraizzoli, nel frangente, abdica dopo sedici anni e lascia il posto alla nuova società, capeggiata dall’imprenditore Ernesto Pellegrini.
Al termine del Campionato d’Europa del 1984, del quale abbiamo scritto in precedenza, Ludo Coeck si ritrova senza squadra.
L’Inter ha un nuovo allenatore, Castagner, e due stranieri di gran pregio: il tedesco Karl-Heinz Rummenigge (nato nello stesso anno, mese e giorno di Ludo, per coincidenza) e l’irlandese Liam Brady.
Proprio Castagner era tra i fautori dell’acquisto di Coeck, quando allenava il Milan.
Ma i continui stop del belga hanno spinto lui e la società a virare su Brady, come uomo d’ordine a metà campo.
Ludo Boom, come lo soprannominano in Belgio per la potenza del suo sinistro, si ritrova senza squadra.
Centrocampista moderno, tecnicamente dotato e tatticamente intelligente, Ludo Coeck è tra i migliori interpreti nel ruolo della sua generazione.
Difende ed attacca senza sosta, impostando la manovra e dettando i tempi del gioco.
Un tuttocampista, come si direbbe oggi, di notevole efficacia.
Prezioso in campo e fuori, con la sua capacità di far gruppo e la sua infinità generosità.
Sempre pronto ad andare in supporto dei compagni, propositivo e tenace, costringe spesso i portieri avversari a chinarsi per raccogliere la sfera nel sacco, a causa dei suoi precisi e poderosi bolidi dalla distanza.
Il padre, da bambino, lo faceva calciare con il pallone medicinale e lo portava spesso in spiaggia, per insegnargli a controllare la sfera anche in caso di rimbalzi irregolari: il bagaglio tecnico del giocatore ha origini lontane, ecco.
Validissimo anche di testa, è una sorta di prendi due e paghi uno, con la rara dote di interpretare il gioco in entrambe la fasi, difensiva ed offensiva.
Gli allenatori ne apprezzano la duttilità, i tifosi adorano la sua grinta ed i compagni amano la disponibilità che mette, non di rado, a repentaglio il suo fisico tremendamente minato dagli infortuni.
Una marea di operazioni chirurgiche e molta convalescenza, una fragilità forse intrinseca che nel tempo assume la diagnosi di cronica: ecco il problema di Coeck.
Semplice quanto inarrivabile sfortuna, che vede l’apogeo nell’incidente stradale che gli costerà la vita.
Col suo palmarès e, soprattutto, con la stima di addetti ai lavori e tifosi a certificare la indiscutibile bontà del calciatore in oggetto.
Ludo, al termine dell’avventura milanese, passa all’Ascoli.
In prestito, perché i nerazzurri vorrebbero comunque continuare a dargli fiducia, in qualche modo.
E su richiesta di Rozzi, astuto presidente dell’Ascoli, che è consapevole del valore del ragazzo, ma è anche spaventato all’idea di prendere un rottame.
L’ambiente marchigiano impazzisce alla notizia dell’arrivo di Coeck, ma purtroppo il belga non metterà mai piede in campo con la maglia bianconera.
Le visite mediche di prassi evidenziano un serio problema all’anca, una malformazione congenita che richiede cure specifiche e che finisce per rendere nullo, senza discussioni di sorta, il contratto del nordico.

Una ulteriore mazzata sul capo del centrocampista, che dopo aver accumulato poco meno di una cinquantina di presenze con i Diavoli Rossi sogna la convocazione per il Mondiale del 1986, in Messico.
Fermarsi per una intera stagione è un durissimo colpo, per uno sportivo professionista.
Ma Ludo Coeck non è tipo che si arrende facilmente.
In Italia ha conosciuto una ragazza romana, Tiziana, che gli regala ulteriore forza per reagire alla malasorte che sembra essersi addensata sul belga.
Il quale, tempo prima, ha pure visto naufragare il suo matrimonio con Viviane, esasperata dalle continue voci di tradimento da parte del marito, considerato nell’ambiente come un inguaribile viveur, elegante e raffinato, apparentemente quasi timido ma in realtà capace di una apprezzabile eloquenza e ben propenso alla scappatella, se in umore.
I giornali scrivono che la causa del litigio sarebbe da attribuire all’allergia di Ludo per i gatti, che invece la sua ex moglie adora, tanto da riempire casa di micetti.
Ci credono in pochi, invero.
Sia quel che sia, Ludo paga dazio al fallimento del suo rapporto coniugale e soffre moltissimo l’assenza dai campi.
Tiziana lo conforta e lo spinge a non mollare.
Nell’estate del 1985 il buon Coeck è reduce da diversi mesi di intensa preparazione fisica ed è pronto a rientrare in gioco, in tutti i sensi.
La caviglia sinistra pare rispondere bene alle sollecitazioni ed anche la sua schiena, storica fonte di dolori per il centrocampista, sembra volergli concedere una pausa.
Il suo piede sinistro, più piccolo del destro, tanto da richiedere una calzatura speciale, è di nuovo pronto ad esplodere tiri al fulmicotone.
Ludo Coeck si propone in giro, senza riscuotere entusiasmi.
Quindi trova l’accordo col RWD Molenbeek, una nobile decaduta del calcio fiammingo.
Un incrocio di destini, insomma.
Due entità che necessitano e sperano, entrambe, di tornare agli antichi splendori.
Non accadrà, purtroppo.
L’RWD andrà incontro ad annate scadenti, che culmineranno con un successivo fallimento della società.
Ludo Coeck, che non avrà nemmeno modo di esordire col suo nuovo club, perderà la vita in un tragico incidente occorsogli nell’ottobre del 1985, nei pressi di Anversa ed all’uscita da uno studio televisivo nel quale aveva raccontato la sua storia di calciatore ed aveva manifestato il sogno di tornare ad indossare gli scarpini per raggiungere il Mondiale del 1986.
Ragion per cui, stava recandosi presso il suo fisioterapista, che in quegli stessi giorni lo stava aiutando a rimettersi in piena forma in vista del ritorno all’attività.
La strada bagnata dalla pioggia, l’alta velocità del mezzo, un’altra vettura ed un autoarticolato che entrano in collisione e spingono l’auto di Ludo Coeck ad impattare violentemente contro il guard-rail.
Il calciatore, estratto con difficoltà dalle lamiere, lamenta un forte trauma cranico, una devastante emorragia interna, una gravissima lesione al fegato e diverse fratture interne ed esterne.
Un quadro clinico drammatico, al quale un disperato intervento chirurgico non riesce a porre rimedio.
Ludo Coeck ha da poco compiuto i tenta anni di vita e muore dopo due giorni di lotta, lasciando un ricordo indelebile in tutto il mondo del calcio.
La madre morirà di cancro pochi anni più tardi, seguita a brevissima distanza dal marito, il primo tifoso di Coeck junior.
Alla sorella di Ludo -che negli anni sarà anche presidente del Berchem Sport, dove anche suo padre ha ricoperto incarichi dirigenziali- toccherà l’arduo compito di rimettere pian piano insieme i cocci della famiglia, sconquassata da un siffatto dolore.
“Come atleta è stato grande, come essere umano è ineguagliabile“: questo è l’epitaffio che si legge sulla tomba di Ludo, posta nel cimitero di Berchem.
“Avevo un rapporto speciale, con mio fratello. Era dolce, simpatico, speciale. Possedeva una personalità che non passava inosservata. Noi tutti eravamo orgogliosi della sua carriera, dell’aver capitanato l’Anderlecht e, in alcune occasioni, addirittura la Nazionale Belga. Senza infortuni avrebbe avuto un percorso ancor più straordinario, ne sono certa. La sua morte ha trascinato tutti noi nel più profondo dolore. Nel suo futuro non avrebbe fatto l’allenatore, questo è sicuro. Troppo stress, per uno che in campo era un feroce lottatore ma che al di fuori degli stadi adorava la tranquillità ed il relax. Per questo, amando l’Italia, il suo sogno era quello di vivere nella penisola in una villa di campagna, circondato dal verde e con una bella brace sempre pronta per essere accompagnata da un buon bicchiere di vino da godere in compagnia degli amici. Oggi me lo immagino così. E voglio sorridere, mentre penso a lui“, ha raccontato sua sorella, Suzy.
Ho visto tramite mezzi moderni molte partite giocate da Ludo Coeck, sebbene sia convinto da sempre che un giocatore vada giudicato in primis dal vivo.
Per fortuna che oggigiorno vi è la possibilità di guardare vecchie gare, comunque.
In alcuni casi è una bella svolta, per approfondire determinate storie di calcio.
Io ricordo anche il Coeck giocatore, ma più che altro per le figurine e gli articoli di giornale del tempo, oltre che per le immagini di Spagna 82 e Francia 84.
Purtroppo, da noi in particolar modo, la sfortuna ci ha messo lo zampino e si è visto poco o niente.
In tal senso l’Europeo del 1980, che si è svolto in Italia e che lui ha saltato per infortunio, doveva essere una avvisaglia.
Nel meraviglioso Campionato del Mondo del 1986 ci sarebbe stato a pennello, in quel Belgio camaleontico e spettacolare che chiuse al quarto posto la rassegna intercontinentale.
A tal proposito, di recente, il mitico portierone dei Diavoli Rossi, Pfaff, a margine di una intervista in cui gli è stato chiesto di stilare la graduatoria personale del miglior undici belga, ha espresso un parere interessante e, credo, condivisibile:
“A centrocampo abbiamo avuto una sfilza di signori giocatori, nell’arco del tempo. Non è facile scegliere, ma un posto a Ludo Coeck debbo comunque trovarlo. Abbinava talento e qualità in maniera sublime ed aveva un tempismo eccezionale nel leggere l’azione. Al Mondiale del 1982 riuscì a far scomparire Maradona dal campo. In Messico, nel 1986, arrivammo quarti, con l’argentino che in semifinale ci devastò. Era un Diego diverso, certo. Ma nessuno mi toglierà mai dalla testa la convinzione che con Ludo in marcatura sul Pibe de Oro, saremmo andati a giocarci la finale“.
Juan Lozano, uno dei suoi migliori amici, ha aggiunto:
“Con Ludo eravamo come fratelli. Ci allenavamo, giocavamo a biliardo, talvolta a tennis, uscivamo la sera: stavamo sempre insieme. Quando si è trasferito in Italia, siamo rimasti in contatto. Giocava nel campionato più tosto d’Europa, dove la qualità individuale poteva fare davvero la differenza. Senza infortuni, avrebbe sfondato anche lì. Perché di qualità ne aveva moltissima, come calciatore e come uomo“.
D’altro canto discorriamo di uno che ad un giornalista che gli chiese come si sentisse dopo l’ennesima operazione a cui si era dovuto sottoporre, rispose:
“in Ospedale ho visto di peggio. Molto di peggio. Mi rimetterò al meglio e tornerò presto a giocare, glielo garantisco“.
Tanto cuore, moltissima scalogna.
Lo stadio del Berchem Sport è intitolato a lui.
Tutto molto bello, ci mancherebbe.
Ma non doveva affatto andare così.
No.
Non così.
Ludo Coeck: Ludo Boom.
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